CITAZIONE(marduk @ Apr 22 2009, 03:14 PM)
La tenica ridurrà lo spazio di destino e casualità, l'indifferenza della natura, le differenze sociali, il terrore per l'ingnoto. Ma ci saranno chissà quali altri stimoli per l'uomo nell'era della tecnica!
Sarà la lettura recente di Holderlin ma non sarei così d'accordo!
Senza dubbio la tecnica è una cosa naturale, tutto è naturale, lo diceva già Spinoza con grande acume. Nella rappresentazione vige il principio di ragion sufficiente, se una cosa succede c'è un motivo, ergo è giusto e naturale che accada. L'ignoto stesso è una condizione misterica che ci pone nel mondo, la "mancanza" è la nostra essenza più profonda, senza di essi saremmo sassi. Da questo punto di vista non condivido molto le preoccupazioni heideggeriane (e non solo) per una ubris della tecnica, la tecnica era anche presso i greci, nell'aratro, nell'edilizia, ecc... insomma non ha senso neanche l'estremo opposto rousseauiano certamente, è una ingenuità totale. Quanto fa la differenza è invece il nostro modo di rapportarci all'essere (in senso estremamente generale, traduci vita se vuoi per non entrare in questioni ontologiche) che non deve essere dettato dall'utile. Se c'è un merito dei greci è questa apertura alla fusis (che poi fossero realmente tali non importa!) che nietzsche traduce col concetto di "dionisiaco". Non c'è alcun bisogno del nuovo, il nuovo è nel sorgere del sole o lo schiudersi del fiore (appunto in greco fusis, lo sbocciare, il mostrarsi, che è lo stesso fos della luce), è nell'eterno ritorno dell'uguale che tu devi differenziare. Tu sei chiamato solo a questo, a "fare la differenza". In questo l'arte ha avuto un ruolo predominante nella lettura dei greci da parte di Nietzsche, ma non c'è analisi dell'arte, non c'è teoria estetica o storia dell'arte che tenga, perchè l'arte per sua stessa natura deve sottrarsi al mondo fenomenico (è il sottrarsi) in cui è possibile fare analisi perchè c'è causa-effetto, non c'è differenza (ontologica). Non c'è neanche l'opera a questo punto no? Non c'è evoluzione, non c'è sviluppo, non c'è apertura tecnologica di nuovi orizzonti, queste sono differenze quantitative e in definitiva rimandabili ad uguaglianze e somiglianze, ovvero inesistenti. E' la differenza qualitativa che "fa la differenza" e tale differenziazione è possibile solo nella vita e nel suo aprirsi alla fusis, cosa che la tecnica non aiuta a fare dato che ha per categoria l'utile e per strumento il calcolo (ovvero legge tutto per quantità, in questo è esemplare l'economia, che arriva a teorie decisionali basate sul quantificare l'utilità per i consumatori e prevedere le loro scelte, nietzsche aveva intuito il futuro emergere dell'economia come scienza globale).
Certamente il concetto di volontà di potenza è un po' problematico in questo senso, e siamo costretti a rileggerlo non in un ottica di dominio calcolatorio e previsionistico, utilitaristico, ma come una differenza di potenziale (o potenziale di differenza). Qui ha sbagliato (se ha sbagliato ovviamente) Heidegger nella sua lettura sottovalutando forse le questioni irrisolte in nietzsche. Ad esempio la questione delle maschere dionisiache, del frantumarsi del soggetto che compare negli ultimi scritti, rimanda proprio al differenziarsi del soggetto in se stesso. La prima uguaglianza è infatti quella del sè nel tempo, su cui si articola cartesianamente tutto il metodo rappresentativo del reale, ma quando il mio io tiranno si dissolve e viene a cadere la maschera della persona (si pensi anche all'etimologia in latino) ecco che si possono indossare migliaia di maschere differenti e allora si può realmente aprirsi flessibilmente alla fusis, si può "danzare" sul e col mondo.