L'errore e il vero: connessione necessaria? |
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L'errore e il vero: connessione necessaria? |
Apr 18 2009, 07:32 PM
Messaggio
#1
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Newbie Gruppo: Members Messaggi: 1 Iscritto il: 18-April 09 Utente Nr.: 13,167 |
CIAO A TUTTI! Su questo forum ho trovato tantissime discussioni suggestive.
Comincio subito con un quesito che mi martella incessantemente: un aspetto della gnoseologia nietzscheana: Nietzsche afferma, come Schopenhauer prima di lui, che il mondo è un illusione. A differenza del suo maestro pessimista, Nietzsche non crede in un "al di là" del velo di Maya, in un Essere, in una cosa in sè kantiana. "esiste" solo il divenire eterno. Fin qui OK. :-) Ora non capisco come mai nietzsche dica a più riprese che la realtà in cui crediamo è un errore; più precisamente: una somma di errori e illusioni. Non deve un errore, proprio per esser tale, presupporre implicitamente un vero? 2+2= 6 Errore! Non concepisco subito l'errore, bensì la verità, ovvero 4. Forse Nietzsche vuol dire che "esistendo" solo l'incessante divenire, il nostro fissare il reale in concetti regolati dalla logica(principio di non contraddizione ecc) contrasta in qualche modo quel divenire. Ma non è forse l'uomo stesso e anche il suo eterno porre enti un prodotto del divenire? Probabilmente il filosofo del Superuomo intende disantropomorfizzare la realtà, con il risultato di tramutarsi in una "realtà". |
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Apr 19 2009, 05:48 PM
Messaggio
#2
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Über Member Gruppo: Members Messaggi: 754 Iscritto il: 15-May 08 Utente Nr.: 2,728 |
Beh credo che sia una questione quantomeno epocale!
Intanto possiamo cominciare coll'analizzare la dicotomia vero-falso: ovviamente se viene a cadere il vero (che diventa per lo più un tenere-per-vero) viene a cadere anche il falso inteso come non-corrispondenza (adequatio rei et intellectus ecc...). In ogni caso si può parlare di "platonismo rovesciato" (Nietzsche stesso usa questi termini) nella misura in cui il piano dell'idea perde ogni priorità mentre l'apparenza diventa quanto di più "vero" ci possa essere, ed è "vero" solo per il suo essere sensibile e non sopra-sensibile. Sostanzialmente credo si possa parlare di un monismo vero e proprio in qui l'essere è volontà di potenza e niente altro, evidentemente la morale, il giusto, cade insieme al vero in questo processo nichilistico compiuto. A questo punto sussiste il problema dell'essere e del divenire, e qui entra in gioco l'eterno ritorno, che fissa in essere il divenire senza però neutralizzarlo del tutto in qualche modo (un po' come la dialettica hegeliana). L'uomo in balia del divenire della volontà di potenza trova nell'eterno ritorno quel tenere-per-vero che lo radica nell'apparenza, alla terra, e gli garantisce la possibilità di un nuovo inizio, di nuovi valori (transvalutati e non valutati). Antropomorfismo o no questo non saprei dire, lo stesso Heidegger (da cui ho rubato gran parte di questa analisi) non si esprime chiaramente. Da una parte c'è un abbandono totale alla volontà di potenza, all'aldilà del bene e del male, al divenire; dall'altra c'è un trionfo della creatività e dell'accettazione attiva di questo nichilismo. Questo giusto per fare un quadro. Evidentemente ci sono altre interpretazioni ed è questo da te posto un punto fondamentale nel ripensare Nietzsche credo. -------------------- "Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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