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> Nietzsche e l'esistenzialismo
Sgubonius
messagio Sep 24 2008, 06:57 PM
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Non pago apro un altro ambito di discussione che è peraltro uno dei classici che vengono fatti in relazione a Friedrich.
Non servono introduzioni, non serve specificare un indirizzo, mi interessa soprattutto (visto che subisco il fascino di entrambe le cose) sapere da voi cosa si può spizzicare e condire magari insieme, e cosa invece è assolutamente incompatibile.

Inizio io con un breve riassunto di quanto dice Heidegger (che proprio esistenzialista non è, ma la direzione è quella) riguardo al celeberrimo passo "la visione e l'enigma". L'eterno ritorno dell'uguale che viene qui presentato in tutta la sua dirompenza viene infatti visto non da un punto qualsiasi della catena ma dalla "porta dell'attimo", dove in qualche modo l'uomo è gettato e deve decidere, e ciò che decide sarà per sempre (anche la metafora dell'anello nuziale). Certamente questa responsabilità somma (pure nell'ambito di un destino, di questa ambivalenza avevamo già parlato riguardo al libero arbitrio) ricollega Nietzsche alle questioni che l'esistenzialismo più tardi si porrà. La risposta affermativa al demone dell'eterno ritorno (<<Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso. Per cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un Dio, e mai intesi cosa più divina”>>) non può essere anche una risposta ai grandi dubbi di Sartre e Camus?


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Sgubonius
messagio Oct 17 2008, 12:46 AM
Messaggio #2


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Continuo il monologo citando da "La Nausea" di Sartre... dry.gif

Sembra che si cominci dal principio: «Era una bella serata dell'autunno 1922. Io ero scrivano di un notaio a Marommes». E in realtà si è cominciato dalla fine. La fine è lì, invisibile e presente, ed è essa che dà a queste poche parole l' enfasi e il valore d'un inizio: «Passeggiavo, ero uscito dal villaggio senza accorgermene, pensavo ai miei imbarazzi finanziari». Questa frase, presa semplicemente per quello che è, vuol dire che questo tale era assorto, afflitto, a mille miglia da un'avventura, precisamente in quel particolare stato d'animo nel quale si lasciano passare gli avvenimenti senza vederli. Ma la fine è lì presente a trasformare tutto. Per noi questo tipo è già l'eroe della storia. La sua tetraggine, i suoi imbarazzi finanziari sono ben più preziosi dei nostri, sono tutti indorati dalla luce delle passioni future. Ed il racconto prosegue a ritroso: gli istanti hanno cessato d'ammucchiarsi a casaccio gli uni sopra gli altri, sono ghermiti dalla fine della storia che li attira, e ciascuno di essi attira a sua volta l'istante che lo precede: «Annottava, la strada era deserta». La frase è gettata là, negligentemente, ha un'apparenza superflua, ma noi non ci lasciamo ingannare e la mettiamo da parte: è un'informazione di cui comprenderemo il valore in seguito. Ed abbiamo la sensazione che l'eroe ha vissuto tutti i particolari di questa notte come presagi, come promesse, o anche ch'egli abbia vissuto soltanto quelli che erano promesse, cieco e sordo per tutto ciò che non annunciava l'avventura. Dimentichiamo che l'avvenire non c'era ancora; quel tale passeggiava in una notte senza presagi, che gli offriva alla rinfusa le sue ricchezze monotone, ed egli non sceglieva."
Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e s'ordinassero come quelli d'una vita che si rievoca. Sarebbe come tentare di prendere il tempo per la coda.


Prendere il tempo per la coda, vivere tutto come se fosse un romanzo, un racconto, qualcosa di già avvenuto... non è uno degli aspetti dell'eterno ritorno? Spesso Nietzsche parla della melanconia, definendola mi pare la conchiglia più preziosa che il mare dell'esistenza ci porta a riva, e penso che sia forse questo il segreto della scelta dell'anello.

A onor del vero Sartre un po' dopo scrive anche: "C'erano imbecilli che venivano a parlarvi di volontà di vita e volontà di potenza e di lotta per la vita. [...] Impossibile vedere le cose a quel modo. Delle mollezze, delle debolezze questo sì. [...] Non avevano voglia di esistere, solo che non potevano esimersene, ecco."

Ovviamente su questo ci sarebbe da discutere per millenni, evidentemente è qui che l'esistenzialismo e Nietzsche si rendono incompatibili, nella volontà di potenza che in qualche maniera scioglie il soggetto e ne "giustifica" l'esistenza annullando ogni nausea da autocoscienza. Forse Sartre si è strozzato col serpente. tongue.gif


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Arsenio
messagio Oct 19 2008, 05:31 PM
Messaggio #3


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Se non ricordo male la nausea è non dico superata ma "accettata", alla fine del romanzo, mediante una sorta di volontà creatrice, lo scrittore che passa dal compilare un romanzo storico ad uno in cui si da libero sfogo alla forza creatrice.. il problema secondo me non si risolve nel dare.. occorrerebbe ESSERE quella forza creatrice..
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Sgubonius
messagio Oct 19 2008, 07:00 PM
Messaggio #4


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CITAZIONE(Arsenio @ Oct 19 2008, 06:31 PM) *
Se non ricordo male la nausea è non dico superata ma "accettata", alla fine del romanzo, mediante una sorta di volontà creatrice, lo scrittore che passa dal compilare un romanzo storico ad uno in cui si da libero sfogo alla forza creatrice.. il problema secondo me non si risolve nel dare.. occorrerebbe ESSERE quella forza creatrice..


Già infatti è così (anche se è solo una piccola speranza, "come un uomo che dopo una tormenta d'inverno si ferma appena entra in una stanza tiepida"), un po' come viene anticipato nel pezzo che ho postato che è una prima presa di coscienza.
Più che altro non è tanto dare libero sfogo alla libertà creatrice quanto raccontare sè stesso, la sua nausea, appunto "essere un capolavoro" per tornare ad un linguaggio nietzschiano.


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Arsenio
messagio Oct 22 2008, 09:44 PM
Messaggio #5


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Sgubonius mi diresti in quale opera Nietzsche parla di "essere un capolavoro"..?
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Sgubonius
messagio Oct 22 2008, 10:29 PM
Messaggio #6


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CITAZIONE(Arsenio @ Oct 22 2008, 10:44 PM) *
Sgubonius mi diresti in quale opera Nietzsche parla di "essere un capolavoro"..?


Sai che non saprei dirtelo, in verità non so nemmeno se usi mai queste parole precise! laugh.gif
Se è comunque dev'essere in qualche frammento postumo dell'ultimo periodo, quello un po' "megalomane", in vista di "la volontà di potenza", probabilmente riguardo all'arte... dovrebbe suonare tipo "non bisogna produrre capolavori ma essere capolavori"


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Sgubonius
messagio May 5 2009, 02:30 PM
Messaggio #7


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CITAZIONE(Arsenio @ Oct 22 2008, 10:44 PM) *
Sgubonius mi diresti in quale opera Nietzsche parla di "essere un capolavoro"..?


Ti rispondo adesso che ho finalmente la risposta! wink.gif
Nella Nascita della Tragedia, subito nelle prime pagine (ora il libro l'ho restituito alla biblioteca e non posso dirti con precisione) Nietzsche parla proprio di come l'artista apollineo produca capolavori, mentre l'artista apollineo sia lui stesso opera d'arte (non usa il termine capolavoro). Se consideriamo come nello sviluppo del pensiero di Nietzsche l'apollineo come elemento fondativo dell'estetica viene a perdere di importanza (insieme di fatto all'estetica stessa, e qui rimandiamo volendo al topic apposito che ho creato qualche settimana fa!) e come invece il dionisiaco diventi monistico, credo che si possa senza problemi dire che il superuomo non produce capolavori ma è un capolavoro. Non escludo che ci sia un frammento fra gli ultimi scritti più preciso in cui si dice questo, ma purtroppo non posso cercarlo/trovarlo ora.


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Joseph de Sil...
messagio May 8 2009, 09:21 PM
Messaggio #8


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"Capolavoro" è un termine che ricorre più volte negli scritti nietzscheani, spesso in riferimento a questioni di estetica (in particolare di musica). Il senso più vicino a quello cui fa riferimento Arsenio, inerente cioè un modo di essere o di sentirsi dell'uomo, è presente - anche qui tuttavia in analogia con la musica - in apertura de "Il caso Wagner". Qui, a proposito della Carmen di Bizet, che definisce un "capolavoro", Nietzsche infatti scrive: "Come rende perfetti una tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un 'capolavoro' " (WA I, in OFN, vol. VI, t. III, p. 7)
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BlackSmith
messagio May 9 2009, 07:25 AM
Messaggio #9


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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ May 8 2009, 10:21 PM) *
"Capolavoro" è un termine che ricorre più volte negli scritti nietzscheani, spesso in riferimento a questioni di estetica (in particolare di musica). Il senso più vicino a quello cui fa riferimento Arsenio, inerente cioè un modo di essere o di sentirsi dell'uomo, è presente - anche qui tuttavia in analogia con la musica - in apertura de "Il caso Wagner". Qui, a proposito della Carmen di Bizet, che definisce un "capolavoro", Nietzsche infatti scrive: "Come rende perfetti una tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un 'capolavoro' " (WA I, in OFN, vol. VI, t. III, p. 7)


Certo, certo!
Credo cmq che per spiegare quel concetto, bisogna partire dal pensiero post-schopenaureiano di Nietzsche.
Non più, perciò, contemplazione dell'opera d'arte, ma opera d'arte stessa. In buona sostanza una filosofia della sofferenza e del fare e non della sola sofferenza e dell'osservare.
Una vita vissuta come un romanzo. Dove l'autore di un racconto fantastico è il protagonista stesso.
Tutti quelli che insomma hanno fatto della propria vita un'opera d'arte, un capolavoro, grande o piccola che sia, nel bene o nel male.
Una tematica assai rischiosa, ma se dobbiamo dirLa tutta, quello che voleva dire Nietzsche è proprio questo.
Nietzsche non ha soltanto scritto dei capolavori, ma egli stesso, è stato un capolavoro. Zarathusta e Nietzsche insieme sono stati un capolavoro. Dostojevski e Raskolnikov, insieme sono stati un capolavoro, Pollock e le sue gocciolature insieme, Mozart e il suo requiem insieme sono un capolavoro, Einstein e la relatività insieme, etc. etc...
Potremmo citare poi dittatori e statisti, ma qui sorvoliamo.
Una completa fusione tra l'uomo e la sua produzione artistica.


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Agli uomini dei quali mi importa qualcosa io auguro sofferenze, abbandono, malattie, maltrattamenti, disprezzo..., io desidero che non restino loro sconosciuti il profondo disprezzo di sé, il martirio della diffidenza di sé, la miseria del vinto
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Sgubonius
messagio May 9 2009, 02:36 PM
Messaggio #10


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CITAZIONE(BlackSmith @ May 9 2009, 08:25 AM) *
Certo, certo!
Credo cmq che per spiegare quel concetto, bisogna partire dal pensiero post-schopenaureiano di Nietzsche.
Non più, perciò, contemplazione dell'opera d'arte, ma opera d'arte stessa. In buona sostanza una filosofia della sofferenza e del fare e non della sola sofferenza e dell'osservare.
Una vita vissuta come un romanzo. Dove l'autore di un racconto fantastico è il protagonista stesso.
Tutti quelli che insomma hanno fatto della propria vita un'opera d'arte, un capolavoro, grande o piccola che sia, nel bene o nel male.
Una tematica assai rischiosa, ma se dobbiamo dirLa tutta, quello che voleva dire Nietzsche è proprio questo.
Nietzsche non ha soltanto scritto dei capolavori, ma egli stesso, è stato un capolavoro. Zarathusta e Nietzsche insieme sono stati un capolavoro. Dostojevski e Raskolnikov, insieme sono stati un capolavoro, Pollock e le sue gocciolature insieme, Mozart e il suo requiem insieme sono un capolavoro, Einstein e la relatività insieme, etc. etc...
Potremmo citare poi dittatori e statisti, ma qui sorvoliamo.
Una completa fusione tra l'uomo e la sua produzione artistica.


Questo è in sostanza quanto sostiene Sartre ne "la Nausea", riprendendo proprio l'idea del "raccontarsi" che in Nietzsche ritrovi in Ecce Homo se vuoi. Non sarei però d'accordo però sulla filosofia "del fare", avevamo discusso sempre nell'ambito dell'apollineo nel tardo Nietzsche di come scompaia del tutto il dualismo alla base di ogni metafisica. Fra osservare e fare non c'è differenza, nessuno è padrone/responsabile delle proprie azioni (e nemmeno dei propri pensieri, si veda il celebre "Es denkt..."). In questo quadro di nichilismo compiuto si pone il "diventa ciò che sei" del capolavoro.
Da questo punto di vista, Holderlin e Nietzsche possono esser stati "capolavori" più nella loro follia che nel loro periodo di massima produzione artistica. L'opera è solo una mollica lasciata che chi è in cammino può utilizzare come segnavia. Ma oltre certi limiti non c'è opera/segnavia che possa condurre, dove l'arte eccede se stessa si può essere solo nella settima solitudine.


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