Il tema della responsabilità in Ecce Homo

 

 

Premessa

 

Il tema della responsabilità appare come uno dei concetti fondamentali che si snoda, a più riprese, fra i vari testi nietzschiani.

La posizione del filosofo tedesco, di fronte alla responsabilità, subisce vari mutamenti durante la stesura delle sue opere, fino al momento culminante, quando tale concetto, dopo essere stato esaminato fino alla sua piena comprensione, in Ecce Homo apparirà come una specie di trampolino di lancio per un essere nuovo: l’Oltreuomo.

Infatti, già in Umano, troppo umano, Nietzsche cerca di modificare, di trasvalutare, il valore dato alla responsabilità, legato al tema della colpa, fino a capovolgerlo, appunto, ponendo l’accento sull’importanza dell’assenza di responsabilità come incipit per un nuovo inizio.

Dopo aver tematizzato, in Così parlo Zarathustra, fin dal 1881, con chiarezza, i temi cardine della sua filosofia (la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’uguale), Nietzsche trasporta il valore della potenza, legandolo strettamente alla responsabilità, nella Genealogia della morale, dove il salto di qualità concettuale, rispetto ad Umano, troppo umano, risiede nell’importanza data alla “capacità di fare promesse” . In quest’azione l’uomo esprime una potenza che si manifesta nel ricordo e, poi, nel futuro, realizzandosi completamente nella responsabilità che, dopo essere stata trasvalutata, egli avverte non solo verso se stesso, ma anche verso un’alterità.

Ecco che, quindi, la vera forza della responsabilità sta nel triplice compito di “fare promesse”, “emancipare l’individuo” e selezionare gli uomini adatti a creare una nuova “gerarchia”, attraverso un dispiegamento totale della volontà di potenza.

Ma Nietzsche andrà oltre quando, in Ecce Homo, calerà su di sé un simile compito e detterà, attraverso un autoritratto linguistico, le linee direttrici per diventare i massimi esponenti di questa potenza creatrice che, in conclusione, appare come l’unico principio sul quale fondare le basi per l’Oltreuomo.

 

 

1. Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è. La promessa del titolo

 

Lo scopo che Nietzsche si prefigge con la sua ultima opera (completata nel 1888, ma pubblicata postuma nel 1908) è chiaro e lampante già dal titolo che appare, nel contempo, sia come un epitaffio al suo sforzo, che come una promessa che l’autore fa al lettore.

Già qui s’intravede come, durante tutta l’opera, s’instaurerà uno stretto parallelismo tra Nietzsche e i suoi, metaforicamente parlando, uditori o discepoli. In Ecce Homo si mostra, in maniera inequivocabile, come il lettore sia un elemento necessario alla piena riuscita del testo. L’opera non servirà a nulla se chi la leggerà non caricherà sulle proprie spalle lo stesso peso che Nietzsche sopportò. Un peso psicologicamente spossante, perché nato dalla commistione tra volontà di potenza e responsabilità, concetti teoricamente complessi, ma vitali per un uomo nuovo.

Ecce Homo. Ecco l’uomo. Come si diventa ciò che si è. In queste parole rifulge la certezza di avere un compito, che implica, quindi, una responsabilità, che non si può eludere o cancellare; una certezza che Nietzsche confessa al suo più caro amico, Franz Overbeck, il 12 Novembre 1887: “… ho un compito che non mi permette di stare a pensare a me (un compito, un destino o comunque lo si voglia chiamare). Questo compito mi ha fatto ammalare e questo compito mi farà guarire, e non solo mi farà guarire, ma mi renderà di nuovo anche più aperto agli uomini e a tutto ciò che vi si accompagna”.

Ma si tratta di un compito che si espleta in un bipolarismo, avente il fulcro nella responsabilità, dove l’accettazione delle parole nietzschiane, da parte del lettore, darà i frutti più maturi solo nella vera comprensione della promessa del titolo. Promessa che, come già è stato chiarito, pretende una realizzazione nella responsabilità propria e altrui.

Nel titolo pulsa una promessa che, a sua volta, è indice di un compito che vive di una responsabilità condivisa dall’autore e dal lettore.

Quindi, la visione della “capacità di fare promesse” è chiara e cristallina già nel titolo.

In sintesi, Nietzsche s’innalza a portatore della volontà di potenza ed inizia a viverla, a volerla, a potenziarsi, lanciando una promessa gravida di rischi perché ardita ma, quindi, anche meritevole. Una simile situazione, perciò, non può lasciare impassibile il lettore che, se anche si trovasse nel desiderio di ostentare indifferenza (un’indifferenza che aveva accolto tutti i testi di Nietzsche appena pubblicati), vedrebbe in Ecce Homo un testo che lo incatena alla responsabilità anche del semplice leggere.

Si può affermare, perciò, che Ecce Homo è un testo della responsabilità matura, che si espande in due direttrici che si incontrano, reciprocamente, in più punti: è il diario di Nietzsche e il diario di qualunque lettore degno; è la responsabilità di Nietzsche che feconda la responsabilità del lettore. Si tratta di un libro che grida promesse, è un libro per essere Oltreuomo.

 

 

2. La consapevolezza del PROLOGO

 

Il Prologo di Ecce Homo è, forse, una delle parti più significative dell’opera, poiché condensa in sé temi che verranno poi ripresi in tutta la stesura, com’era già accaduto per il Proemio dello Zarathustra. Ecco perché, quindi, risulta utile un’analisi attenta della prima parte del testo, che renderebbe più chiari gli intenti dell’autore.

La tendenza all’utilizzo dell’aforisma, che Nietzsche aveva mostrato con chiarezza in Aurora, ha lasciato dei residui, che sono ben visibili nel primo paragrafo del Prologo dove si chiarisce, con poche parole secche e precise, lo scopo, il perché di un testo così personale e, nel contempo, necessario. Nietzsche afferma: “Poiché prevedo che tra breve dovrò presentarmi all’umanità per metterla di fronte alla più grave esigenza che mai le sia stata posta, mi sembra indispensabile dire chi io sono..

Perché fare ciò, però? La risposta giunge poche righe dopo: “Ma la sproporzione tra la grandezza del mio compito e la piccolezza dei miei contemporanei si è dimostrata nel fatto che questi non mi ascoltano, e neppure mi vedono”.

In queste righe traspare una tiepida tristezza, una paurosa consapevolezza di essere portatore di verità dure da accettare, che hanno indotto gli altri uomini, indegni del suo pensiero, a non ascoltarlo, ad ignorarlo.

Eppure, Nietzsche, in un ultimo getto disperato d’onore, grida il suo scopo: “In queste circostanze io ho un dovere, contro cui si rivoltano, in fondo, le mie abitudini, e ancor più la fierezza dei miei istinti, e ciò quello di dire: Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per un altro!.

Sembra di trovarsi, quasi, di fronte ad un’implorazione che pretende un riconoscimento. Nell’accorato richiamo dell’autore si avverte come egli sia consapevole di quale sia il compito che ha voluto, con tutto se stesso, caricare sulle proprie spalle. Nessuno ha obbligato Nietzsche a scrivere Ecce Homo o a indicare una via agli uomini, ma la responsabilità che lo ha accompagnato fin dai primi testi, ora preme fortemente in lui.

Secondo Giorgio Colli “tutta la vita di Nietzsche è un parlare! Dunque lui ha sentito come bontà il suo dire, e come tentazione malvagia il chiudersi in sé. Questa malvagità lui la rifiuta: è un’interpretazione morale del mondo, dove il posto dell’azione è preso dal manifestarsi, dall’espressione della parola.”

Nietzsche ha avvertito in sé questa necessità e ha convogliato la spinta a scrivere in un “parallelismo convergente”. La responsabilità di annunciare un nuovo futuro viene condivisa con il lettore, come già detto, che percorrerà con lui il racconto di Ecce Homo.

A questo proposito, appare utile tenere presente come si riscontri, nella stesura dell’opera, una struttura ricalcata dal titolo. Se s’intende quest’ultimo come il grido di responsabilità di Nietzsche verso se stesso, e il sottotitolo come un invito al lettore, è possibile considerare i paragrafi intitolati PERCHE’ SONO COSI’ SAGGIO, PERCHE’ SONO COSI’ ACCORTO, PERCHE’ SCRIVO LIBRI COSI’ BUONI e PERCHE’ SONO UN DESTINO come la parte del testo strettamente dedicata al compito dell’autore e i restanti, che descrivono il valore delle varie opere del filosofo, indirizzate al lettore che ritroverà, nei testi antecedenti a Ecce Homo, suggerimenti sul come avanzare.

Si tratta quindi di due percorsi simili e nel contempo distinti, paralleli, ma convergenti verso la medesima meta.

Ciò che, però, appare semplice nelle prime righe del Prologo, non lo è anche nella pratica e Nietzsche se ne rende pienamente conto. Il suo messaggio, le sue parole, il suo attacco alla morale è qualcosa di ardito, di sconcertante, di difficile assimilazione.

“Chi sa respirare l’aria dei miei scritti sa che è un’aria delle cime, un’aria forte (…) La filosofia, così come io l’ho intesa e vissuta fino ad oggi, è un vita volontaria fra i ghiacci e le alture”; questa frase dimostra chiaramente come il testo, in maniera simile a tutte le altre opere, sia diretto a individui coraggiosi che espletino questa forza, ancora una volta, nella presa di coscienza di un compito da condividere.

Esiste un’unica strada per assolvere un simile ed ardito compito, una via che parte da una domanda sola che ci si deve porre, ovvero “quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo?”.

Compreso questo, la strada da percorrere sarà, almeno, indicata e lo stesso Nietzsche è cosciente che, con l’appoggio del lettore, ci sarà, in un domani, la vittoria della sua “filosofia, perché finora solamente la verità è stata proibita sempre, per principio”.

Il Prologo si chiude con un riferimento importante, che sarà utile tenere presente nella parte centrale dell’opera; se il compito del lettore deve seguire delle linee direttrici, una, tra tutte le opere del filosofo, avrà un ruolo fondamentale, quell’opera che è stata un dono fatto da Nietzsche all’umanità: Così parlò Zarathustra.

 

 

3. Dal “giorno perfetto” alla guerra: inizia il percorso

 

Illustrata la condizione iniziale dalla quale Nietzsche (e il lettore) partono, si tratta di vivere, fino in fondo, un’esistenza diversa, ora che si comprende quanto grande sia il compito che attende l’uomo responsabile. Ma per fare ciò non ci si può lanciare, sconsideratamente, contro tutto ciò che è stato proibito: occorre essere consapevoli di cosa ci ha preceduto e cosa ci aspetta.

Non si tratta di una consapevolezza storicistica, ma di una consapevolezza storica. La differenza è basilare, perché non ci si può fossilizzare su fasi passate, ma occorre, però, capire cosa potrebbe riservare il futuro sulla scia di ciò che è già avvenuto.

E Nietzsche volge lo sguardo sul suo passato, ma lo fa più per il suo compito, che per quello del lettore, che dovrà impegnarsi maggiormente nei paragrafi riguardanti le opere.

Eppure non è un semplice rimembrare, ma un farsi consapevole di come il momento presente sia frutto di un cammino che poteva portare ad un unico esito: la stesura di Ecce Homo.

Il percorso da seguire, quindi, dopo la domanda su quanta verità si possa sopportare, prende le mosse dall’adesso, dall’hic et nunc, ma si tratta di un istante presente che affonda le radici nel passato. Oggi, inteso come momento in cui Ecce Homo viene scritto, è un “giorno perfetto, in cui tutto matura”, perché c’è stato un passato radioso, particolare nella sua unicità per l’autore. Nietzsche stesso si definisce grato alla sua vita e ancora una volta si capisce la necessità di un diario: la responsabilità che il lettore sente su di sé scaturisce dalla comprensione di quanto una vita sia frutto di ciò che si è stati fin dall’infanzia.

Chiaramente, non si tratta di una vita spettacolare, avvincente o carica di accadimenti rari per chiunque (non è questo ciò che conta davvero), ma di una semplicissima esistenza che, però, attraverso le comuni esperienze che si possono vivere, educa l’individuo a fare tesoro di ogni istante che porterà inevitabilmente, secondo Nietzsche, a comprendere come l’educazione morale che ci viene impartita dalla società sia solo una costruzione “umana, troppo umana”.

In effetti, l’esistenza del filosofo non appare come nulla di esaltante anzi, può apparire, in certi casi, addirittura piatta e monotona; ma egli si considera comunque diverso da chi lo ha preceduto, perché ha saputo vivere diversamente le imposizioni della civiltà, inculcategli da una famiglia bigotta e strettamente legata ai dogmi religiosi. Occorre essere un “décadent”, come dice lo stesso Nietzsche, ma per esserlo basta ritenere la propria vita unica, perché pervasa di fatalità. Riecheggiano echi del concetto dell’amor fati, ma l’analisi di una simile idea nel contesto nietzschiano ci allontanerebbe dal tema preso in esame.

Chi scrive l’opera non è tale perché la vita gli ha riservato eventi straordinari, ma semplicemente perché è stata ciò che il fato ha deciso che fosse, il resto è poi dipeso da come essa è stata vissuta, ed è qui che entra in gioco la vera forza di chi è un “décadent”. Si può, quindi, dedurre che al caso, al destino, si deve aggiungere un vivere in maniera diversa, che farà il futuro dell’individuo.

Nel passo iniziale, che deve essere mosso, accanto alla responsabilità si annida la disposizione interiore, quindi, di un modo nuovo di vivere il destino.

Eppure, nella sua straordinaria lucidità di ragionamento, Nietzsche associa un’idea spiazzante. Per capire davvero il senso di una vita che conduce alla grandezza del compito che accompagna la stesura di Ecce Homo, occorre anche essere il contrario di un “décadent… Perché questo?

La risposta la si può individuare nel fatto che una visone complessiva di un evento, per quanto fatale, è possibile solo se osservata da prospettive opposte. Appare più che plausibile, quindi, intendere l’accettazione del destino come un osservarlo con distacco, neutralità e consapevolezza di esso. Questo porta l’individuo alla saggezza.

La necessità di essere un “décadent” era un obbligo che aveva investito Nietzsche agli inizi della sua vita, ma una volta giunto alla maturità concettuale, egli aveva compreso la necessità di andare oltre. Nietzsche era stato un “décadent”, ora non lo era più, anzi si era tramutato nell’esatto opposto.

Eppure, ancora una volta, una simile virtù non basta per accollarsi fino in fondo quest’immensa responsabilità.

Nel sesto paragrafo del capitolo intitolato PERCHE’ SONO COSI’ SAGGIO, Nietzsche afferma che la grandezza del suo messaggio deve essere ricondotta anche alla malattia che lo affligge da anni. Occorre, quindi, anche essere malati per comprendere un’immensa verità. Ma non si tratta di una malattia fisica; non solo, per lo meno.

Il pensatore tedesco parla in più testi della sua malattia, ma non si può semplificare eccessivamente tale situazione. Se si riferisse semplicemente alle forti emicranie che lo portarono a continui pellegrinaggi per l’Europa in cerca di luoghi più salutari, si potrebbe pensare che il compito che aspetta il lettore sia già fallito in partenza, dal momento che solo una malattia simile a quella di Nietzsche potrebbe portare alla verità; di conseguenza un lettore nel pieno delle sue forze, sano, non potrebbe raggiungere la grandezza del compito che lo attende.

In realtà la malattia che affliggeva Nietzsche da anni va ricondotta al suo profondo disgusto verso tutto ciò che la morale imponeva agli individui che vivevano nel suo tempo. Ogni uomo inserito nella società era imbrigliato da dettami morali, religiosi e tale costrizione lo portava al risentimento, al desiderio di vendetta. Una sorta di intorpidimento aveva condotto gli uomini a vivere come normalità tale situazione. La comprensione di una simile realtà portò Nietzsche alla “malattia” in senso ampio. La sua visione di una società da rifiutare lo portava ad essere malato di verità. E ciò appare chiaro a più riprese anche in Ecce Homo.

Ecco che il lettore deve capire come la sua missione affondi le radici anche nel comprendere una verità inammissibile per l’uomo attuale (l’ultimo uomo con riferimento alle parole del pensatore in Così parlò Zarathustra) divenendo, di conseguenza, un “malato” per la società in cui egli vive.

Una volta descritte le varie caratteristiche che segnano un vero profeta dell’Oltreuomo, Nietzsche spiega come la missione che attende i suoi lettori sia una vera e propria guerra su molteplici fronti. Tutte le sue opere sono state manifesti di guerra, in quanto il compito del filosofo è quello di sfidare “a duello anche i problemi”. Ma non si è trattato mai di duelli impari, ma di scontri basati su quattro regole, che anche il lettore che vorrà seguire Nietzsche dovrà sempre rispettare.

Esse sono: attaccare solo cause che sono vincenti o aspettare che lo diventino; muovere guerra solo a cause contro cui non si troveranno alleati; non attaccare mai persone; scontrarsi solo contro cose in cui è esclusa ogni controversia personale.

Se si osservano con perizia queste regole si comprende come la missione nietzschiana sia ardita e di difficile riuscita. Si tratta di combattere in maniera oculata e mai egoistica, lo stesso autore definisce la sua guerriglia come “un segno di benevolenza, a volte di gratitudine”.

A questo punto si tratta di osservare come sia stata mossa, finora, guerra da parte del filosofo tedesco. La sua battaglia personale è stata combattuta attraverso le pagine delle proprie opere. 

Ed è a questo punto che il lettore dovrà iniziare ad applicarsi personalmente, e con tutto se stesso, nel viaggio. La ri-scoperta dei testi nietzschiani è ciò che guiderà i discepoli del filosofo verso la piena autocoscienza di ciò che si è.

 

 

4. Da La nascita della tragedia a La Gaia scienza: verso lo Zarathustra

 

I capitoli dedicati da Nietzsche, in Ecce Homo, alla descrizione dei suoi scritti, sono preceduti da alcuni brevi paragrafi raggruppati sotto il titolo di PERCHE’ SCRIVO LIBRI COSI’ BUONI.

Nel suo insieme questo capitolo ha uno scopo fondamentale: spiegare a chi sono diretti i suoi testi.

E’ già stato detto che non tutti i potenziali lettori di Ecce Homo sono adatti a portare avanti il messaggio nietzschiano, ma ora tale distinzione si fa netta e precisa. Si tratta di una cesura senza appello. L’intera questione ruota attorno alle parole e al valore del testo in cui Nietzsche ritrova condensato il suo pensiero: Così parlò Zarathustra.

Ma lo stesso pensatore tedesco ha sostenuto un cammino di crescita interiore, descritto nel capitolo dedicati agli scritti precedenti allo Zarathustra, che anche il lettore dovrà seguire per comprendere le parole del massimo testo del filosofo.

Alcune parti dello Zarathustra appaiono, all’interno di Ecce Homo, come se si trattasse di pietre miliari che segnano il cammino o come gradini che fanno salire di livello il lettore; e non è un caso il fatto che siano, ancora una volta, le parole di Zarathustra ad indicare i destinatari dei testi nietzschiani:

 

“A voi, temerari della ricerca e del tentativo, e a chiunque si sia

mai imbarcato con ingegnose vele su mari terribili;

a voi, ebbri di enigmi e lieti alla luce del crepuscolo, a voi, le cui anime

 suoni di flauto inducono a perdersi in baratri labirintici:

-          Giacché voi non volete con mano codarda seguir tentoni un filo;

e dove potete siete in grado di indovinare vi è in odio il dedurre...”

 

E’ questo un passo chiave, sia in Ecce Homo, che nello Zarathustra. E’ un passo che funge da spartiacque tra chi può andare oltre, nella lettura, e chi no. E’ un passo che descrive chiaramente chi sono i destinatari di Ecce Homo, ovvero coloro i quali possono compiere il cammino costituito da un parallelismo-convergente di cui abbiamo già parlato.

A questo punto, Nietzsche non può far altro che descrivere il suo itinerario che lo ha portato alle alte vette dello Zarathustra.

Il cammino dell’autore non inizia senza intoppi; infatti lo stesso pensatore asserisce che alcune affermazioni de La nascita della tragedia non erano prive di fallo. Più precisamente essa “ha agito e perfino ha affascinato proprio per ciò che aveva di sbagliato”. Una simile ammissione trova il suo fondamento nell’iniziale venerazione che Nietzsche nutriva nei confronti di Richard Wagner, una venerazione che col passare del tempo ha mostrato la sua fragilità.

Eppure, al di là di ciò, in questo testo, appaiono le prime chiare determinazioni della distinzione tra apollineo e dionisiaco, temi che i veri destinatari di Ecce Homo devono avere ben chiari. Si tratta della contrapposizione tra razionalità e istinto. A questo tema si accompagna quello della visione della “morale stessa come sintomo della décadence.

In sintesi, La nascita della tragedia è un testo che, seppur pervaso da alcuni presupposti errati, fa da incipit ad un percorso che ha già in sé temi che saranno la base per le successive tematiche dello Zarathustra.

Ma la spinta battagliera che Nietzsche già aveva trattato, si dispiega con chiarezza lampante nelle quattro Inattuali. L’autore le definisce come “una guerra da capo a fondo”.

Appare utile ricordare, a questo punto, quali sono le quattro Considerazioni Inattuali, anche per avere un quadro chiaro su come i tentacoli dell’invettiva nietzschiana si siano diramati; in effetti la campagna di smascheramento del pensatore tedesco ha avuto diversi bersagli.

La prima Considerazione Inattuale, scritta nel 1873, porta il titolo di David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore e può essere considerata un’opera piuttosto povera sotto l’aspetto filosofico, ma viene vista dallo stesso Nietzsche come un attacco spietato alla cultura tedesca.

La seconda Considerazione Inattuale, pubblicata nel 1874, viene vista come la più importante tra le quattro e s’intitola Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Per quanto riguarda il tema della responsabilità questo testo appare centrale in relazione al suo valore educativo. Per uscire dallo stallo dello stile di vita del “décadent” che, come già è stato detto, deve comunque essere vissuto, occorre liberarsi dall’idea che il “senso storico” sia un concetto d’inestimabile valore.

La terza e la quarta Considerazione Inattuale, scritte nei due anni successivi, intitolate Schopenhauer come educatore e Richard Wagner a Bayreuth, vengono accomunate nella descrizione, all’interno di Ecce Homo, in quanto Nietzsche nota in sé tratti del pensiero sia schopenhaueriano che wagneriano.

Lette nel complesso, le Inattuali mostrano chiaramente come la guerra che deve essere mossa da chi ricerca la via per l’Oltreuomo, debba investire gli ambiti più profondi di una società. L’attacco nietzschiano alla cultura tedesca è iniziato con questi scritti che lo stesso autore non rinnega, ma che ridimensiona certamente. Il pensatore vede questi testi, specialmente le ultime due Inattuali, come strumenti “per avere in mano un paio di formule, di segni, di strumenti linguistici in più”. Non sono, quindi, opere che fondano temi che lo Zarathustra riprenderà in maniera dettagliata e approfondita, ma piuttosto scritti che devono forgiare il carattere di un avversario della società moderna.

Il periodo in cui il pensiero nietzschiano subì una svolta radicale è sicuramente riconducibile agli anni della stesura di Umano, troppo umano. Lo stesso autore ricorda che l’opera, iniziata tra il Luglio e l’Agosto del 1876, nasceva dalla “profonda estraneità” a tutto ciò che lo circondava a Bayreuth. E’ in questi mesi che si consuma la definitiva rottura con Wagner. Il distacco dal musicista porta Nietzsche ad uno spaesamento che si traduce in un’analisi attenta della morale, che avrà esiti innovativi.

Ma per capire il vero valore di questo testo, basta ricordare le parole che usa il filosofo tedesco per descriverlo: “Umano, troppo umano è il monumento di una crisi. Dice di essere un libro per spiriti liberi: quasi ogni frase vi esprime una vittoria - con quel libro mi sono liberato di ciò che non apparteneva alla mia natura”.

Sono parole estremamente enfatiche che portano all’attenzione una figura che può essere intesa come un ponte che fa da tramite tra l’ultimo uomo e l’Oltreuomo. Si tratta dello spirito libero. L’individuo che può godere di questo appellativo è colui che, conscio della natura antropologica dei dettami morali, inizia ad avere una nuova visione della realtà; una sorta di disincanto.

Ecco che il lettore di Ecce Homo non può esimersi, perlomeno, dall’interrogarsi sulla natura della moralità che, inevitabilmente, lo impregna. Se l’indagine su di essa sarà profonda e oculata, come è convinto Nietzsche che sia stata la sua, non si potrà che acconsentire con l’idea che ogni imperativo morale era, è stato e sarà sempre “umano, troppo umano”.

Nietzsche vuole che il lettore capisca che non esistono obblighi morali riconducibili a verità esterne all’uomo. E’ l’individuo umano l’artefice di tutto ciò che, ancora oggi, è riferibile a effettive norme di convivenza.

Il sentimento che, per antonomasia, caratterizza la moralità è l’altruismo.

Un simile stato d’animo, lo afferma lo stesso autore, aveva segnato anche la sua giovinezza: “… tutto mi sembrava preferibile a quell’indegno altruismo in cui ero incappato, all’inizio per ignoranza, per gioventù, ma restandoci poi attaccato per inerzia, per il cosiddetto senso del dovere.

Ormai appare evidente il percorso che il destinatario del testo, e Nietzsche stesso, di conseguenza, deve compiere. Tutto ciò che ha ammantato la vita sociale con gli altri individui, che ha spinto l’uomo ad agire secondo moralità, è malato. E non si tratta, come si può semplicisticamente supporre, di una smania anticonformista. Qui entra in gioco una motivazione più stringente, più essenziale: si ricerca la verità. Finché l’uomo resta appeso all’illusione della morale non potrà mai trovare la via per l’Oltreuomo, meta ultima del percorso nietzschiano.

Si può già intuire, quindi, lo scopo dei testi finora trattati: si sta spianando la strada a qualcosa di sconvolgente e maestoso. Qualcosa che, però, non può essere accolto senza una dovuta preparazione.

La tematica del compito di cui Nietzsche si sente investito ritorna a più riprese nella trattazione di Umano, troppo umano. Il motivo risulta ovvio: il lettore deve sapere di non essere solo nel suo itinerario di rinascita, e non è neppure il primo a compierlo. A mano a mano che si prosegue nella lettura di Ecce Homo si respira quasi una sorta di rassicurazione verso colui che si fa coinvolgere dal messaggio del pensatore. Appare ancora più chiaro, quindi, come ci si trovi di fronte ad un testo invaso da una duplice responsabilità che scaturisce da un legame sempre più stretto che lega Nietzsche ed il suo uditore.

Tutto ciò che è stato affermato sin qui sembrerebbe, però, crollare, con la definizione che viene data di Aurora, pensieri sulla morale come pregiudizio: “Con questo libro comincia la mia campagna contro la morale.

Un simile incipit può condurre il lettore a pensare che solo con Aurora, e non prima, inizi l’attacco alla morale. Ma non è esattamente così.

La motivazione che ha spinto Nietzsche a definire così questo testo sta nel fatto che l’accusa alla morale, nei testi antecedenti ad Aurora, può essere definita come sotterranea. Con questa nuova opera l’autore, invece, viene allo scoperto. Ciò che nei testi appena trattati appariva come chiaro, ma solo dopo un’attenta lettura, in Aurora diviene esplicito. Il messaggio innovatore che veniva annunciato era talmente spiazzante che necessitava di un’esposizione graduale. Il pensatore tedesco ritiene, ormai, che non sia più necessario tentennare o nascondersi: in Aurora si può attaccare senza timore la morale perché un simile azzardo era già stato suggerito nei testi precedenti.

Ma lo stesso Nietzsche sa che questa nuova opera è segnata da diversi elementi essenziali e quasi nuovi, rispetto ai precedenti. Si tratta di un libro che funge da soglia a nuove verità. Ma è una porta che si apre senza fragore o rumori di lotta. E’ un testo molto più sobrio, nello stile, rispetto agli altri: “Non che vi si avverta, neppur minimamente, l’odore della polvere da sparo (…). Ma se si prende congedo da questo libro portando dentro di sé un’ombrosa prudenza verso tutto quanto fino oggi è stato onorato e perfino venerato sotto il nome di morale, ciò non contraddice al fatto che in tutto il libro non si scopre una parola di negazione, un attacco, una malignità”.

Ciò che fino ad Umano, troppo umano era sembrata un’analisi profonda della morale, adesso sfocia nel definitivo ed inappellabile rifiuto di questo inganno millenario.

Ma è un rifiuto che apre a nuove albe, a nuove aurore, appunto. Questo perché la “morale non viene attaccata, semplicemente non viene più presa in considerazione …”; ed è un’ammissione notevole. Anche in ciò sta l’evidente differenza tra Aurora e i testi precedenti: prima si criticava la morale come qualcosa di negativo, ora si va al di là di essa, verso nuove strade. Sembrerebbe quasi che nei confronti della morale ci compia quel balzo che poi dovrà ripetersi rispetto all’uomo. Infatti le prime parole rivolta da Zarathustra alla folla saranno: “L’uomo è qualcosa che deve essere superato”.  

Basta, come suggerisce Nietzsche stesso, leggere le ultime righe del testo per notare che di fronte e noi si apre una nuova via, seppur nebulosa: “Un giorno, si dirà forse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere un’India, ma che fu il nostro destino naufragare nell’infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure?”.

La domanda che aleggia in queste parole è, in realtà, un’indicazione sul percorso che il lettore dovrà seguire. Nel momento in cui la morale, a cui ci si era sempre affidati nella vita, crolla, si può sprofondare nella desolazione più opprimente o cercare nuove strade. E’ quest’ultima la soluzione che Nietzsche propone. Esiste una nuova via!

E ancora una volta, in maniera quasi ossessiva, l’autore esprime ancora l’idea di essere investito di un compito, di una missione: “Il mio compito: preparare per l’umanità un momento di suprema riflessione su se stessa (…); questo compito è una necessaria conseguenza per chi ha compreso che l’umanità non va per conto suo per la strada giusta”.

L’intera specie umana, quindi, non può salvarsi da sola, perché è impregnata dalla morale che è il fulcro della “décadence”. Si tratta quasi di un circolo vizioso: per rinascere occorre rifiutare la morale, ma ciò che non permette la rinascita è la morale stessa.

Una volta, però, capita l’origine di essa e abbracciato il suo rifiuto con distacco, una nuova strada appare percorribile. Se si vuole parlare di un nichilismo nietzschiano lo si può fare solo a patto di intenderlo come una sospensione esclusivamente temporanea dell’esistenza di basi solide.

Una volta indicato uno spiraglio, lo scopo di Nietzsche è quello di accennare quale sarà la caratteristica essenziale della nuova via.

Il titolo dell’ultimo testo, prima dello Zarathustra, è emblematico: La gaia scienza. Lo stato d’animo che deve avvolgere il lettore che ha compreso le verità dei testi antecedenti a questo deve essere quello della gioia, della felicità. Una felicità che scaturisce dalla libertà che ora è veramente tale, dal momento che la morale è crollata sotto i colpi di Aurora. Non a caso, come si vedrà più avanti, anche l’incedere di Zarathustra è un danzare, un simbolo di gioia e gaiezza.

La gaia scienza può apparire, senza forzature, come un testo propedeutico. Esso dispone l’animo del lettore in maniera adatta ad accettare il messaggio futuro che verrà comunicato per bocca di Zarathustra.

E’ un’opera, inoltre, della maturità interiore di Nietzsche. Egli è cresciuto con i suoi testi, ha approfondito temi necessari per arrivare a nuove realtà. E come lui è maturato, così il lettore deve aver seguito gli stessi, identici passi.

Sembra quasi di trovarsi di fronte a un libro che attende una novità esaltante, qualcosa che non si credeva potesse nascere. Già è stato detto come la responsabilità si esprima anche nella capacità di “fare promesse”; ora si sta aspettando che venga rispettata la promessa fatta coi primi testi.

Lo stesso Nietzsche sembra esserne più che consapevole perché descrive La gaia scienza come un testo che dice qualcosa: “Aurora è un libro che dice sì, profondo, ma chiaro e benigno. Lo stesso vale di nuovo e in grado supremo per la gaya scienza. Inoltre, più avanti nel testo, quando inizierà a descrivere con chiarezza il valore dello Zarathustra affermerà che “il periodo intermedio è occupato dalla gaya scienza, che rivela da cento segni la prossimità di qualcosa di incomparabile; alla fine vi compare addirittura l’inizio dello Zarathustra, e il penultimo pezzo del quarto libro presenta il pensiero fondamentale dello Zarathustra.

Quindi, senza ombra di dubbio, Aurora e La gaia scienza sono testi legati tra loro indissolubilmente; e non potrebbe essere diversamente, dal momento che il primo testo si concludeva con una domanda che reclamava una risposta. Il primo “sì”, che caratterizza Aurora, è un’affermazione che esprime la certezza di una nuova strada possibile, il secondo “sì”, invece, che impregna La gaia scienza, è un “sì” più poderoso, più deciso, che indica la possibilità di nuove realtà. Il primo è un “sì” che accenna, il secondo dispiega.

Appare ormai chiaro, quindi, che l’autore sta conducendo il suo “uditore” verso una meta chiara e precisa. Il percorso che era iniziato con La nascita della tragedia si sta dirigendo verso il suo punto più elevato e denso di contenuti.

In Così parlò Zarathustra si raggiungerà la meta tanto agognata: l’Oltreuomo.

 

 

 

5. Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno. L’Oltreuomo e l’Eterno Ritorno dell’Uguale

 

Se La nascita della tragedia, Le inattuali, Umano, troppo umano, Aurora e La gaia scienza costituiscono la pars destruens del pensiero nietzschiano, Così parlò Zarathustra può essere inteso come il fulcro della pars costruens.

Eugen Fink lo definisce, addirittura, come “il mezzogiorno del suo pensiero”, come un momento di massimo splendore letterario, ma anche come culmine di un processo che, come abbiamo visto era cominciato fin dal primo testo del pensatore.

In Così parlò Zarathustra, come già anticipato, si trovano le risposte a tutte le domande lasciate in sospeso nelle opere precedenti. E ciò è possibile in quanto l’opera condensa al suo interno i temi cardine della filosofia nietzschiana.

Scritto con un linguaggio simile a quello evangelico, ritrova in questa sua peculiare caratteristica la pretesa di volersi sostituire ai quattro vangeli, in aperta critica con la morale cristiana.

 L’evento narrato (la discesa di Zarathustra tra gli uomini ed il suo successivo ritorno tra le vette) sebbene molto semplice, in realtà appare come uno strumento per esprimere, anche in maniera metaforica, ciò che occorre realmente fare per diventare “uno” Zarathustra.

Ma chi è Zarathustra nel pensiero nietzschiano?

La risposta, tutt’altro che semplice, è anche il centro del tema fin qui trattato. La responsabilità che Nietzsche aveva sentito gravare sulle proprie spalle si espleta in Così parlò Zarathustra, come si può capire sia dall’analisi dei testi ad esso precedenti che, come già detto, erano diretti ad una meta specifica; sia perché è attraverso la bocca del profeta dell’Oltreuomo che Nietzsche indica al lettore come diventare ciò che si deve essere. Una volta capito chi sia veramente, in profondità, il protagonista di quest’opera, si potrà capire come la responsabilità nietzschiana si manifesti e, di conseguenza, come il lettore debba disporsi di fronte a questo testo. Capire chi sia Zarathustra è necessario perché in esso pulsa la responsabilità nietzschiana e in lui deve riflettersi la responsabilità anche del lettore. La meta principale del viaggio intrapreso è la comprensione dello Zarathustra.

Le parole di Nietzsche su questo profeta dell’Oltreuomo sono importanti per capire, innanzitutto, perché sia stato scelto questo personaggio storico:

 

“Nessuno mi ha domandato, e avrebbe dovuto domandarmelo, che cosa significhi, proprio sulla mia bocca, sulla bocca del primo immoralista, il nome di Zarathustra: perché ciò che costituisce l’enorme unicità di quel persiano nella storia è proprio l’opposto. Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene ed il male la vera ruota che spinge le cose – è opera sua la traduzione della morale in termini metafisici, in quanto forza, causa, fine in sé. Ma questa domanda, in fondo, verrebbe già da risposta. Zarathustra ha creato quest’errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell’errore. (…) La cosa più importante è che Zarathustra è veritiero più di ogni altro pensatore. La sua dottrina, ed essa sola, pone la veracità a virtù suprema. (…) Zarathustra da solo ha più coraggio in corpo di tutti gli altri pensatori messi insieme”.

 

Si tratta di un preciso ritratto del protagonista dell’opera. Un uomo coraggioso che ha saputo riconoscere un errore fatale, da egli stesso compiuto, ed ha avuto una forza interiore tale da riuscire a superarlo. Non si tratta di incoerenza, ma di saggezza; la saggezza della verità che si espande da ogni parola del profeta. Il lettore dovrà, di fronte al parlare di Zarathustra, prestare attenzione, perché nelle sue frasi aleggia la “veracità”, una verità che deriva dal suo coraggio.

Ma un testo veramente indispensabile per tentare di comprendere a fondo la natura di Zarathustra è sicuramente Che cosa significa pensare? di Martin Heidegger. La prima parte di quest’opera ha un titolo emblematico: CHI E’ LO ZARATHUSTRA DI NIETZSCHE?

Attraverso un’attenta analisi del valore e del senso del pensare in ambito moderno, il filosofo tedesco giunge a prendere in esame lo Zarathustra di Nietzsche: si interroga sulla figura centrale dell’opera.

Per comprenderla a fondo occorre, innanzitutto, capire perché essa sia stata scritta e su questo punto Heidegger è chiaro: “Eppure a volte chi insegna deve alzare la voce (…) Ma Nietzsche doveva gridare, e per farlo non gli restava altro modo all’infuori della scrittura. Questo grido scritto del suo pensiero è il libro che intitolò Così parlò Zarathustra.

Da queste affermazioni appare chiaro che Nietzsche, con lo Zarathustra, vuole insegnare qualcosa e lo vuole fare alzando la voce, perché si tratta di un insegnamento, evidentemente, di importanza notevole per chi lo apprenderà.

Già si è tentato di spiegare quale sia lo scopo di questo testo, seguendo la strada tracciata dai primi scritti, ma ora si deve entrare più in profondità perché Così parlò Zarathustra è, secondo le indicazioni di Heidegger e dello stesso Nietzsche, un’opera che ha come compito base quello di rendere manifesti due punti cardine del pensiero nietzschiano: l’eterno ritorno dell’uguale e l’Oltreuomo.

Si tratta di due temi strettamente legati che si rinviano l’un l’altro reciprocamente come spiega con chiarezza Heidegger: “Zarathustra insegna la dottrina del superuomo perché è il maestro dell’eterno ritorno delle stesse cose. Zarathustra insegna le sue dottrine contemporaneamente, perché esse sono connesse nella loro essenza. Ma perché sono connesse? Non perché esse siano particolari dottrine, ma perché in entrambe è pensato contemporaneamente ciò che già all’inizio è connesso, ciò che quindi viene inevitabilmente pensato insieme, l’esse dell’essente e il suo rapporto con l’essenza dell’uomo”.

Secondo Heidegger, quindi, i concetti cardine dello Zarathustra, sono legati all’essenza dell’uomo, alla sua natura di soggetto pensante e non è possibile vederne uno subordinato all’altro, ma solo come complementari e necessari. Non esiste l’Oltreuomo senza l’eterno ritorno dell’uguale, ma non può nemmeno essere compreso quest’ultimo pensiero se si rifiuta la possibilità della grandezza dell’Oltreuomo.

In questo modo, le caratteristiche che contraddistinguono l’eterno ritorno dell’uguale possono essere traslate anche sull’Oltreuomo e, se ci si rifà alle parole dello stesso Nietzsche, ovvero “il pensiero dell’eterno ritorno, la suprema formula dell’affermazione che possa mai essere raggiunta”, si può ragionevolmente intendere l’Oltreuomo come uno stadio di massima realizzazione dell’individuo.

Si tratta, ora, di capire se Zarathustra sia o meno l’Oltreuomo e, successivamente, comprendere se Nietzsche sia solo un portavoce di Zarathustra o quest’ultimo sia una metafora, una personificazione, del filosofo tedesco.

Per quanto riguarda la prima questione si può notare come tutti i tratti caratteristici di Zarathustra siano quelli che contraddistinguono un profeta che ha, ormai, superato lo stadio che segna l’ultimo uomo. Infatti, quando Zarathustra descrive alla folla questa entità, se così la si può definire, la dipinge così: “(…) gli ultimi uomini (…) hanno lasciato le contrade in cui era duro vivere: perché si ha bisogno di calore”. Ma se si osserva la condizione iniziale dalla quale parte Zarathustra, si comprende subito che egli agì nel modo esattamente opposto, cercò un luogo in cui fosse arduo vivere: “Al compimento del trentesimo anno, Zarathustra lasciò la patria ed il lago della sua patria e andò sui monti”.

Eppure Heidegger sostiene che “Zarathustra non è ancora il superuomo, ma colui che, per primo va oltre verso di lui, colui che sta diventando superuomo”. Tale tesi può essere accolta solo in un primo momento, cioè nella parte iniziale dello Zarathustra, quando il protagonista del testo mostra ancora evidenti segni della sua “vita passata” da uomo comune; per esempio l’illusione che la folla raccolta nella piazza possa accettare a braccia aperte l’ipotesi dell’Oltreuomo. Ma una volta presa coscienza della propria condizione Zarathustra sa di essere ormai solo, ma è questa solitudine un tratto caratteristico dell’Oltreuomo. Quindi all’inizio del testo Zarathustra è un Oltreuomo in potenza, ma poco dopo il PROEMIO o, comunque, entro la fine del testo egli è un Oltreuomo in atto.

Sono molti altri gli elementi che mostrano come Zarathustra sia l’Oltreuomo. Il suo incedere come un danzatore, la sua chiara, netta e precisa accettazione dell’eterno ritorno dell’uguale, il suo caratteristico stato di solitudine quasi perenne che lo avvolge. In Così parlò Zarathustra si descrive la condizione dell’Oltreuomo, attraverso l’Oltreuomo stesso, cioè Zarathustra.

Ma Zarathustra non è solo l’Oltreuomo, ma anche il profeta della sua stessa venuta, perché nell’insegnare alla folla l’Oltreuomo lui annuncia se stesso. E la condizione che porta un comune individuo a compiere quel salto necessario è la comprensione dell’eterno ritorno dell’uguale a cui si lega, come abbiamo già detto per il concetto dell’Oltreuomo, anche l’idea della volontà di potenza. E’ necessario chiarire questo tema se si desidera capire se Nietzsche sia o meno Zarathustra.

Nello Zarathustra vi è un passo che descrive attraverso una metafora la concezione dell’eterno ritorno dell’uguale, forse si tratta del passo che meglio caratterizza questa tematica ed è posto nel secondo paragrafo del capitolo intitolato DELLA VISIONE E DELL’ENIGMA:

 

“Vidi un giovane pastore che si contorceva convulsamente, come se stesse per soffocare, con la faccia stravolta, mentre dalla bocca gli pendeva un greve serpente nero. Avevo mai visto tanto schifo e pallido orrore dipinto su un volto? (…) Voi, uomini ardimentosi che mi attorniate (…) scioglietemi l’enigma che allora contemplai (…) giacchè una visione essa fu e una previsione: che cosa vidi allora in simbolo? E chi è colui che un giorno dovrà venire? (…) Ma il pastore diede un morso; come il mio grido gli ingiungeva di fare; e diede un buon morso! Sputò lontano la testa, staccata del serpente e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo – un essere trasformato, circonfuso di luce, che rideva! Mai prima sulla terra aveva riso un uomo come rideva lui! (…) Mi consuma la nostalgia di quel riso”.

 

Fuor di metafora, si può comprendere come il serpente che soffoca il pastore possa essere inteso come il concetto dell’eterno ritorno dell’uguale che, in quanto pensiero abissale, rischia di soffocare un individuo dallo sgomento e dalla difficoltà di accettare una simile verità. Il morso che il pastore dà è la manifestazione della volontà di potenza che Zarathustra aveva ingiunto al pastore di mostrare. Ciò che diviene successivamente l’uomo che rischiava di morire è l’Oltreuomo.

In sintesi, si capisce come solo un individuo che sa vivere la propria volontà di potenza riesca a comprendere a fondo ma, soprattutto, ad accettare, l’eterno ritorno dell’uguale; e questo individuo è l’Oltreuomo.

Chiarito il legame tra i tre concetti base dello Zarathustra e compreso come il profeta sia l’Oltreuomo stesso, possiamo analizzare la sua figura in relazione a quella di Nietzsche.

A questo punto la situazione si complica notevolmente perché tra tutte le opere nietzschiane non sono pochi i passi che possono essere portati sia a sostegno della testi della completa identità tra Zarathustra ed il suo creatore, che di una totale differenza tra i due. Tale situazione si mostra anche in passi diversi nella stessa opera, come accade in Ecce Homo.

Un’affermazione sembra sostenere l’identità assoluta: “Zarathustra determina con rigore il suo compito – è anche il mio”. Ma un passo di poco precedente asserisce che un “presupposto fisiologico” di Zarathustra è la “grande salute, caratteristica che sicuramente a Nietzsche manca, come più spesso ribadisce egli stesso.

Neppure l’interpretazione che dà Heidegger pare risolvere la questione. L’idea che Zarathustra sia Nietzsche, ipotizzata in questo passo di Cosa significa pensare?: “E come se Nietzsche avesse previsto anche questo: non a caso, infatti, fa dire al suo Zarathustra Tutti parlano di me ma nessuno mi pensa, come se Zarathustra proferisse parole che solo Nietzsche può pronunciare; viene smentita alcune righe prima: “Sapeva Nietzsche che qualcosa che non si può perdere era venuto attraverso di lui [Nietzsche] alla parola!”, dove s’intuisce che Nietzsche usi solo Zarathustra come mezzo di annuncio e non come metafora di sé; non a caso, infatti, spesso Heidegger asserisce che sia Nietzsche a far dire qualcosa al suo Zarathustra e non egli stesso che si esprima.

A questo punto la soluzione può essere trovata solo attraverso un’analisi razionale del quesito e, ancor di più, prendendo il considerazione proprio il concetto di responsabilità espresso da Nietzsche. Come in Ecce Homo, anche in Così parlò Zarathustra si avverte come il lettore sia ancora obbligato a farsi carico delle parole lette e comprese. Quindi, la stessa responsabilità che avverte il Nietzsche di Ecce Homo è identica a quella che si mostra nello Zarathustra, ma è una responsabilità che va vissuta diversamente, seppure uguale nel contenuto.

La responsabilità dell’ultimo testo nietzschiano è una responsabilità che si dovrà esprimere nella vita pratica mentre; nel testo cardine del pensiero del filosofo, invece, si tratta di una responsabilità interiore, una responsabilità che deve spingere alla maturazione.

Questo scarto è l’elemento che permette di capire quale sia la differenza tra Zarathustra e Nietzsche, quindi. Zarathustra parla dell’Oltreuomo a chi lo sappia e voglia ascoltare, ma la successiva accettazione del messaggio da parte del lettore non inficia lo scopo ultimo del testo. Invece, in Ecce Homo, come già abbiamo detto, l’accettazione della responsabilità che il testo esige è una condizione sine qua non perché l’opera realizzi la sua funzione.

In ultima analisi Zarathustra basta a se stesso, essendo già Oltreuomo, non sente la necessità che qualcuno lo segua. Nietzsche, invece, ha bisogno che qualcuno accetti la responsabilità, come lui e la viva sino in fondo, pena il totale fallimento della sua missione, addirittura della lotta di tutta la sua vita. Zarathustra è il proprio fine in perenne realizzazione mediante la volontà di potenza, Nietzsche non può realizzarsi da sé, ma necessita di uditori e, perciò, non è Zarathustra nella sua essenza più intrinseca.

Ma qual è, quindi, in sintesi, lo scopo dello Zarathustra?

Ancora una volta possono risultare utili le parole di Nietzsche: “la concezione fondamentale dell’opera: il pensiero dell’eterno ritorno dell’uguale, la suprema forma dell’affermazione che possa mai essere raggiunta”.

Da queste poche righe appare chiaro come un simile concetto faccia da perno centrale di tutta la massima opera del filosofo. Già è stato detto che non si tratta dell’unica tematica esposta, ma sicuramente si tratta di un’idea basilare, forse la più importante.

E’ innegabile, però, che tale concetto appaia abbastanza oscuro nella scrittura nietzschiana. L’eterno ritorno dell’uguale non viene spiegato o esposto con una chiarezza notevole. Lo stesso Eugen Fink riconosce una notevole nebulosità del concetto: “il pensiero più abissale della filosofia di Nietzsche [l’eterno ritorno dell’uguale], sta in una singolare penombra. Apparentemente manca di una precisa rielaborazione ed impronta concettuale; è più simile ad un’oscura profezia, alla rivelazione divinatoria di un segreto”.

Ma come potrebbe essere diversamente, d’altronde? Una simile tematica non può essere esposta, non è un modo di vivere che deve essere assimilato o compreso, è un pensiero che tocca le vette più alte e, nel contempo, si perde in profonde oscurità. E’ un concetto che atterrisce, ma che anche solleva dalla bassezza della normale condizione umana; si tratta di qualcosa che esula dalla semplice comprensione. Infatti, ancora una volta Fink giustifica la vaga trattazione del tema, da parte di Nietzsche, con una motivazione condivisibile: “Zarathustra è il maestro dell’«Eterno Ritorno dell’Uguale», ma non lo insegna veramente, si limita ad indicarlo (…). Ma non è l’equivoco piacere delle maschere, per il travestimento, che lo conduce a parlare per enigmi; Nietzsche (…) è al limite di ciò che per lui è dicibile, a un limite del LOGOS, della Ragione e del Metodo”.

Ed è forse da queste parole di Fink che si può capire come Nietzsche sia finalmente andato oltre alla semplice lotta metaforica contro tutto ciò che era comunemente accettato. Come può un discepolo di Zarathustra condividere una esistenza segnata da qualcosa che non viene spiegato, ma solo ipotizzato, come se si trattasse di una realtà onirica?

Chi accetta l’eterno ritorno dell’uguale, lo accetta in quanto Oltreuomo, e se qualcuno è Oltreuomo vuol dire che ha compreso il messaggio nietzschiano e ciò, in conclusione, porta a capire come, forse, il filosofo sia riuscito nella prima parte del suo compito: mostrare come l’Oltreuomo sia una condizione necessaria per vivere una nuova vita che, poi, in Ecce Homo diventa meta agognata.

L’eterno ritorno dell’uguale compreso, seppur con un percorso poco lineare e che sfugge alle briglie della razionalità tipicamente occidentale, pretende una disposizione nei confronti della vita totalmente nuova. Se ogni istante si ripeterà identico a se stesso, l’uomo viene inevitabilmente portato a vivere ogni sua pulsione fino in fondo senza temerla, ma assaporandola a pieno, conscio che la rivivrà in maniera identica. Ecco, quindi, che l’individuo consapevole di questa realtà in perenne ritorno impara a vivere davvero.

Forse è proprio attraverso tale tematica che il dionisiaco, dei primi testi, diventa stile di vita necessario.

Ed è qui, inoltre, che l’eterno ritorno dell’uguale si intreccia intimamente con la volontà di potenza. Altro tema dai connotati sfumati, se non poco chiari.

Cosa sia in verità la volontà di potenza è sicuramente un quesito importante, ma la risposta richiederebbe una trattazione estremamente dettagliata, che ci porterebbe al di là del nostro compito. Ai fini del tema della responsabilità è però utile capire che questa grande forza creatrice e realizzante, per l’uomo, può essere intesa come un potenziatore della responsabilità.

Heidegger vede in essa un accrescimento del concetto di volontà; si tratta, per lui di una volontà di volontà. Per Deleuze, invece, viene posto l’accento sul valore dell’intensità che è posseduta da ogni cosa, anche se il tema dell’eterno ritorno è qui visto come un riapparire del sempre diverso, più che dell’uguale.

Sia che si accetti la prima ipotesi, che la seconda, la responsabilità viene inevitabilmente amplificata in maniera esponenziale.

Se si diventa creatore di qualcosa mediante la propria potenza intrinseca, spinta da una volontà interiore, è ovvio che sulle spalle di chi costruisce questo “qualcosa di nuovo” ricade un peso notevole, che è proprio quello della responsabilità.

Attraverso queste considerazioni si può comprendere come Nietzsche abbia costruito un’opera, con Così parlò Zarathustra, che traccia un sentiero che conduce i suoi lettori verso una nuova esistenza. Si tratta, quasi, di un testo che insegna a vivere in modo diverso, tenendo sulle proprie spalle il peso di una responsabilità creatrice.

Ma lo Zarathustra è anche un testo del rischio, dell’ardire, dell’andare oltre, per vedere fino a che punto l’individuo sa costruire al di là dei limiti che gli sono imposti.

Zarathustra non è un eroe moderno, nel senso comunemente inteso da tutti. Egli è un profeta, certo, un oltre-uomo saggio, che ha sulle labbra parole nuove e ardimentose, ma è pur sempre un individuo solo, isolato, che sembra quasi fuggire dalla compagnia. E la solitudine è una realtà rischiosa, ma necessaria per andare oltre. Sono emblematiche, a questo proposito le parole di Zarathustra: “Quando venni per la prima volta tra gli uomini, commisi la stoltezza degli eremiti, la grande stoltezza: mi misi sul mercato. E quando parlai a tutti non parlai a nessuno. E la sera i miei compagni erano funamboli, e cadaveri; e io stesso ero quasi un cadavere. Ma il mattino seguente mi portò una nuova verità: fu allora che imparai a dire: « Che m’importa del mercato e della plebe e del chiasso della plebe e delle orecchie lunghe della plebe?»”. Quando Zarathustra parlò per la prima volta agli uomini, oltre ad essere deriso, si rese conto di aver cercato una maniera di espressione tipicamente umana, non “oltreumana”. Il cadavere, di conseguenza, che si portò sulle spalle fino al termine del PROEMIO, fu il suo unico compagno. Un Oltreuomo non può, però, essere come tutti gli altri individui e perciò deve amare il rischio, un rischio salvifico, però, sano, che non porta a diventare cadaveri, come stava per accadere allo stesso profeta.

Ed è a questo punto che Zarathustra insegna a chi lo voglia seguire come comportarsi:

 

 “E voi, uomini superiori, questo imparate da me: sul mercato nessuno crede agli uomini superiori. E se proprio volete parlare lì, sia pure! Ma la plebe ammiccherà: «Noi siamo tutti uguali!».«O uomini superiori – così dice ammiccando la plebe – non ci sono uomini superiori, noi siamo tutti uguali, l’uomo è uomo, davanti a Dio siamo tutti uguali!» Davanti a Dio! Solo che questo Dio è morto. Davanti alla plebe invece non vogliamo essere uguali. O uomini superiori, andate via dal mercato!”.

 

In questo passo rifulge un insegnamento importante. Si capisce che la responsabilità che l’uomo porterà sulle proprie spalle è multiforme. E’ una responsabilità che si manifesta attraverso molti concetti come la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’uguale, ma si mostra anche nell’agire solo per se stessi, in primis, e non per il volgo.

Si tratta, forse, di un responsabilità parziale, falsa, dal momento che non ci si rivolge a qualcuno in particolare, così da non tradire nessuno, nel caso essa non venga rispettata?

Per nulla; si tratta, invece, di fare promesse a se stessi, alla propria realtà più recondita, si tratta di non tradirsi, di essere responsabili verso un Io profondo. Ma è qui che si comprende, allora, l’attacco alla morale occidentale, che vedeva nella religione un baluardo resistente. Secondo Nietzsche la religione cristiana aveva mortificato il corpo e l’uomo stesso, lo aveva reso incapace, quindi, di responsabilità verso di sé. L’esistenza di un Dio che predicava l’amore dell’alterità aveva reso cieco l’uomo verso di sé; con la fede cristiana l’uomo era responsabile verso l’altro, ma non più verso di sé. L’unica strada per riprendersi da questo torpore dell’ego, quindi, era quello della distruzione dell’esistenza di Dio. E Zarathustra è profeta di una nascita, quella dell’Oltreuomo, a spese di una morte, quella di Dio. L’attacco alla morale cristiana non è una novità nel pensiero nietzschiano, ma nello Zarathustra molti passi sono emblematici.

Basti pensare all’incontro col santo che gli parla dell’egoismo degli uomini e dell’amore di Dio; di fronte a ciò la reazione di Zarathustra è sprezzante: “E’ mai possibile? Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire, qui nel suo bosco, che Dio è morto!”. Inoltre, il pericolo anestetico, quasi mortale, del credere in Dio, appare lampante in un passo dell’ultima parte dell’opera, nel quarto libro, quando Zarathustra dice: “Davanti a Dio! Solo che questo Dio è morto! O uomini superiori, questo Dio era il vostro più grande pericolo. Solo dacché giace nella tomba, voi siete risorti. Solo ora verrà il grande meriggio, solo ora l’uomo superiore diverrà padrone”.

Sono, di conseguenza, molti gli ostacoli che l’uomo che vuole “andare oltre” deve superare. Sono tutti ostacoli che un tempo erano appigli salvifici. Lo Zarathustra appare come un testo della rottura totale con tutto ciò che prima era accettato passivamente. Non è sbagliato, quindi, ritenere che Nietzsche, con quest’opera, assolva un compito che si stava pian piano plasmando con le lotte che lo avevano accompagnato per tutta la vita precedente.

Compreso ciò, si può capire come tale opera sia il punto di congiunzione tra i due iter che abbiamo illustrato. Nietzsche, da un lato ha creato il suo più grande personaggio raggiungendo un punto del non-ritorno, ma dall’altra parte il lettore deve abbandonarsi al profetico parlare di Zarathustra. Si tratta di un do ut des, dove la responsabilità di entrambi, discepolo e maestro, o lettore e filosofo, si estrinseca con forza, trovando un corrispettivo che la completa. Una responsabilità totalizzante, che si ripiega su di sé, abbattendo la morale cristiana, e che si rivolge all’esterno ritrovandosi in un’alterità che segue un percorso parallelo. Se non ci fosse stato lo Zarathustra, non ci sarebbe stato Ecce Homo, inteso come testo della responsabilità.

Ma, come abbiamo detto, in Così parlò Zarathustra, inizia la pars costruens di un progetto filosofico che inizia dalla distruzione. Sulle ceneri della morale nasce un nuovo uomo che percorrerà nuovi sentieri. Che ne sarà, quindi, del vecchio uomo, dell’ultimo uomo?

E’ una domanda che è necessario porsi perché se l’Oltreuomo è un individuo che crea grazie alla conoscenza profonda di sé, essa non può sussistere se non si conosce cosa ha preceduto questo grande evento. La risposta, però, per Nietzsche diventa una ricerca disperata di qualcosa da salvare in una realtà che viene destrutturata, perché ciò che c’è stato prima era malato e putrido. Dice Zarathustra: “In verità un fiume lutulento è l’uomo. E bisogna essere un mare, per poter accogliere un fiume lutulento senza diventare impuri. Vedete, io v’insegno il superuomo: esso è questo mare in cui può inabissarsi il vostro grande disprezzo”.

L’Oltreuomo è quindi una fenice senza memoria? No, ma è una fenice che rifiuta il male del proprio passato tanto da cancellarlo con un estremo atto di volontà di potenza. Come quest’azione generatrice si esprime al massimo grado con l’accettazione dell’eterno ritorno dell’uguale, essa può trovare continua forza propulsiva nel guidare il nuovo uomo al di là di un passato da rigettare perpetuamente. Il rifiuto di ciò che si era, coerentemente con i temi cardine del testo, si ripeterà in eterno.

Ma viene eliminato solo il male dell’esistenza passata. Quindi, della vita da ultimo uomo c’è qualcosa da salvare? Esiste un minimo segno positivo?

Ancora una volta il dialogo con gli uomini superiori dà la risposta: “I più solleciti domandano oggi: «Come si conserva l’uomo?». Invece Zarathustra, primo e unico, domanda: «Come si supera l’uomo?». A me sta a cuore il superuomo, per me egli è la prima e l’unica cosa. (…) Fratelli miei, quello che io posso amare nell’uomo, è che egli sia un passaggio e un tramonto”.

Il progetto che deve seguire il lettore, quindi, è a tutto tondo. Coinvolge il passato da ultimo uomo, da “corda annodata tra l’animale e il superuomo - una corda tesa sopra l’abisso”; il presente di tensione verso un nuovo individuo e il futuro da entità creatrice attraverso una volontà totalizzante.

Quindi, la scelta di seguire Nietzsche, e Zarathustra, non ammette pressapochismi, non si tratta di un’accettazione parziale di una missione. O si vola oltre il baratro che è l’ultimo uomo, o si rimane destinati ad una vita malata.

Ecco che ritorna, ancora una volta, il tema delle missione che, all’inizio di Ecce Homo, sembrava investire solo il pensatore tedesco, anche se poteva sembrarlo esclusivamente con una prima e superficiale lettura. Ora essa coinvolge con forza il lettore; ma se si è compresa con chiarezza la realtà di Zarathustra non si potrà sperare che si tratti di un compito facile o accettabile alla leggera. Il percorso finale che si intravede nella quarta parte dello Zarathustra sembra essere una continua e ricercata espressione della volontà di potenza di chi anela all’Oltreuomo:

 

 “Avete coraggio, fratelli? Avete cuore? Non il coraggio davanti a testimoni, ma il coraggio dei solitari, il coraggio delle aquile, che neanche più un dio sta a guardare? (…) Ha cuore chi conosce la paura, ma la domina, chi guarda l’abisso, ma con fierezza. Chi guarda l’abisso, ma con occhi d’aquila, chi adunghia l’abisso con artigli d’aquila: questi ha coraggio”.

 

Resta da chiedersi che ruolo rivesta, in quest’innumerevole quantità di tematiche di centrale valore e importanza, lo stile adottato da Nietzsche per scrivere quest’opera. E’ importante capirlo, perché si tratta di comprendere, come dice lo stesso pensatore, “in quale linguaggio parlerà un tale spirito, quando parla da solo con se stesso”. Se si è compreso il vero valore dell’Oltreuomo, si capisce che egli è un’entità creatrice, colma di gioia per ciò che è e ciò che sarà. E Nietzsche lo rende lampante adottando il linguaggio di Dionisio, che nella tragedia era il ditirambo. Ma si tratta di un nuovo metodo espressivo, non una semplice ripetizione di stili greci.

 Certamente il filosofo tedesco aveva una predilezione per la cultura greca pre-socratica e per il valore assunto dalla tragedia in quel periodo storico. L’assunzione del ditirambo, in senso metaforico soprattutto, come strumento espressivo appare una scelta dettata dalla certezza che solo uno stile che ricalcava il dionisiaco potesse essere adatto al vaticinio dell’Oltreuomo.

Dopo quest’attenta analisi dello Zarathustra si capisce come ogni tema e concetto si leghi strettamente ad un altro creando un testo coerente e, di certo, illuminante, per quanto riguarda il tema da noi preso in esame.

Al termine del capitolo dedicato a Così parlò Zarathustra, Nietzsche tratteggia un concetto che si ritroverà più oltre, ma che merita attenzione, perché indica una svolta nel modo di essere del pensatore stesso e del lettore, di conseguenza.

Scrive in poche righe Nietzsche: “Un presupposto decisivo per un compito dionisiaco è la durezza del martello, il piacere stesso del distruggere. L’imperativo «diventare duri!», la più riposta certezza che tutti i creatori sono duri, è il vero segno distintivo di una natura dionisiaca”.

Già è stato ripetuto più volte che, nell’essere Oltreuomo pulsa un coraggio e una forza senza pari. Il coraggio e la forza sono, per Nietzsche, caratteristiche tipiche del dionisiaco e quindi, della durezza di uno spirito.

  Ma se uno spirito è duro a sufficienza non temerà la distruzione di tutto. Questa è la missione che attende chi è riuscito a sopportare la forza dell’annuncio dello Zarathustra. Già un Oltreuomo non ha più appigli a cui stringersi per vivere, se non la propria volontà di potenza: per realizzarsi in toto, quindi, si dovrà mostrare la propria forza abbattendo ogni ostacolo. Insomma, Nietzsche sta plasmando se stesso e nel contempo forgia lo spirito del lettore. Una volta accettato lo Zarathustra, niente può più intimidire uno spirito libero.

La durezza dello spirito, di cui Nietzsche parla è la massima espressione di libertà possibile, ed è in questo coraggio roccioso che si manifesterà l’accettazione dei testi successivi. Se la volontà di potenza è veramente tale in chi legge, la distruzione di ogni idea ed etica non sarà inaccettabile; perché è questo ciò che attende il lettore: mettere alla prova la responsabilità di cui ci si è fatti carico. La domanda che ci si deve porre, ora, è: “Sono veramente degno di quel compito di cui Nietzsche si sentiva investito e che anche io, suo uditore, devo accettare?”

Quello che si mostrerà nei paragrafi successivi sarà un viaggio che passando per Al di là del bene e del male, la Genealogia della morale, Il crepuscolo degli idoli ed Il caso Wagner abbatterà il comune senso etico realizzando un destino.

 

 

 

 

6. Da Al di là del bene e del male a Il caso Wagner: come si realizza un destino

 

Se Così parlò Zarathustra appare come il culmine della filosofia nietzschiana, non è detto che il compito del pensatore sia concluso. L’annuncio di qualcosa di grande deve precedere, in quanto previsione, l’arrivo di ciò che è vaticinato. Se Zarathustra raccontava l’Oltreuomo, col corredo delle tematiche ad esso legate, ad esso doveva seguire l’atto di creazione che nasce dalla distruzione di ciò che non può coesistere con una volontà di potenza massimamente libera e responsabile.

Con i testi seguenti Nietzsche si accinge a trasvalutare ogni dettame che imbrigli l’agire umano. Non è, certamente, un’azione nuova per il pensatore tedesco, che già aveva rivelato un animo insofferente alle costrizioni morali. Ma c’è, sicuramente, uno spirito che si manifesta in maniera nuova, forse con una chiarezza, una limpidezza e una convinzione mai mostrate prima. I motivi sono diversi.

L’avvento dello Zarathustra, già è stato detto, ha imposto una svolta non solo nel suo autore, ma anche nei lettori. Se si vuole accettare l’idea del viaggio in comune tra Nietzsche ed i suoi uditori, allora entrambi sono mutati. Un testo così “monumentale” per il pensiero del filosofo non può essere sorvolato per dedicarsi a qualcosa di nuovo.

Ma oltre alla grandezza di Così parlò Zarathustra c’è anche la consapevolezza che si deve diventare Oltreuomo. Non basta averlo annunciato. Il nuovo uomo non è un insieme di parole, idee e ipotesi aleatorie. E’ un individuo che si realizza istante per istante perché non può fare altro, dal momento che tutto ciò che lo circonda è per lui inutile alla vita: egli deve creare da sé il proprio “habitat”. Quindi in Nietzsche, e nel lettore, nasce la certezza che ancora qualcosa da fare c’è. E non è un qualcosa che può essere sorvolato, perché ne va dell’esistenza stessa dell’Oltreuomo e, di conseguenza, l’abdicazione allo svolgimento di questo compito renderebbe inutile tutto lo sforzo compiuto per creare lo Zarathustra.

Infine, non c’è da dimenticare che la pars costruens del pensiero nietzschiano non è terminata. Se tutto crolla sotto i colpi della critica alla morale occidentale ed alla metafisica, cosa resta? Già è stato detto che il nichilismo nietzschiano, se di nichilismo si vuole parlare, è solo uno stato temporaneo; quindi occorre porre le basi per ciò che in Ecce Homo sarà l’auspicio: una nuova società composta da uomini rinati.

E’ con Al di là del bene e del male e, successivamente, con la Genealogia della morale, Il crepuscolo degli idoli ed Il caso Wagner che Nietzsche vuole assolvere il suo compito.

Tutto fa pensare, leggendo questi capitoli, che il pensatore veda, davanti a sé, forse oltre la sua morte, una meta, un fine, un destino. Nietzsche si sente investito da un compito, questo già lo si sa, ma ora il compito assume i contorni definiti di un destino. E c’è differenza tra i due concetti.

Un compito è un’ipotesi, un desiderio che, in questo caso, è imposto dalla “fierezza degli istinti”, ma che comunque non ha alcuna garanzia di successo e persistenza futura. Tutta l’opera nietzschiana, antecedente a queste ultime opere, aveva preso le mosse da questo concetto. Il filosofo si era dedicato anima e corpo a questa missione, senza mai gettare uno sguardo sul domani. La responsabilità che ha pervaso il cammino intrapreso, però, necessita di uno slancio futuro perché, se il compito si esaurisse con un desiderio senza garanzie, la responsabilità verrebbe meno, poiché muterebbe in speranza. Occorre essere certi di ciò che seguirà, per realizzare a pieno la responsabilità, per viverla in maniera esaustiva.

Ecco che allora si può parlare di destino. Nietzsche esamina a più riprese questo tema in Ecce Homo. La differenza sostanziale dal concetto di compito sta nel ruolo svolto dal destino nella realizzazione della responsabilità. Un destino è il futuro che si manifesta come un’illuminazione. E’ la certezza che ciò che si mostra ora sarà per sempre. E’ la sicurezza della fertilità del proprio essere, del proprio esistere.

La piena scoperta di questa differenza concettuale darà i suoi frutti nella comprensione, da parte dell’autore, di un salto qualitativo. La responsabilità, che prima si rifletteva nel compito muta e si trasforma nella forza di realizzare un destino. Insomma, il compito diventa quello di diventare un destino. Lo si avverte anche dal sottotitolo della prima opera che segue lo Zarathustra: preludio di una filosofia dell’avvenire.

Ed è attraverso questa metamorfosi che, come si diceva all’inizio, la responsabilità, da semplice concetto trasvalutato nei primi testi, diventa la capacità più forte di fare promesse, le quali si realizzano propriamente solo in una certezza del futuro. La volontà di potenza di Zarathustra ora diventa strumento di rafforzamento anche della responsabilità.

Questo passaggio si comprende appieno analizzando lo sviluppo del cammino da Al di là del bene e del male.

Nietzsche ha chiaro, davanti a sé, il cammino e lo afferma senza mezzi termini: “Il compito per gli anni seguenti non poteva essere tracciato in modo più rigoroso”. Si tratta di un passo significativo. Lo Zarathustra è stato un testo che ha rotto ogni indugio, come un faro che illumina la strada, questo testo aveva mostrato, in maniera rigorosa, il tracciato finale.

“Dopo aver risolto quella parte del mio compito che dice sì, toccava ora alla parte che dice no, che opera il no: la trasvalutazione stessa di tutti i precedenti valori”. Cosa intende Nietzsche con il concetto di trasvalutazione?

Attraverso la grande forza della volontà di potenza si può creare uno stravolgimento completo di tutto ciò che prima veniva imposto dalla morale come valore. Se si capovolge il senso più profondo di un dettame etico non si ottiene, però, l’esaltazione di un cattivo agire, ma la decisione che si deve operare al di là di ciò che viene comunemente definito come bene o male. Non esistono più queste due classificazioni che appaiono solo come false caratterizzazioni. La volontà di potenza si manifesta nella realtà, ora, non più solo nel testo, mostrandosi come “azzeratrice” di valori. E, adesso, più di prima, Nietzsche cerca, attorno a sé, degli alleati. Spera di trovarli: “Da allora in poi tutti i miei scritti sono degli ami che io getto: non sarà che m’intendo di pesca quanto nessun altro?... Se nulla ha abboccato, la colpa non è mia. Mancavano i pesci …”.

La forza che deva accompagnare chi legge questo libro è simile solo a quella di qualcuno che ha sopportato la verità dell’eterno ritorno dell’uguale. Solo chi ha seguito Zarathustra accetta la trasvalutazione di tutti i valori.

Mai, come in questo testo, la responsabilità di Nietzsche diventa gravida. Lo stravolgimento della morale occidentale è un compito immane, spiazzante. Il peso che avverte l’autore subito si riversa sul lettore che ora, però, non deve provare più paura, perché la volontà di potenza, in quanto tale, può tutto: “Bisogna avere del fegato anche solo per sopportarlo, bisogna non aver imparato ad avere paura …”.

Lo stesso autore avverte, comunque, che ciò che si leggerà in Al di là del bene e del male avrà una tensione verso ciò che è più vicino, “circostante”. Il profeta dell’Oltreuomo aveva guardato tanto distante da aver visto tutto, anche oltre l’orizzonte, ma ora occorreva mutare ciò che si trovava attorno a chi sapeva vivere da individuo nuovo.

La critica investe ancora una volta il cristianesimo, simbolo di una morale occidentale, ormai inutile. Forse è già da questo scritto che matura l’idea de L’Anticristo; appare chiaro che per un Oltreuomo la religione può essere solo una realtà da trasvalutare e rifiutare.

E Genealogia della morale si accanisce con rabbia contro tutto ciò che il cristianesimo rappresenta per Nietzsche. La critica è una delle più valide nella storia della filosofia, perché individua con serietà i punti deboli della religione scavando nella storia. La contrapposizione tra morale del servo e del padrone è chiara, la visione del risentimento come punto cruciale della forza di fede non lascia spazio a mezza misure. Ma la responsabilità che sprigiona da queste pagine è realmente incompatibile con qualunque simbolo di fede?

Non lo è tanto la responsabilità stessa, quanto la disposizione d’animo del lettore nietzschiano. Chi accetta Zarathustra, rifiuta un Dio; chi accetta Zarathustra, rifiuta una fede in qualcosa che va al di là dell’immanente; chi accetta Zarathustra, rifiuta le profezie dei sacerdoti.

E sono proprio i sacerdoti gli avversari che, nella Genealogia della morale, vengono attaccati. Nietzsche li definisce come “l’ideale dannoso par excellence, una volontà della fine, un ideale della décadence. Il motivo per cui, nella storia, nulla si è opposto con lo stesso rigore alle imposizioni di fede è, secondo il filosofo, l’assenza di un “contro-ideale”. Si comprende, ancora una volta, il valore che assume, nell’insieme del pensiero del filosofo, il ruolo di Così parlò Zarathustra. Si tratta di un’opera che ha posto, come già abbiamo detto, i punti cardine per saltare oltre l’ultimo uomo che vede nel sacerdote, in questo caso, un appiglio, una salvezza. Il “contro-ideale” a questo punto è Zarathustra; che è tutto ciò che va oltre la morale occidentale, ma che soprattutto non è un profeta della mortificazione di sé, come il sacerdote.

Tutto, infine, giunge a pieno compimento con Il crepuscolo degli idoli. Non si tratta di un attacco diretto verso un solo obiettivo, ma verso una collettività di bersagli. Lo dice lo stesso Nietzsche, in Ecce Homo, contro chi si diriga il suo attacco in quest’opera: “Ciò che nel titolo viene chiamato idolo è semplicemente ciò che fino a oggi si chiamava verità. Crepuscolo degli idoli – in altre parole: è finita con la vecchia verità …”.

Non si deve credere che l’autore, come si vedrà anche con Il caso Wagner, balzi da un tema all’altro senza un’apparente soluzione di continuità. In realtà dal primo attacco sferrato da Al di là del bene e del male tutto ciò che appariva come un valore occidentale ha iniziato a crollare, a vacillare, in maniera talmente veloce che il filosofo ha preferito tracciare una linea conclusiva con Il crepuscolo degli idoli, dal momento che la distruzione di tutto lo aveva sommerso con una forza soverchiatrice. Se si abbatte la verità, si abbatte tutto. E si tratta di un “tutto” esaustivo. Nietzsche sa che non vengono abbattuti solo ideali millenari, ma anche concetti recenti:

 

 “Non c’è realtà, non c’è «idealità» che in questo scritto non venga toccata (- toccata: che prudente eufemismo!…). Non solo gli idoli eterni, anche i recentissimi, e perciò i più decrepiti. Per esempio, le «idee moderne». Un gran vento soffia fra gli alberi, dappertutto cadono a terra dei frutti – delle verità. Vediamo lo sperpero di un autunno troppo ricco; si inciampa nelle verità, se ne schiacciano persino alcune – ce ne sono troppe …”.

 

La forza di questo passo è l’esempio più chiaro di come Il crepuscolo degli idoli sia un testo distruttivo. Non c’è nulla che non venga eliminato dalla forza inarrestabile dell’avvento dell’Oltreuomo.

Ma oltre a questa consapevolezza di sé, che Nietzsche mostra, si manifesta anche l’autocoscienza di essere un destino. In queste pagine, si consuma la massima trasformazione possibile, dove responsabilità, volontà di potenza, Oltreuomo, compito e destino si rinviano tra loro per far maturare il lettore ed il filosofo. Sembra che l’ultimo sforzo immane sia stato compiuto: “E in tutta serietà , nessuno prima di me ha conosciuto la retta via, la via verso l’alto: per la prima volta con me ci sono di nuovo speranze, compiti, vie da tracciare alla civiltà – io sono il loro lieto messaggero … Appunto per questo io sono anche un destino –“.

Di fronte al lettore queste ultime righe appaiono come un punto esclamativo che permette di riprendere a respirare. Cos’altro ci sarebbe ancora da attaccare, se tutto ormai è fallito e caduto sotto i colpi del “martello”?

Ma Nietzsche crede che un ultimo fendente dovesse essere vibrato e, con Il caso Wagner, il filosofo critica e attacca la propria nazione. Non bisogna credere che il “Wagner” del titolo sia solo il compositore, ex amico, oramai, del pensatore. Si tratta di un simbolo per indicare l’intera popolazione e nazione tedesca. Uno stato che si specchiava, vanitoso, nelle note del suo maestro della musica, non aveva tempo per notare la propria decadenza. Sono parole piuttosto miti, però, quelle che usa Nietzsche; hanno, tuttavia, lo scopo di spingere anche il lettore a posare sempre e comunque uno sguardo indagatore se ogni realtà, anche sulla propria terra, sulla propria patria.

Le colpe dei tedeschi, secondo il filosofo, sono quelle dei moderni. Una ripetuta fiducia negli ideali che non lascia spazio alla venuta di un nuovo individuo. Si tratta di uomini eccessivamente idealisti.

Wagner, però, colui che porta il vessillo della cultura tedesca in Europa, è anche l’emblema della conversione alla religione, della ricerca di nuove vie di salvezza su strade che non hanno nulla di innovativo, ma sono solo sentieri di mortificazione. Appare difficile una salvezza per la popolazione, secondo Nietzsche.

Quello che è certo è che il filosofo ha indagato, attaccato, sconfitto e corroso ogni possibile appiglio per restare indifferenti di fronte alla promessa di un uomo nuovo. La svolta si era ormai compiuta.

Con i testi antecedenti a Così parlò Zarathustra era stata annunciata e spianata una strada; con il testo cardine era stato profetizzato un futuro; con le opere successive la caduta che doveva essere il sostrato per la venuta dell’Oltreuomo era stata portata a termine.

Parallelamente a questo percorso letterario la responsabilità era stata trasvalutata, ripulita, resa consapevole di sé attraverso la volontà di potenza, spinta a manifestarsi al di là di un semplice compito, fino alla totale realizzazione nell’autocoscienza di essere un destino.

Con Ecce Homo questo percorso viene ripercorso e l’opera funge da vademecum per chi desideri veramente seguire il pensatore nel suo iter di crescita interiore.

Ma la piena comprensione del testo si raggiunge con l’ultimo paragrafo, che appare quasi come un’ovazione finale a tutto quello che era stato finora compiuto con degli scritti veramente innovativi ma, senza dubbio, spiazzanti sullo scenario europeo dell’epoca.

 

 

7. Nietzsche ed il destino. La responsabilità al massimo grado.

 

“Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite. – e con tutto ciò non c’è nulla in me del fondatore di religioni – le religioni sono affari per la plebe, io sento il bisogno di lavarmi le mani dopo essere stato in contatto con uomini religiosi … Non voglio «credenti», penso di essere troppo malizioso per credere a me stesso, non parlo mai alle masse … ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete perché io mi premunisca in tempo con la pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezza che si potrebbero fare con me … Non voglio essere un santo, allora piuttosto un buffone … Forse sono un buffone … E ciononostante, anzi non ciononostante – perché non c’è mai stato sinora niente di più menzognero dei santi – la verità parla in me. – Ma la mia verità è tremenda: perché fino ad oggi si chiamava verità la menzogna. – Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l’atto con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio”.

 

E’ con queste parole che si apre l’ultimo paragrafo di Ecce Homo. Si nota immediatamente il timore che scuote Nietzsche: quello di essere visto come un idolo. E come potrebbe essere diversamente? Se ciò accadesse egli cadrebbe immediatamente sotto i fendenti de Il crepuscolo degli idoli. In queste frasi pulsa una preoccupazione notevole, che più oltre verrà ribadita: quella di non essere capito. Accanto ad essa, però, rifulge la certezza che un giorno, prima o poi, qualcuno riconoscerà al suo nome dei meriti notevoli. Questo qualcuno, ora lo si può capire chiaramente, sarà o saranno i lettori che abbracceranno il suo pensiero che, una volta letto responsabilmente questo testo, lo porteranno alla sua completa realizzazione. Se si legge Nietzsche con l’idea di trovare in lui una ricetta per diventare dei santi amati dal popolo, si compie il massimo degli errori, ed Ecce homo viene scritto contro questo possibile inganno.

Ma più di tutto, in questo paragrafo, si nota la mutazione della responsabilità da semplice compito a destino. Già è stato spiegato il valore di questo cambiamento, eppure ora esso viene reso esplicito dalle parole dello stesso autore. Confrontandolo con ciò che Nietzsche sente in sé, il lettore dovrà indagare, ora che il testo è alle ultime battute, il proprio animo.

Come è stata vissuta la responsabilità che gridava già nel titolo la sua presenza?

Essa si mostra in un destino. Che esige il suo realizzarsi dopo una “trasvalutazione di tutti i valori”. La responsabilità non è mutata, ma è maturata in una consapevolezza di poter fare promesse che parlano di un uomo nuovo e di una nuova società che sono diventati vere e proprie possibilità future. L’Oltreuomo potrà, attraverso la volontà di potenza, far rinascere la società e sa che questo è un destino; non un semplice compito. Un destino di difficile realizzazione, perché spinge alla creazione, previa una distruzione; occorre avere l’energia per creare e per abbattere:

 

 

“ - E colui che deve essere creatore di bene e male: in verità, costui dev’essere in primo luogo un distruttore e deve infrangere i valori.

Quindi il massimo male inerisce alla bontà suprema: questa però è la bontà creatrice.”

 

 

L’ultimo capitolo del testo è anch’esso, più di quello riguardante lo Zarathustra, un punto di congiunzione, dove Nietzsche e il lettore si “guardano negli occhi” e spingono la responsabilità che li ha guidati al suo massimo grado.

Perché, nel momento in cui il lettore si protende nel futuro, pensando al destino, deve porsi una domanda cruciale alla quale l’autore non dà risposta esplicitamente: l’Oltreuomo, la volontà di potenza, l’eterno ritorno dell’uguale, la trasvalutazione di tutti i valori sono utopie? Semplici artifici per una filosofia teoretica e non pratica? La responsabilità pulsa per delle chimere?

E’ un problema cruciale, forse l’interrogativo più importante di tutta l’opera. La responsabilità che tanto è cresciuta in questo testo, spingendosi in un futuro che si deve realizzare, non può giungere a compimento se tutto ciò di cui si è parlato è un’utopia, cioè un ideale che non avrà valenza ontologico-pratica in un domani.

Eppure c’è una frase, molto breve, nell’ultimo capitolo che sembra suggerire una risposta. Scrive Nietzsche: “Volete una formula per questo destino, che si fa uomo? – Si trova nel mio Zarathustra”.

Una possibile soluzione sta nella parte in corsivo. Non si tratta di un semplice destino trascendente, ma di un destino che si manifesta nel diventare uomo. La verità di Nietzsche sta nel nuovo modo di essere un individuo.

Non si deve assolutamente intendere l’annuncio di Zarathustra come il racconto di una realtà pratica futura. Quello che Nietzsche ha esposto, raccontato, ciò per cui egli ha lottato, non è un nuovo registro morale, ma un nuovo modo di esistere, di vivere, di rapportarsi alla realtà. L’Oltreuomo non è un essere vivente dai poteri incommensurabili; l’Oltreuomo è un nuovo modo di rapportarsi alla morale, alla società, a ciò che circonda l’individuo umano. La volontà di potenza è la reazione massima a ogni costrizione che cancella la libertà e, con essa, la responsabilità. Una nuova società è quella che scaturisce da uno sguardo disilluso su ogni ideologia occidentale moderna. La potenza con cui il filosofo tedesco si è sempre mostrato nelle sue opere non deve trarre in inganno, facendo credere al lettore che si debba muovere una vera e propria guerra fisica contro un’umanità alla deriva, selezionando gli individui più meritevoli.

Il manifestarsi della responsabilità sta anche nella ricerca di una comprensione profonda del messaggio nietzschiano.

L’enfasi che l’autore ha sempre messo nei suoi scritti, la violenza letterale che ha contraddistinto il suo stile, erano estremamente ricercate dal momento che il peso della modernità, dell’ideologia, della morale e del cristianesimo spingevano con altrettanto vigore sulle coscienze degli uomini. Solo una forza ugualmente vigorosa poteva scalfire la loro stratificazione sull’animo di ogni occidentale.

Compreso questo, si tratta di abbattere gli orrori delle costrizioni che si mostrano sotto forma di verità, smascherandole per ciò che sono, cioè menzogne. Solo annullando il loro valore un uomo si sente libero di farsi creatore di sé. E l’individuo privo di dettami a cui attenersi, che determina autonomamente il valore del proprio agire, che non teme la rottura con tutto ciò che lo ha preceduto o lo circonda tuttora, non è altro che l’Oltreuomo.

Ed è in questa direzione che il lettore deve guidare la sua coscienza, per realizzare fino in fondo la missione della propria vita e di Ecce Homo. Le difficoltà che si potranno incontrare appariranno mitigate dal fatto che, accanto a chi seguirà le orme di Zarathustra, ci sarà sempre Nietzsche che ha fatto di questo compito il proprio destino.

Eppure il timore di non riuscire nel proprio intento è cocente nel pensatore: “Sono stato capito? – Ciò che mi distacca, ciò che mi mette a parte da tutto il resto dell’umanità è il fatto di aver scoperto la morale cristiana”. Se effettivamente le credenze nelle malignità di fede sono così forti nell’uomo, la prima reazione di un comune lettore potrebbe essere un decisivo ritrarsi di fronte a simili accuse. Ecco perché Nietzsche avvertiva, fin dalle prime battute, che occorreva essere individui forti, in grado di sopportare dure verità.

Come già è stato detto lo spaesamento che potrebbe investire il lettore, dopo aver visto che ogni sua convinzione passata crolla inesorabilmente, potrebbe essere spiazzante. Di fronte ad un simile orrore la negazione potrebbe essere la reazione più facile e sicura. Ma un agire di questo tipo sarebbe contrario alla responsabilità che si esigeva dall’inizio della lettura; quindi la scelta del rifiuto porterebbe ad un totale sconvolgimento del proprio io. Se non si riesce ad accettare il crollo di ogni sicurezza, come si potrebbe, però, sopportare di aver tradito una responsabilità che era necessaria?

Ecce Homo è un testo costruito in maniera tale che la responsabilità funga da cappio attorno alla coscienza del lettore: più si rifugge dalle sue frasi, più essa costringe l’animo di chi accetta il ruolo di uditore. L’unica soluzione è quella di non porsi di fronte al testo in maniera responsabile, ma a questo punto un agire simile sarebbe indice di un’impossibile rinascita morale.        

 Accettato il testo non si può restare indifferenti alla propria vita. La lettura di Ecce Homo è una lettura che desta, che risveglia nelle persone una sorta di dubbio verso tutto ciò che prima appariva certo. Una simile reazione è il primo passo verso la condizione di spirito libero.

L’iter, identificabile con un parallelismo convergente, si completa negli ultimissimi paragrafi. Le due strade parallele, del lettore e di Nietzsche, che inizialmente sembravano separate da spartiacque temporali e ideologici, seguendo un tracciato simile giungono, in maniera quasi impercettibile, a congiungersi verso un’unica meta ed un unico destino. Il punto di svolta era stata la piena comprensione dello Zarathustra, un testo che si prefiggeva un compito chiaro, ma che voleva anche scuotere gli individui superiori. Non si tratta solo di una comunanza di intenti, quindi, ma anche di un’identica disposizione dell’animo che lega Nietzsche al lettore.

Così parlò Zarathustra è stato un testo che ha permesso di intendere Ecce Homo ed il pensiero del filosofo tedesco come un viaggio verso tre mete precise. La capacità di fare promesse giunge fin dalla comprensione di questo testo; l’emancipazione dell’individuo emerge nell’accettazione della morte di Dio e dell’eterno ritorno dell’uguale, la selezione di uomini superiori e meritevoli è la naturale conseguenza dei primi due intenti. Il valore di un’opera di tale spessore è riconosciuto anche da Nietzsche: “ - Sono stato capito? – Non ho detto una sola parola che non avessi giù detto cinque anni fa per bocca di Zarathustra. – La scoperta della morale cristiana è un avvenimento che non ha eguali, una vera catastrofe. Chi può far luce su di essa, quegli è un force majuere, un destino – spacca in due la storia dell’umanità. Si può vivere prima di lui o dopo di lui …”.

Ecco, allora, che si comprende definitivamente e appieno, il vero senso del destino per Nietzsche. Per l’autore questo concetto rifulge nel fatto che un testo come lo Zarathustra ha creato una voragine nella storia e nelle coscienze che la popolano, Al di là di una possibile accettazione o meno del pensiero del filosofo si tratta di una realtà storica. Il valore di Così parlò Zarathustra si è imposto nei tempi per il coraggio del suo messaggio e, di conseguenza, il destino, che Nietzsche avvertiva vivente in sé, si è realizzato pienamente.

La responsabilità, per il frangente che riguardava l’autore, è giunta a pieno compimento.

Per il lettore la responsabilità, invece, deve vivere in una condizione di perpetuo manifestarsi in ogni azione ed in ogni pensiero. Chi segue il destino di Nietzsche deve arrivare a farsi creatore e distruttore di se stesso in due frangenti temporali diversi: crea il presente sapendo che ritornerà sempre identico, ed abbatte la sua identità passata da uomo decadente rifuggendo la morale.

Una sola domanda ed un solo imperativo devono guidare il lettore, un quesito che lo porti a rispettare l’impegno preso con Nietzsche ed un’asserzione che lo indirizzi verso una disposizione critica nei confronti di ogni dettame morale: “ – Sono stato capito? – Dionisio contro il Crocifisso.

 

 

Conclusione

 

 Non si potrà mai restare impassibili di fronte allo sconquasso generato dalle parole di Nietzsche, per quanto si possa cercare di ignorarle. La grandezza del suo pensiero viene confermata dalla sua continua attualità. La responsabilità, fulcro della nostra trattazione, è il concetto che più di ogni altro conferma questa visione. La responsabilità non ha tempo, non esige un preciso momento storico, ma risplende in ogni frase di Ecce Homo. Il paragrafo conclusivo, infatti, GLORIA E ETERNITA’, sembra imporre comunque una riflessione al lettore.

Quello che è certo, al di là di ogni possibile considerazione pro o contro il pensiero del filosofo, è che un’opera, che riesce a condurre un individuo a interrogarsi sulla propria origine culturale, deve essere considerata con la massima attenzione. Se la domanda che investe l’uomo, al giorno d’oggi, risale alle sue origini e alla sua libertà, Ecce Homo appare come un diario che spinge alla riflessione, ma anche come un grosso punto interrogativo su ciò che la società ci ha insegnato ad essere. Un uomo appare sempre all’interno di un contesto composto da altri individui, ma il motore propulsore delle sue azioni è la morale, esplicita o implicita che sia. Ma questa morale, si chiede Nietzsche, cos’è in realtà? La risposta va data attraverso un complesso percorso che indaga la responsabilità che investe l’agire.

Si agisce in un determinato modo perché qualcuno, al di là del bene e del male, lo ha determinato, o perché è la nostra responsabilità che ci guida? Siamo realmente liberi di fronte ad un’azione che la società ci costringe a determinare dentro categorie etiche?

La questione posta da Ecce Homo, quindi, interrogando l’uomo attraverso la responsabilità, lo induce ad osservarsi nell’ambito della libertà e a chiedersi, in ogni istante, se sia possibile un’azione propriamente libera dentro un contesto culturale già dato.

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

 

 

Opere di Nietzsche:

 

·         F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita [1874], tr. it. di S. Giametta, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1974.

·         F. Nietzsche, Umano, troppo umano, I [1877], tr. it. di S. Giametta, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1979.

·         F. Nietzsche, Umano, troppo umano, II [1879-1880], tr. it di S. Giametta, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1981.

·         F. Nietzsche, Aurora, pensieri sulla morale come pregiudizio [1881], tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1978.

·         F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina [1882], tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1977.

·         F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra [1883-1885], tr. it. di S. Giametta, RCS Libri, Milano 1995.

·         F. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male [1886], tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1977.

·         F. Nietzsche, Genealogia della morale [1887], tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1984.

·         F. Nietzsche, Il Crepuscolo degli idoli, ovvero come si filosofa col martello [1888], tr. it di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1983.

·         F. Nietzsche, L’Anticristo, maledizione del cristianesimo [1888], tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1977.

·         Nietzsche, Ecce Homo [1888], a cura di R. Calasso, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1981.

·         F. Nietzsche, Ecce Homo [1888], tr. it. di S. Giametta, Biblioteca di Via Senato, Milano 2004.

·         F. Nietzsche, Scritti su Wagner (Wagner a Bayreuth  [1876], Il caso Wagner [1888], Nietzsche contra Wagner [1888]), tr. it. di F. Masini, S. Giametta, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano1979.

·         F. Nietzsche, Frammenti postumi I, tr. it. di G, Colli, C. Colli Staudea, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1989.

·         F. Nietzsche, Frammenti postumi II, tr. it di G, Colli, C, Colli Staudea, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1989.

 

 

 

Letteratura critica:

 

·         G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, tr. it di Fabio Polidori e Davide Tarizzo, Einaudi, Torino 2002

·         M Fini, Nietzsche, l’apolide dell’esistenza, Marsilio,Venezia 2002.

·         E. Fink, La filosofia di Nietzsche, tr. it. di Pisana Rocco Traverso, Marsilio Editori, Venezia 1973.

·         M. Heidegger, Saggi e discorsi, tr. it di G. Vattimo, Mursia, Milano 1957.

·         M. Heidegger, Cosa significa pensare?, tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco Edizioni, Varese 1971.

·         G. Pasqualotto, Saggi su Nietzsche, Franco Angeli, Milano 1998.

·         G. Rametta, Responsabilità e potenza nel pensiero di Nietzsche, in Il problema responsabilità, a cura di B. GIACOMINI, Cleup, Padova 2004.

·         G. Vattimo, Il soggetto e la maschera; Nietzsche e il problema della liberazione, Bompiani, Milano 1974.

G. RAMETTA, Responsabilità e potenza nel pensiero di Nietzsche, in Il problema responsabilità, a cura di B. GIACOMINI, Cleup, Padova 2004, p. 173.

Ivi, p. 178.

Cit. in S. GIAMETTA, Introduzione, a  F. NIETZSCHE, in Ecce Homo, Biblioteca di Via Senato, Milano 2004, p. 9.

F. NIETZSCHE, Ecce Homo (d’ora in avanti EH), a cura di R. Calasso, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1995, p. 11.

Ibid. p.11.

Ibid. p.11.

Cit. in G. COLLI, Nota introduttiva a F.  NIETZSCHE, in Aurora, tr. it di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1978, p. XI.

EH, p. 12.

Ibid. p.12.

Ivi, p. 13.

Cfr. F. NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, tr. it. di S. Giametta, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1974.  

EH, p. 16.

Ivi, p. 17.

Cfr.: “Perciò il commercio con gli uomini è per me una non piccola prova di pazienza, la mia umanità non consiste nel partecipare ai sentimenti degli uomini, ma nella capacità di sopportare questa partecipazione.”  EH, p. 30.

Cfr.: F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra (d’ora in poi CPZ), tr. it. di S. Giametta, RCS Libri. Milano 1995.

EH, p. 28.

Ivi, p. 29.

Ivi, p. 61.

Ivi, p. 67.

Ivi, p. 69.

Ivi, p. 74.

Cfr. G. VATTIMO, Il soggetto e la maschera; Nietzsche e il problema della liberazione, Bompiani, Milano 1974.

EH, p. 78.

Ivi, p. 81.

Ivi, p. 80.

Ivi, p. 84. (ultimo corsivo mio).

Cfr.: “mi apparve tremendamente chiaro (…) che aspetto inutile, arbitrario avesse tutta la mia esistenza di filologo di fronte al mio compito.” EH, p. 83.

Ivi,  p. 88.

Ibid. p. 88.

Ivi,  p. 89 .

CPZ, p. 28.

F. NIETZSCHE, Aurora, pensieri sui pregiudizi morali, tr. it. di F. Masini, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 1978, p. 269.

EH, p. 89.

Ivi,  p. 92.

Ivi,  p. 95.

 

 

E. FINK, La filosofia di Nietzsche, tr. it. di Pisana Rocco Traverso, Marsilio Editori, Venezia 1973, p. 65.

EH, p. 129.

M. HEIDEGGER, Che cosa significa pensare?, tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco Edizioni. Varese 1971, pp. 62-63.

Ivi,  p. 98.

EH, p. 94.

CPZ, p. 33.

Ivi, p. 25

M. HEIDEGGER, Che cosa significa pensare?, tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco Edizioni, Varese 1971, p. 72.

CPZ, pp. 183-184

EH, p.108.

Ivi, p. 96.

M. HEIDEGGER, Che cosa significa pensare?, tr. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco Edizioni, Varese 1971, p.67.

Ivi, p. 66

EH, p. 94.

E. FINK, La filosofia di Nietzsche, tr. it. di Pisana Rocco Traverso, Marsilio Editori, Venezia 1973, p. 98.

Ibid.  p. 98.

Cfr. G. DELEUZE, Nietzsche e la filosofia, tr. it di Fabio Polidori, Davide Tarizzo, Einaudi, Torino 2002.

CPZ, p. 317.

Ibid. p. 317.

Ivi, p. 27.

Ivi, p. 318.

Ivi, p. 29.

Ivi, p.318.

Ivi, p. 30.

Ivi, p. 319.

EH, p.105.

Ivi, p.110.

Ivi, p. 111.

Ibid. p. 111.

Ibid. p. 111.

Ibid. p. 111.

Ivi, p. 114.

Ivi, p. 115.

Ibid. p. 115.

Ivi, p. 116..

 

Ivi, p. 127.

Ivi, p. 128.

Ibid., p.128.

 

Ivi, p.133.

Ivi, p. 136.

Ivi, p. 137.

Ultimo aggiornamento ( Lunedì 20 Ottobre 2008 15:02 )