Nietzsche e il disagio della modernità |
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Nietzsche e il disagio della modernità |
May 5 2007, 04:11 PM
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#1
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Old Member Gruppo: Members Messaggi: 110 Iscritto il: 3-May 07 Da: Abruzzo Utente Nr.: 76 |
E se la volontà di potenza fosse una sfida contro lo svilimento dell'uomo in epoca post-moderna?
Se l'indviduo, nell'attuale capitalismo avanzato, ha perso totalmente la soggettività fino a non essere più in grado di manifestare una propria alterità può la volontà di potenza essere una risposta plausibile di fronte alla debolezza dell'uomo attuale. Se la mercificazione del capitalismo ha desertificato la realtà(vedi Baudrillard) dove ogni individuo vive in una simulazione che ha sostituito il reale in una sorta di paradiso virtuale(iper-realismo) fino a negare ogni possibile intervento umano(pensiero debole) a favore di un conformismo assoluto, come possiamo manifestare noi stessi con la volontà di potenza? La pianificazione capitalista ha annientato anche quella forza interiore capace di dare il libero arbitrio al singolo??? |
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May 11 2007, 01:58 PM
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#2
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Advanced Member Gruppo: Members Messaggi: 77 Iscritto il: 20-March 07 Utente Nr.: 3 |
Questo post mi ha ricondotto a un passo di Nietzsche, che, oltre a metter luce sulla parzialità del mio precedente intervento, chiarisce benissimo, a mio parere, il discorso di phys qui sopra, e più in generale il discorso su volontà libera/non libera, forte/debole:
Al di là del bene e del male - I pregiudizi dei filosofi - par 21 |
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May 11 2007, 03:04 PM
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#3
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Old Member Gruppo: Members Messaggi: 110 Iscritto il: 3-May 07 Da: Abruzzo Utente Nr.: 76 |
Questo post mi ha ricondotto a un passo di Nietzsche, che, oltre a metter luce sulla parzialità del mio precedente intervento, chiarisce benissimo, a mio parere, il discorso di phys qui sopra, e più in generale il discorso su volontà libera/non libera, forte/debole: Al di là del bene e del male - I pregiudizi dei filosofi - par 21 Chi è tanto gentile da riportare il paragrafo o alcuni brani...? Grazie |
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May 11 2007, 05:41 PM
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#4
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Administrator Gruppo: Root Admin Messaggi: 345 Iscritto il: 20-March 07 Da: Trento Utente Nr.: 1 |
Chi è tanto gentile da riportare il paragrafo o alcuni brani...? Grazie 21. La causa sui è la più bella autocontraddizione che sia stata escogitata fino ad oggi, una specie di stupro e di violenza contro natura della logica: ma lo sfrenato orgoglio dell'uomo ha portato a rimaner profondamente e orrendamente preso proprio in questa assurdità. L'esigenza di «libertà del volere», in quello spirito superlativamente metafisico, quale purtroppo domina ancora sempre nelle teste dei semicolti, la pretesa di assumere da soli la completa ed estrema responsabilità per le proprie azioni e liberarne Dio, mondo, progenitori, caso, società, non è infatti niente di meno che quella causa sui e il trarsi fuori tirandosi per i capelli, con una temerarietà maggiore di quella di Mùnchhausen, dalla palude del nulla all'esistenza delle cose. Posto che qualcuno giunga in tal modo a vedere la solida dabbenaggine di questo famoso concetto di «libero volere» e lo cancelli dalla sua mente, lo prego ora di fare un altro passo avanti e di cancellare dalla sua mente anche il contrario di quel non-concetto di «libero volere»: intendo la «volontà non-libera» che deriva da un abuso di causa ed effetto. Non bisogna reificare erroneamente «causa» ed «effetto», come fanno i naturalisti (e chi come loro oggi adopera, nel pensiero, i mezzi delle scienze naturali), in conformità alla dominante goffaggine meccanicistica, che sostiene che la causa preme e spinge fino a «giungere all'effetto»; bisogna servirsi della «causa» e dell'«effetto» solo come di puri concetti, vale a dire come finzioni convenzionali che hanno come scopo la definizione, la connotazione, non la spiegazione. Nell'«in sé» non ci sono «legami causali», «necessità», «illibertà psicologiche», qui l'«effetto» non segue «alla causa» e non domina alcuna «legge». Siamo soltanto noi che abbiamo immaginato le cause, la successione, la reciprocità, la relatività, la costrizione, il numero, la legge, la libertà, il motivo, lo scopo; e se noi ideiamo e innestiamo nelle cose questo mondo di segni come se esistessero «in sé», allora operiamo ancora una volta come abbiamo sempre operato, vale a dire facciamo della mitologia. «La volontà non libera» è mitologia: nella vita reale esistono solo volontà forti e deboli. - È già quasi sempre un sintomo della sua debolezza, che un pensatore in ogni «concatenamento causale» e «necessità psicologica» avverta la presenza della costrizione, della necessità, della inevitabilità delle conseguenze, dell'oppressione, della mancanza di libertà: proprio sentire in questo modo significa tradirsi da soli. E in genere, se ho osservato esattamente, la «non-libertà del volere» viene considerata come problema da due lati completamente opposti, ma sempre in modo profondamente «personale»: gli uni non vogliono abbandonare a nessun prezzo la loro «responsabilità», la fede in sé, il diritto personale al proprio merito (appartengono a questo gruppo le razze boriose); gli altri, al contrario, non vogliono alcuna responsabilità, non vogliono essere colpevoli di nulla e pretendono, per un intimo disprezzo di sé, di poter scalzar via se stessi in una qualsiasi direzione. Questi ultimi, quando scrivono libri, sono soliti assumere oggi le parti dei delinquenti, una specie di compassione socialista è la loro maschera preferita. E in effetti il fatalismo di questi deboli voleri si abbellisce sorprendentemente quando sa farsi passare come «la religion de la souffrance humaine»: questo il suo «buon gusto». -------------------- CITAZIONE Dei buoni denti e uno stomaco forte - t'auguro questo! E se ti sei trovato col mio libro, ti troverai di certo anche con me. |
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May 11 2007, 06:28 PM
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#5
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Old Member Gruppo: Members Messaggi: 110 Iscritto il: 3-May 07 Da: Abruzzo Utente Nr.: 76 |
C'è un libro di Habermas intitolato ' Il discorso filosofico della modernità ' dove vengono analizzati
elementi culturali legati al contesto di cui stiamo parlando. Per maggiori chiarimenti inserisco il link da cui ho prelevato il seguente testo http://www.internetbookshop.it/code/978884...-MODERNITA.html Vi riporto la recensione de L'Indice di Ferraris CITAZIONE "Nel discorso della modernità i suoi accusatori le muovono un rimprovero, che nella sostanza non si è mai modificato da Hegel e Marx fino a Nietzsche e Heidegger, da Bataille e Lacan fino a Foucault e Derrida. L'accusa è diretta contro una ragione che si fonda nel principio della soggettività; ed afferma che questa ragione denuncia e scalza tutte le forme esplicite dell'oppressione e dello sfruttamento, della degradazione e dell'estraniazione, soltanto per istallare al loro posto il più inattaccabile dominio della razionalità stessa" (p. 57). Ben più di Marx, Nietzsche è il primo grande interprete di questo disagio. La critica della riflessione viene portata sino alle estreme conseguenze - quelle di negare la riflessione e il soggetto in cui questa si produce, per additare un al di là dell'umano troppo-umano nella volontà di potenza. Analogamente, all'apice della modernità, il moderno viene gettato da parte, nella ricerca delle origini della razionalità, per esempio nel mondo dionisiaco dei greci preclassici. Con un gesto che sarà destinato a ripetersi più volte nella storia del discorso filosofico del moderno, l'oltrepassamento delle angustie della modernità, della sua ragione e del suo soggetto, viene cercato in un passato immemorabile, non ancora contaminato da quel principio di ragione il cui primo imporsi (con la morte della tragedia) e la profezia delle aporie che si imporranno nella modernità ottocentesca. "Nietzsche adopera la scala della ragione storica per gettarla via alla fine, e mettere piede nel mito, nell'Altro della ragione (...) Per questa via i 'tardivi' della modernità che pensano antiquariamente devono divenire i 'precursori' di un'epoca postmoderna - un programma che Heidegger riprenderà in "Sein und Zeit"" (p. 89). Nietzsche "manda in congedo la dialettica dell'illuminismo" affidandosi al mito e alla volontà di potenza come altro (ma anche come essenza) della ragione soggettocentrica e strumentale. Horkheimer e Adorno si tengono invece disperatamente aggrappati alla dialettica dell'illuminismo, al principio secondo cui la ragione strumentale può essere criticata solo attraverso la ragione. Ma l'aporia non muta, visto che e semplicemente il rovescio speculare della posizione di Nietzsche: o si identifica la ragione con una teoria della potenza, con Nietzsche (e poi con Foucault), e allora ci si preclude la possibilità di qualsiasi critica dell'effettuale; oppure si mantiene uno spiraglio aperto alla critica, ma questa permane ineffettuale, proprio perché non può appellarsi a alcun principio globale per giustificare le proprie negazioni ad hoc. "Il tutto è falso", o meglio è perverso, cioè totalitario e amministrativo; la ragione non può dunque che negare, di volta in volta, "coup par coup" ma questa negazione resta un sogno estetico, l'utopia di una redenzione che Si nega (perché se no si rivelerebbe come totalitaria), e un affetto inutile, perché soltanto leso, verso epoche tramontate e non ancora attraversate dalla lacerazione del moderno. (Ma Habermas, qui, non sviluppa fino in fondo l'ineffettualità della dialettica negativa, proprio perché continua a condividere con Horkheimer e Adorno almeno un presupposto, l'utopia - insieme postulata e negata - di una vita vera e di una comunicazione senza limiti n‚ costrizioni). Che ne dite se commentiamo il brano in qualche modo. |
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