'' Il volgo separa il fulmine dal suo bagliore e ritiene quest'ultimo un fare, una produzione di un soggetto, [..] Ma un tale sostrato non esiste:non esiste alcun ''essere'' al di sotto del fare, dell'agire, del divenire; ''colui che fa'' non è che fittiziamente aggiunt al fare - il fare è tutto. Il volgo, in fondo, duplica il fare; allorchè vede il fulmine mandare un lampo, questo è un far fare: pone lo stesso evento prima come causa, e poi ancora una volta come effetto si essa.''
Questo passo è tratto da ''Genealogia della morale'' ed è indice esemplificativo della decostruzione, o meglio, della distruzione che Nietzsche compie sul soggetto. Il fatto che sia il soggetto a compiere un'azione è una ''credenza'', un pregiudizio che nasce dal nostro modo di comunicare attraverso il linguaggio verbale che grammaticalmente si configura in soggetto e predicato. Ma il linguaggio e quindi la grammatica è una ''sedimentazione'' storico-sociale, uno sviluppo volto alla comunicazione e credere che ''la realtà'' o, più precisamente, il nostro angolo di visuale, la nostra prospettiva rispecchi ontologicamente e nella sua essenza una struttura che altro non è che grammatica propria un particolare gruppo di individui, rappresenta per nietzsche un errore. Nella Gaia Scienza lo stesso procedimento verrà applicato anche agli stessi concetti di causa effetto che vengono bollati come pregiudizi nati dall'incapacità umana di cogliere la fluidità degli avvenimenti e quindi poterli descrivere solo grazie all'uso di questi concetti, che, come prima non hanno nulla a che fare con la struttura della realtà.
Ora il problema, partendo da queste posizioni, che mi sono posta è questo: venendo meno un soggetto che conosce, ma essendoci ''solo'' un atto del conoscere, l'azione del conoscere ''chi'' o ''cosa'' conosce o può conoscere (per Nietzsche è più corretto interpretare) e pur arrivando alla teoria delle prospettive non serve un interprete, un punto in cui convergano o che converga verso un qualcosa?
La mia conclusione - precaria, dopo averci pensato parecchio -è che quel punto, non è un punto, un soggetto, un Io, ma un movimento, un azione che muovendosi incessantemente plasma quello che conosce, nel momento in cui interpreta è esso stesso interpretazione.Al di là dell'atti dell'interpretare, del conoscere, dell'apprendere non c'è nulla, è come se l'atto nel suo compiersi divenisse il soggetto di se medesimo. Il fenomeno in sè non esiste, non c'è mondo da conoscere, esiste però l'atto del (voler)conoscere il mondo.(consapevoli che l'idea di Mondo concepito come insieme di fenomeni è falsa) Per questo la scienza -intesa in senso ampio come conoscenza e in senso attuale come scienza- nell'atto di conoscere, descrivere, cercare di spiegare il mondo lo plasma, lo crea ed è quindi intesa da Nietzsche come forma d'arte.
Ma c'è dell'altro e ci sto ancora riflettendo, perchè così mi pare manchi ancora qualcosa.