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Joseph de Silentio Inviato il: Aug 3 2009, 06:05 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Jul 22 2009, 05:12 PM) *
''Un filosofo: che creatura modesta, se rimane fedele al suo nome! Che come tale non designa un ''amico
della sapienxa'', si perdoni un vecchio filologo! Ma solo uno che ''ama gli uomini sapienti''. Se volete
dunque che ci siano dei filosofi, nel senso greco e del termine, per prima cosa avanti con i vostri ''uomini
sapienti''! Ma, amici miei, mi sembra che in fin dei conti noi amiamo più gli uomini non sapienti di quelli
sapienti, posto che esistano dei sapienti. Forse che in loro c'è addirittura maggior sapienxa? O
addirittura i sapienti visti da vicino, magari non sarebbero ''filosofi'' bensì ''filasofi''? Amici della buffoneria,
una buona compagnia per menestrelli e giullari? Ma non per se stessi? ''
Frammenti postumi, 1886, 4(1) tradutione di Carla Buttaxxi (mi piacerebbe conoscerla o almeno avere la sua email)

Non ricordo di avere mai letto articoli o saggi specificamente inerenti il frammento che segnali; tuttavia esso richiama almeno due ordini di riflessioni:
1) in linea generale rientra a pieno titolo nella polemica che Nietzsche, durante quasi tutto il corso della sua vita, sia nelle opere edite che nei suoi taccuini privati, intrattiene con i “filistei della cultura”, gli “operai della filosofia”, i “commedianti”, gli “attori”, i “giullari” delle idee… insomma contro tutti quelli che rendono la filosofia pura “accademia”. In questo egli è pienamente collocabile nell’ambito della critica della cultura di matrice schopenhaueriana che ben conosciamo, e su cui non credo – almeno in questo intervento – ci sia bisogno di dilungarsi oltre;
2) più nello specifico, e in termini più pregnanti sotto il profilo filosofico, ha a che vedere con la genesi e l’evoluzione dell’idea nietzscheana di “filosofia dell’avvenire”, di cui Al di là del bene e del male – che Nietzsche sta copiando in bella proprio agli inizi del 1886, cioè contemporaneamente alla stesura del frammento 4 [1] che hai riportato – costituisce, come ci avverte esplicitamente il nostro, un “preludio”. Il tema dei “nuovi filosofi”, dei “filosofi dell’avvenire”, dei “filosofi del pericoloso forse”, che Nietzsche evoca soprattutto nei primi due capitoli di questa opera (1) non a caso dedicati ai “Pregiudizi dei filosofi” e allo “Spirito libero”, allude alla necessità di prendere congedo non solo dalla filosofia metafisica, dalla quale già il Nietzsche “illuminista” si era allontanato, ma anche da certo intellettualismo che aveva caratterizzato lo stesso Nietzsche durante il periodo “intermedio”. L’intenzione non è però quella di ripudiare l’importanza del “metodo” (filosofico e scientifico) evocata già in Umano, troppo umano (2), quanto piuttosto di riequilibrarlo con l’elemento dionisiaco, il quale peraltro non si definisce più nella valenza estetico-metafisica della Nascita della Tragedia, ma “emerge ora sul piano etico-teoretico” (3). Dioniso assurge così a simbolo del filosofo dell’avvenire, di colui che supera il bisogno di verità condivisa tipico dei “dogmatici” (etichetta che Nietzsche adopera per alludere ad un atteggiamento, e che dunque riguarda non solo i filosofi del passato ma anche quelli del presente – ivi compresi i positivisti): “«Il mio giudizio è il mio giudizio: difficilmente anche un altro potrà vantare un diritto su di esso» - dirà forse un tale filosofo dell'avvenire. Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andar d'accordo con molti” (4). In Umano, troppo umano Nietzsche aveva contestato la metafisica in nome della “filosofia storica” di matrice positivistica, ma ora si rende conto che neanche questo è sufficiente: occorre lasciarsi totalmente alle spalle l’idea “della” verità per aprirsi a quella della “molteplicità” di prospettive (5). Pertanto, se di illuminismo nietzscheano è legittimo parlare, esso deve essere rapportato sì, ma non appiattito, sul positivismo: “la nouvelle philosophie des lumières ne pouvait pas se réduire à de la science positive” (6). Ecco dove cade la provocazione di Nietzsche nel frammento che stiamo discutendo: “Come, i sapienti stessi sarebbero forse, visti da vicino, non ‘filosofi’, ma ‘filasofi’?” (7). E se il sapiente è in realtà “insipiente” (Fil-a-sofo), allora il filosofo dell’avvenire non si confonderà con il sapiente, cioè con quello che è considerato oggi il filosofo, appunto perché “le philosophe n’est pas le savant” (8). Potrei concludere osservando che sotto questo profilo è senz’altro vero che lo Zarathustra – su cui non a caso Nietzsche stesso afferma che Al di là del bene e del male dice “le stesse cose” (9) – segna un punto di svolta nell’itinerario nietzscheano. Ma a tale tema si dovrebbero riservare spazi ben più ampi.

Questo per quanto riguarda il contenuto, rispetto a cui questo frammento non è dunque certo un unicum ma di cui, semmai, è un exemplum. Sotto il profilo formale il discorso è diverso, poiché esso si segnala per originalità “letteraria” e mostra il volto del Nietzsche “compositore” di neologismi: come sappiamo egli, padrone della propria lingua madre nonché delle lingue classiche, a volte si divertiva a ironizzare giocando con le parole, con effetti spesso divertenti (qui tralascio gli esempi, ma potremmo rintracciarne tanti). Non so se il frammento ti abbia colpito per la trovata linguistica e se la tua richiesta alluda a questo aspetto. Può darsi che in tal senso esso sia isolato, ma se vorrai comunque provare a fare qualche ricerca in proposito ti descrivo brevemente come mi muovo io in questi casi: in mancanza di diretti riferimenti (formali o contenutistici che siano) a un frammento nell’apparato critico delle OFN o nel materiale a mia disposizione (ma per la verità in questo caso non ho avuto tempo e modo di fare una ricerca capillare), tento di contestualizzarne la genesi a partire dagli elementi della biografia intellettuale nietzscheana, per verificare se da questi siano ricavabili suggerimenti per eventuali approfondimenti. Le domande che mi pongo sono del tipo: dove viveva Nietzsche in questo periodo? quali autori stava leggendo o rileggendo, e quali delle sue opere? quali lavori e progetti stava portando avanti? su quali quaderni e taccuini? e quali di questi stava eventualmente riprendendo in mano? cosa stava scrivendo nelle sue lettere? etc. etc. Poi, se viene fuori qualche traccia interessante, seguo la pista allargando il campo di ricerca (come in minima parte ho tentato di fare qui). E’ un lavoro lungo ma non privo di soddisfazioni. Ti fornisco dunque anche un sommario sfondo biografico dal quale partire, se ti andrà, per un eventuale approfondimento: nei mesi in cui cade la scrittura del frammento (come detto, siamo tra l’inizio e la primavera del 1886) Nietzsche vive a Nizza, nell’elegante Rue St. François de Paule, al n. 26 (10); la sua è una camera “grande quanto a me piace”, dotata di “un grandissimo tavolo da lavoro” e di una poltrona “alla Voltaire” (11), dalla quale, quando il tempo è bello, riesce a vedere la Corsica (12). E non a caso tra i libri che sta leggendo o rileggendo (tra gli altri, i francesi: Stendhal, Paul de Lagarde, Paul Bourget) ci sono anche guide sulla Corsica: Théo, La Corse à travers les Maquis (13), o Gerber, Ajaccio als Winterkurort und die Insel Korsika (14). A volte si reca a Montecarlo per ascoltare concerti di musica classica, tra cui la suite Roma di Bizet (15). Si sente solo, come sempre, tanto che cerca (inutilmente) di convincere Gast a trasferirsi a Nizza (16). La sorella parte per il Paraguay e, malgrado egli rifiuti di contribuire al finanziamento della “Nuova Germania”, questo distacco non è per lui indolore (17). Ha problemi con gli editori per la futura pubblicazione del secondo volume di Aurora (18), che come ho già detto sta copiando in bella per darlo alle stampe e che diventerà Al di là del bene e del male: opera che pubblicherà, come già lo Zarathustra IV, e come tutte sue le opere successive, a proprie spese (19). Scrive la prefazione per la nuova edizione di Umano, troppo umano (20). Tra i vari titoli di opere progettate in questo periodo ne compare uno che forse più di altri attira l’attenzione: La Volontà di potenza (sottotitolo: Saggio di una nuova interpretazione del mondo (21)).

(1) F. Nietzsche, Opere, edizione italiana condotta sul testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Vol. VI, tomo II, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1968 (cfr. in particolare gli aforismi 2, 42, 43, 44 e 45, e il VI capitolo, “Noi dotti”).
(2) Cosa che erroneamente ritiene chi legge Nietzsche ancora in chiave tardo-romantica e irrazionalistica. Per un’efficace ricostruzione sull’importanza che Nietzsche assegna al “metodo” (sebbene ne rifiuti l’atteggiamento) della scienza e in generale della tradizione “moderna” cfr. G. Campioni, Nietzsche, Descartes et l’esprit français, primo capitolo del suo Les lectures françaises de Nietzsche, Puf, Paris 2001, pp. 9-50.
(3) G. Colli, M. Montinari, “Notizie e note” a F. Nietzsche, Vol. cit., p. 372.
(4) F. Nietzsche, Vol. cit., af. 43, p. 48.
(5) Nietzsche aveva iniziato ad adoperare il termine “prospettivismo” proprio dalla metà degli anni Ottanta, influenzato in particolare (ma non solo) dalla lettura, effettuata nel 1883 e di nuovo nel 1885, di Die wirkliche und die schienbare Welt dell’ex collega di Basilea G. Teichmüller (cfr. T. H. Brobjer, Nietzsche’s Philosophical Context. An Intellectual Biography, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2008, pp. 96-97).
(6) C. Andler, Nietzsche. Sa vie et sa pensée, Gallimard, Paris 1920-1931, ed. 1958, vol. II, p. 548.
(7) F. Nietzsche, ed. cit., Vol VIII, tomo I, Frammenti postumi 1885-1887, Adelphi, Milano 1975, FP 4 [1], p. 165.
(8) C. Andler, cit., p. 549.
(9) Lettera a Burckhardt del 22 settembre 1886, in Friedrich Nietzsche – Jacob Burckhardt, Carteggio, a cura di M. Montinari, SE, Milano 2003, pp. 31-32. Cfr. anche B. Allason (a cura di), F. Nietzsche. Epistolario 1865-1900, Einaudi, Torino 1962, pp. 247-248.
(10) Lettera a Overbeck dell’inizio di dicembre 1885, in T. Buddensieg, Nietzsches Italien, 2002, tr. it. L’Italia di Nietzsche, ed. Libri Scheiwiller, Milano 2006, p. 250. Per l’alloggio di Nietzsche in questa via cfr. anche M. A. Mügge, Friedrich Nietzsche. His Life and Work, Fisher Unwin, London 1908, p. 77; C. Andler, cit., p. 546; C. P. Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie, II vol. 1978, tr. it. Vita di Nietzsche, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 379; R. J. Benders, S. Oettermann, Friedrich Nietzsche. Chronik in Bildern und Texten, Carl Hanser Verlag, München-Wien, 2000, pp. 622 ss.
(11) Lettera alla madre del 10 dicembre 1885, in T. Buddensieg, cit., pp. 170-171; cfr. anche R. J. Benders, S. Oettermann, cit., pp. 622-623.
(12) Lettera a Gast del 6 dicembre 1885, in R. J. Benders, S. Oettermann, cit., p. 623. I curatori non specificano il destinatario, ma sappiamo sia da Montinari che da Janz che il 6 dicembre Nietzsche scrisse a Gast (cfr. M. Montinari, Aufgaben der Nietzsche-Forschung heute, in S. Bauschinger (a cura di), Nietzsche heute. Die Rezeption seines Werkes nach 1968, 1987, tr. it. Compiti della ricerca nietzscheana oggi, in G. Campioni, A. Venturelli (a cura di), La biblioteca ideale di Nietzsche, Guida, Napoli 1992, pp. 267-282; p. 271; C.P. Janz, cit., p. 387); un riferimento indiretto è anche in C. Andler, cit., p. 546.
(13) Cfr. R. J. Benders, S. Oettermann, cit., p. 629.
(14) Cfr. G. Moore, Nietzsche, Medicine and Meteorology, in G. Moore, T. Brobjer (eds.), Nietzsche and Science, Ashgate Publishing - Aldershot, Burlington, 2004, pp. 71-90; p. 83. Come noto di lì a non molto Nietzsche abbandonerà l’idea, al momento ancora coltivata, di un viaggio nella terra natale di Napoleone.
(15) Cfr. C. Andler, cit., p. 546; R. J. Benders, S. Oettermann, cit., p. 625.
(16) Lettera a Gast del 10 dicembre 1885, in O. Levy (eds.), Selected Letters of Friedrich Nietzsche, Doubleday, Page & Co., N.Y. e Toronto 1921, pp. 174-176. Cfr. anche C.P. Janz, cit., pp. 379-380.
(17) Lettera alla sorella del febbraio 1886, in B. Allason (a cura di), cit., pp. 238-240.
(18) Cfr. C.P. Janz, cit., pp. 386-389 e 402-404.
(19) Cfr. G. Colli, M. Montinari, “Notizie e note” a F. Nietzsche, ed. cit., Vol. VI, tomo II, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1968, p. 383.
(20) O almeno inizia a farlo. Nelle diverse biografie nietzscheane ci si riferisce sempre all’estate del 1886, e in effetti Colli e Montinari ci fanno sapere che Nietzsche la invia all’editore Fritzsch il 16 agosto 1886 (cfr. le “Notizie e note” a F. Nietzsche, ed. cit., Vol VIII, tomo I, Frammenti postumi 1885-1887, Adelphi, Milano 1975, p. 336); di fatto, però, egli l’ha datata “Nizza, nella primavera dell'anno 1886” (F. Nietzsche, ed. cit., Vol IV, tomo II, Umano, troppo umano, volume primo; Frammenti postumi 1876-1878, Adelphi, Milano 1965, p. 11).
(21) F. Nietzsche, ed. cit., Vol VIII, tomo I, Frammenti postumi 1885-1887, Adelphi, Milano 1975, FP 2 [73], datato da Nietzsche “Primavera 1886”, p. 83. (cfr. anche le “Notizie e note” dei curatori, ivi, pp. 342-343). Per una ricostruzione della genesi di questo titolo (apparso per la prima volta nel FP 39 [1] dell’agosto 1885) cfr. M. Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1975, pp. 109 ss.


P.S.: Per quanto riguarda “il maggior studioso vivente” di Nietzsche, ti risponderò che non oso proclamarne uno. Per fortuna ce ne sono diversi che Nietzsche lo conoscono davvero, e a mio avviso molti di essi sono quelli che lavorano all’archivio di Weimar. Se poi vuoi sapere chi leggo più spesso e volentieri, i nomi emergono da vari dei miei interventi precedenti. In questi mesi per esempio sto leggendo con autentico diletto Thomas Brobjer (che tra l’altro sta curando l’edizione svedese dell’opera nietzscheana): è un vero esperto della biblioteca di Nietzsche e ha pubblicato diversi lavori molto interessanti.
  Forum: Nietzsche Opere · Anteprima Messaggio: #8356 · Risposte: 4 · Visite: 17,955

Joseph de Silentio Inviato il: Jul 22 2009, 06:02 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Jul 12 2009, 04:03 PM) *
Mi piace ricordare che la prima recensione della Nascita della tragedia fu pubblicata da una rivista fiorentina (l'ho saputo da Massimo Fini, Nic, la biografia che preferisco).

Oltre Fini, e prima di lui, danno questa notizia, tra gli altri, anche Lucio Saviani nel 2001, nella sua conferenza Il viaggio in Italia di Nietzsche (http://www.luciosaviani.it/savi_garda.html) e Claudio Pozzoli nel 1990 (C. Pozzoli, Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei, BUR, Milano 1990, p. 69). Nessuno dei tre però cita la fonte, che è la lettera scritta da Nietzsche al suo editore Fritzsch il 29 aprile 1872, in cui leggiamo: “La prima segnalazione della Nascita della tragedia del resto è uscita - ma dove! Nella Rivista Europea in Italia, nel numero di aprile” (Epistolario, Vol. II, Adelphi, Milano 1976, p. 296). Fonte che invece non sfugge a Curt Paul Janz (niente da fare: la sua biografia è di gran lunga la migliore!), il quale cita però una lettera successiva (31 maggio 1872) di Nietzsche al suo consigliere Vischer. Inviando a questi la recensione alla Nascita di Rohde egli scrive: “La primissima segnalazione, ma più corta, era comparsa sulla Rivista Europea in Italia” (Epistolario II, p. 310, e in traduzione leggermente diversa in C.P. Janz, Vita di Nietzsche, vol I, tr. it. Laterza, Roma-Bari 1980, p. 430). Nelle “Note” all’ Epistolario II, alle pp. 674-675, Montinari riporta i dati della rivista (anno 3, vol. 2, aprile 1872) e un ampio estratto della recensione, che nel complesso si presenta lusinghiera, sebbene non manchi un’osservazione critica: “In queste pagine vi è forse, per dire il vero, più metafisica che storia; e noi temiamo che abbia concesso troppo all’illusione il Nietzsche nel rappresentarsi il culto Dionisiaco e il culto Apollineo, che possono essere decomposti in elementi molto più materiali di quelli supposti dal dotto professore filosofo di Basilea” (ivi).
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Joseph de Silentio Inviato il: Jul 6 2009, 09:41 PM


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 2 2009, 12:50 PM) *
Ti posso assicurare che ho tentato di cercare il libro di D'Iorio che sembra molto interessante, anche in francese, e non è affatto facile da reperire!

Ho fatto una breve ricerca: il saggio di cui parlo, per chi volesse consultarlo, è anche su Internet. Non sarebbe citabile in eventuali pubblicazioni perché non c'è la numerazione originale delle pagine, ma quello che conta è il contenuto. Come si potrà vedere, la genesi dell'errore di Deleuze è ricostruita da D'Iorio nel primo paragrafo, ma il lavoro è di estremo interesse, va letto tutto. Comunque la cosa più importante che Paolo D'Iorio abbia scritto finora sul dibattito cosmologico intorno all'eterno ritorno resta "La linea e il circolo. Cosmologia e filosofia dell'eterno ritorno in Nietzsche" (Pantograf, Genova 1995): un librone di quasi quattrocento pagine che più volte ho avuto modo di citare, ormai introvabile. Dell'eterno ritorno in relazione al dibattito cosmologico si era accennato o trattato peraltro fin dalle prime monografie su Nietzsche (limito i miei riferimenti ai testi che ho letto): per esempio già George Brandes, nelle sue lezioni su Nietzsche tenute all'Università di Copenhagen nel 1888 (e uscite l'anno successivo sotto il titolo di "En Afhandling em aristokratisk radikalisme"), aveva notato a questo proposito delle similitudini tra la posizione di Nietzsche e quelle di Blanqui e di Le Bon (cfr. la tr. ingl. "An Essay on Aristocratic Radicalism", MacMillan, New York 1915, p. 48). Dieci anni dopo Henry Lichtenberger, nell "Appendice" al suo "La philosophie de Nietzsche", riprende gli stessi esempi di Brandes e sostiene che "it seems to me that this coincidence is interesting above all because it shows us that one of Nietzsche's apparently most paradoxical ideas was not really the strictly individual production of an abnormal and morbid imagination, but that it was, so to speak, in the air between 1871 and 1881, since three such different thinkers as Nietzsche, Le Bon, and Blanqui arrived at it by independent routes, and that thus Nietzsche, even in his mystic theory of the Eternal Return, is the representative of a real tendency of the modern soul" (tr. ingl. "The Gospel of Superman", MacMillan, New York 1912, p. 216). Dal canto suo Johannes Broene, nel suo "The Philosophy of Friedrich Nietzsche" (Clark University Library, Worcester 1910), a Blanqui e Le Bon aggiunge per esempio anche lo scienziato Carl Von Nägeli, autore attentamente letto da Nietzsche (op. cit., p. 73). Nel 1917 Willian MacIntire Salter dedica un ampio capitolo all'eterno ritorno nel suo "Nietzsche the Thinker" (Palmer and Hayward, London 1917, pp. 163-181), trattando en passant anche aspetti cosmologici e, ad ogni modo, precisando subito che l'eterno ritorno "is sometimes regarded as fanciful or mystical" ma che, sebbene "it must be admitted that Nietzsche is himself partly responsible for views of this sort", ad un'analisi più approfondita "we see that the idea arose with something like logical necessity, that it has broad theoretic grounds" (op. cit., pp. 163-164): e cita, tra gli altri, il fisico William Thomson. Colui che tra i primi però entra specificamente nel merito è, negli anni Venti, Charles Andler: nel suo fondamentale "Nietzsche. Sa vie et sa pensée" (1920-1931 in 6 voll., ristampato in 3 voll. da Gallimard, Paris 1958) egli dedica pagine davvero interessanti ed informate alla questione (cfr. vol. II, pp. 420-424, e vol. III, pp. 284-294). Senza volere comunque andare a caccia di libri difficili da reperire, su questo tema si possono consultare varie fonti anche più recenti: per esempio Alistair Moles, "Nietzsche's Philosophy of Nature and Cosmology" (Peter Lang, New York 1990); oppure il saggio "Nietzsche and Cosmology" di Robin Small, contenuto in Keith Ansell Pearson (eds.) "A Companion to Nietzsche" (Blackwell Publishing Ltd 2006, pp. 189-207). In italiano si può esaminare la sezione dedicata all'eterno ritorno nella "Guida a Nietzsche" curata da Maurizio Ferraris per Laterza (cfr. ivi, pp. 262-275); Ferraris (di cui però per diversi altri aspetti non condivido la ricostruzione) tra l'altro scrive: "Più che per qualunque altra parte della filosofia nietzscheana, per intendere il senso dell'eterno ritorno non si può prescindere dai rapporti tra Nietzsche e la scienza" (ivi, p. 268). Altro lavoro interessante (e reperibile su Internet), anche se a dispetto del titolo più specificamente orientato su Blanqui, è quello di Tiziana Andina, "Eterno ritorno: Nietzsche, Blanqui e la cosmologia del Big Bang" (originariamente pubblicato in "Rivista di estetica" n.17, 2001, XLI, pp. 3-36). E poi c'è altro... ma vedo che mi sono dilungato anche troppo: se qualcuno comunque volesse approfondire, ci si può aggiornare ad un prossimo intervento.
  Forum: Nietzsche Pensiero · Anteprima Messaggio: #8283 · Risposte: 31 · Visite: 73,495

Joseph de Silentio Inviato il: Jul 2 2009, 11:12 AM


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 1 2009, 08:42 PM) *
Per questo c'è un Nietzsche di Heidegger e c'è un Nietzsche di Deleuze, ma non c'è un Nietzsche dell'epochè insomma.

Certo. E infatti non si tratta di fare epoché; piuttosto, il mio intervento vuole suggerire un atteggiamento di prudenza metodologica, e mi scuserete se insisto su questo. Ciò che distingue il metodo storico-filologico dall'approccio ermeneutico è il fatto che il primo si accosta ai grandi (e Deleuze è senz'altro uno di questi) nella consapevolezza che, prima di essere storici della filosofia o interpreti, essi sono filosofi, e perciò cercano (o trovano) in coloro che li hanno preceduti degli spunti per proporre una propria Weltanschauung. Due esempi soltanto:
1) In "Microfisica del potere" Foucault sostiene che "il solo segno di riconoscenza che si possa testimoniare ad un pensiero come quello di Nietzsche è proprio di usarlo, di deformarlo, di farlo stridere, gridare. Che poi i commentatori dicano se si è fedeli o no, non ha nessun interesse" (op. cit., tr. it. Einaudi 1982, p. 135).
2) Nella bibliografia del suo "Nietzsche. Filosofo, psicologo, anticristo" Walter Kaufmann scrive, a proposito del "Nietzsche" di Heidegger: "Uno dei maggiori tentativi - certamente quello di maggior peso - del tardo Heidegger: importante per coloro che vogliono comprendere Heidegger" (op. cit., tr. it. Sansoni 1974, p. 508).
Che vogliono comprendere Heidegger, appunto. O Foucault, Deleuze, Derrida etc.: non, in primis, Nietzsche. Ripeto pertanto ciò che vado sostenendo da tempo: ben venga Heidegger, ben vengano i francesi, ma attenzione a non ridurre Nietzsche esclusivamente alla sua Wirkungsgeschichte. Per tentare di non sovrapporre del tutto l'interprete all'autore - sempre ovviamente nella consapevolezza che non esiste un sapere in-contaminato e in-condizionato - le interpretazioni dei grandi sono necessarie, ma non sufficienti: bisogna anche contestualizzare storicamente l'autore e appoggiarsi ai documenti, cioè ricostruire la lenta formazione delle sue idee attraverso il testo e l'extratesto. Allora, se per tentare di comprendere Heidegger bisogna seguire anche gli spunti fornitigli dalle sue letture, dunque anche da quella di Nietzsche, non vedo perché per Nietzsche non si debba fare altrettanto. Capisco che questa è un'attività da topo di biblioteca, forse meno affascinante delle alte speculazioni: ma è purtuttavia essenziale. Va bene attraversare e riattraversare Heidegger, Deleuze, Foucault etc. etc.; ma sarebbe altrettanto auspicabile studiare almeno qualcuno dei lavori filologici sul pensiero nietzscheano cui reiteratamente, e forse pedantemente, ho fatto riferimento nel corso dei miei interventi: quelli di Wolfgang Müller-Lauter, Giuliano Campioni, Paolo D'Iorio, Keith Ansell-Pearson, Yannick Souladié, Gregory Moore, Andrea Orsucci, Patrick Wotling, Maria Cristina Fornari, Thomas Brobjer e via dicendo. In tal modo per esempio, e con ciò torno al tema, si discuterebbe anche del dibattito fisico-cosmologico che tanto ha occupato gli interessi di Nietzsche e lo ha influenzato in rapporto alla sua elaborazione dell'eterno ritorno; discussione che invece continuo a non vedere. Perché? Forse perché questo è ritenuto un aspetto secondario. Ma da chi? Da Heidegger, Deleuze, Foucault: e così si gira, e si resta, sempre intorno agli stessi...
  Forum: Nietzsche Pensiero · Anteprima Messaggio: #8255 · Risposte: 31 · Visite: 73,495

Joseph de Silentio Inviato il: Jul 1 2009, 06:54 PM


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CITAZIONE(Nachtlied @ Jul 1 2009, 05:12 PM) *
E' su questo punto che non sono mai riuscita a concordare con Deleuze: cosa significa "[ritorno] del differente"?
Perché torna solo chi è riuscito ad incrinare il suo cogito ecc...?
Anche il carattere selettivo che Deleuze vede nell'eterno ritorno ha senso se rivolto al superuomo che accetta la differenza e dunque, per dirla con Nietzsche, redime il proprio passato; ma come si fa a dire che torna solo "colui che ha incrinato il suo cogito unitario nella contraddizione degli io possibili"?
Voglio dire, leggendo Nietzsche - come avevo già precedentemente scritto in questo topic -, l'abissalità dell'eterno ritorno sembra emergere proprio dalla piattezza del ritorno; ritorno di qualsiasi dettaglio della vita. Infatti torna anche l'ultimo uomo e tornano, come unica obiezione al pensiero, anche Elisabeth Foerster Nietzsche e Franzisca Hoeler; ma tornano anche il ragno e la candela ecc...
Ora, accantoniamo per un istante il problema dell'identico - che presupporrebbe un concetto, quindi non va bene e ci costringe ad ammettere il ritorno della differenza come ripetizione senza concetto - e riflettiamo su questo: se l'e.r. sembra trarre la propria forza proprio dalla vuota ripetizione, come può essere possibile restringerlo solo al differente (potremmo dire al superuomo)? Bisogna invece che tutto torni, anche il metafisico.

Al solito, ti ho esposto i miei dubbi e chiedo chiarimenti a riguardo. wink.gif

Il problema che pone Nachtlied è legittimo, ma nasce dal presupposto che si possa interpretare l'eterno ritorno nietzscheano con le categorie di Deleuze. In realtà, come ho già avuto diverse volte modo di osservare in questo forum, quella di Deleuze è un'ipotesi che può anche essere riconosciuta come suggestiva, ma in rapporto al già problematico impianto dell'eterno ritorno nietzscheano è fuorviante. I motivi sono diversi e, prima ancora che teoretici, sono di carattere filologico. Il fraintendimento deleuziano, infatti, rimonta anzitutto al fatto che egli non aveva a disposizione i "Frammenti postumi" del 1881, ma un'edizione della WzM che, neanche a dirlo, presenta dei presunti "aforismi" di Nietzsche che in realtà sono assemblaggi da frammenti vari. Il punto è che, a partire da alcuni di essi, Deleuze trae conclusioni che vanno in una direzione che non è attestabile come nietzscheana (a meno che non vogliamo "ermeneutizzare" in libertà...). Non mi dilungo oltre e, a proposito di assemblaggi, riporto gli stralci di alcuni interventi sulla questione che ho inserito nel forum due anni fa:

CITAZIONE
Deleuze fondava la sua tesi sull’“aforisma” 334 del libro II di un’edizione della VdP degli anni Trenta, aforisma che, lungi dall’essere unico, era l’assemblaggio di due frammenti diversi e perdipiù imprecisamente tradotti.
Entrare nel dettaglio interpretativo qui non è possibile, ma se hai il suo “Nietzsche e la filosofia” (Feltrinelli) e i FP 1881-1882 di Nietzsche (vol. V tomo II dell’edizione OFN Adelphi) il riscontro filologico puoi farlo anche tu:
1) a p. 73 Deleuze scrive che secondo Nietzsche “l’universo presuppone una ‘nascita assoluta di qualità arbitrarie’; ma la nascita delle qualità presuppone di per sé una nascita (relativa) delle quantità”. La nota 25 relativa a questo passaggio, a p. 235, dice: “Ivi, p. 302 (VP, II, 334)”. Quell’ "Ivi" e il relativo n. di pagina sono del traduttore Fabio Polidori, mentre la nota effettiva di Deleuze è quella tra parentesi: in pratica, come spiegato nell’avvertenza a p. 225, per i postumi Polidori rinvia alla pagina dell’edizione italiana dei FP Colli-Montinari mentre Deleuze, che non ce li aveva, leggeva da un’edizione de “La Volonté de Puissance”, e qui cita – come vedi – dal presunto aforisma 334.
2) Adesso prendi i FP 1881-1882 di Nietzsche e trova il frammento 11 (311): “(…) nascita assoluta di qualità arbitrarie?” (prima parte della frase di Deleuze, che ha citato Nietzsche virgolettando). Ora vai al frammento 11 (313): “(…). La nascita delle qualità presuppone la nascita delle quantità” (seconda parte della frase di Deleuze, che ha ripreso Nietzsche quasi alla lettera, tranne quel “di per sé” e quel “relativa” tra parentesi). Risultato: Deleuze in nota ci indica di aver ripreso un aforisma di Nietzsche che però non esiste in quanto tale, perché in verità si tratta di due frammenti diversi. Certo, lui non lo sapeva perché i FP 1881-1882 nell’edizione critica sono usciti in Francia proprio nel 1962, stesso anno di pubblicazione del suo libro, ma il fatto resta.
Per tutto il resto: un errore di traduzione della versione francese che stravolge un termine importante e che porta Deleuze ad attribuire a Nietzsche di una visione dell’eterno ritorno non sua (il che non mi sembra poco!), la lettura nietzscheana di Vogt su questo tema etc., se riesci a procurartelo leggi il seguente saggio di Paolo D’Iorio: “Nietzsche et l’éternel retour. Genèse et interprétation” (in “Nietzsche. Cahiers de l’Herne”, Paris, l’Herne, 2000, pp. 361-389), in cui appunto l’autore (uno dei migliori eredi della scuola di Montinari) compie un’accurata disamina della questione.
Polidori ci dice che Deleuze leggeva da un’edizione della VdP pubblicata in Francia nel 1947-48 (in realtà mi risulta che l’anno sia il 1935, forse si tratta di una seconda edizione), aggiungendo che la VdP citata da Deleuze “ripropone quindi un ordine completamente diverso, oltre che una maggior quantità di testi, rispetto alla seconda e più completa edizione del famoso Der Wille zur Macht apparso nel 1906”. Da queste parole però non si capisce tutto il retroscena… Comunque per trovare gli aforismi secondo la numerazione di Deleuze si dovrebbe avere proprio l’edizione della VdP che aveva lui (eh già, Nietzsche ha scritto molte “Volontà di potenza”!); io naturalmente non ce l’ho (anche se come vedi basta avere il suo “Nietzsche e la filosofia” e i FP 1881-1882 per accorgersi della fusione dei frammenti), ma chi ce l’ha (o l’ha vista) è Paolo D’Iorio, il quale appunto nel saggio che ti ho citato mette in luce anche l’errore di traduzione tra la VdP di Deleuze e l’originale nietzscheano. Senonché Polidori sempre a p. 225 ci dice: “I rimandi ai testi di Nietzsche e le citazioni fanno riferimento alla traduzione italiana dell’edizione critica delle opere complete in corso di pubblicazione etc. etc.”. E’ evidente a questo punto che se lui non riporta le citazioni nietzscheane di Deleuze traducendole dal testo di Deleuze, ma riferendosi a Colli e Montinari, l’errore sparisce! E con l’errore (che poi non è neanche l’unico) sparisce anche il dubbio, per chi legge Deleuze in italiano, che lui (pur senza saperlo) abbia fondato una “sua” teoria dell’eterno ritorno anziché fornire un’interpretazione di quella di Nietzsche.

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Joseph de Silentio Inviato il: Jun 13 2009, 04:57 PM


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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ Nov 18 2007, 09:18 AM) *
Rileggendo alcune parti del libro di Enzo Paci su Nietzsche trovo in una nota:
“In uno dei piani ideati da Nietzsche per ordinare gli aforismi di Aurora, questi appaiono raccolti in tre parti rispettivamente intitolate: Vita contemplativa, Gli emigranti, Passio nova. Cfr. Andler – IV. Pag 211 e segg.” (E. Paci, Nietzsche, Garzanti, 1940, p. 56 n. 1).
Stando così le cose, e sapendo che la monumentale opera di Andler è uscita tra il 1920 e il 1931 mentre le lezioni di Banfi (di cui Paci è stato allievo) risalgono all’anno accademico 1933-34, rispetto alla tripartizione banfiana di Aurora sono possibili due ipotesi:
1) L’indicazione di tale tripartizione proviene a Banfi da Andler (con la differenza però che Andler non parla di “tripartizione” dell’opera ma si riferisce solo a uno dei piani di Nietzsche per una tale eventuale divisione);
2) Sia Andler che Banfi attingono da una medesima fonte antecedente (con la stessa differenza di cui sopra).
Purtroppo non ho l’opera di Andler per verificare se la sua fonte fosse diretta o indiretta, ma in entrambi i casi possiamo escludere che l’incipit della tripartizione sia di Banfi.
Resta comunque il fatto che negli appunti nietzscheani del periodo un piano articolato in questo modo non c’è, e che le sole indicazioni che assomiglino a piani sono quelle da me riportate nell’intervento di qualche mese fa.

Finalmente sono riuscito a trovare l’opera di Andler, e posso confermare quanto avevo scritto nell’intervento riportato qui sopra a proposito della tripartizione di Aurora. Cito: “Peut-être est-il vain de chercher à reconstruire le plain aujourd’hui très brouillé du livre. Mais celui qu’on retrouvé n’est pas complètement effacé, qui divise le livre en trois parties : 1° Vita contemplativa ; 2° Les Emigrants ; 3° Passio nova, ou de la probité intellectuelle” (C, Andler, Nietzsche. Sa vie et sa pensée, Gallimard, Paris 1920-1931, ed. 1958, vol. II, p. 390). Andler non fa riferimento a fonti precedenti che non siano quelle dirette, perciò la provenienza banfiana della tripartizione sembra essere proprio lui. E’ vero che la difficoltà di “reconstruire le plain aujourd’hui très brouillé du livre” mantenuta in piedi da Andler sparisce in Banfi, il quale afferma senz’altro che “l’opera è divisa in tre parti […]” (A. Banfi, Introduzione a Nietzsche. Lezioni 1933-1934, Isedi, Milano 1974, p. 94); ma ciò non cambia nulla rispetto alla paternità della “tripartizione”, che evidentemente non è attribuibile al filosofo italiano.
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Joseph de Silentio Inviato il: May 8 2009, 09:21 PM


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"Capolavoro" è un termine che ricorre più volte negli scritti nietzscheani, spesso in riferimento a questioni di estetica (in particolare di musica). Il senso più vicino a quello cui fa riferimento Arsenio, inerente cioè un modo di essere o di sentirsi dell'uomo, è presente - anche qui tuttavia in analogia con la musica - in apertura de "Il caso Wagner". Qui, a proposito della Carmen di Bizet, che definisce un "capolavoro", Nietzsche infatti scrive: "Come rende perfetti una tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un 'capolavoro' " (WA I, in OFN, vol. VI, t. III, p. 7)
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Joseph de Silentio Inviato il: Dec 30 2008, 10:48 PM


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CITAZIONE(lou @ Dec 22 2008, 10:49 PM) *
seguo il filo del tuo discorso Joseph e ti propongo un brano, che ho trovato nella rete,
della tesi di Benedetta Zavatta-Università “Carlo Bò” di Urbino-:

"Fu probabilmente per un caso fortuito che, nel 1862, il giovane Nietzsche, studente a
Pforta, si imbattè nella raccolta La condotta della vita, il frutto più maturo della
riflessione di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) esposta fresca di stampa nella vetrina
di un librario di Lipsia.Entusiasta del vigore che animava il pensiero dell’americano,
Nietzsche si procurò in breve tempo anche i Saggi: prima e seconda serie, i quali lo
spinsero ben presto a cimentarsi nelle prime, acerbe riflessioni di carattere filosofico."

Ho letto diversi lavori della Zavatta (che mi pare di aver già menzionato in alcuni vecchi interventi); è senz’altro una delle maggiori esperte, non solo italiane, relativamente alle influenze di Emerson su Nietzsche. Per quanto riguarda l’incontro “fortuito” di Nietzsche a Lipsia, nel 1862, con Die Führung des Lebens, purtroppo non ho testi che riportino la lettera di Gersdorff cui la Zavatta fa riferimento alla nota 1 del suo saggio, e da nessun’altra fonte a mia disposizione mi risulta che Nietzsche sia stato a Lipsia nel 1862… ad ogni modo, tra le letture che ho condotto ultimamente, sul tema Emerson-Nietzsche mi sento di consigliare Nietzsche’s Debt to Emerson, settimo capitolo di Nietzsche and the English di Thomas Brobjer (Humanity Books, Amherst, NY 2008), nel quale è contenuta una ricostruzione generale degli influssi dello scrittore americano su Nietzsche.
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Joseph de Silentio Inviato il: Dec 30 2008, 10:41 PM


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La quaestio “Astu” non è ancora, a quanto pare, approdata ad un esito chiaro. Le pagine che Verrecchia dedica al tema riassumono comunque le ipotesi principali (tra l’altro, rispetto alla precedente La catastrofe di Nietzsche a Torino, nell’edizione ampliata del suo studio uscita per Bompiani, La tragedia di Nietzsche a Torino, egli aggiunge anche la versione del biblista e cristologo Messori: cfr. ivi, p. 302). Non ho acquistato Lettere da Torino perché anch’io, come altri, sto attendendo l’ormai prossimo quinto ed ultimo volume (che uscirà in due tomi) dell’Epistolario, ma ad ogni modo quanto riporta Freddie mi conferma che la nota filologica a questo proposito è ancora quella che, nel lontano 1961, Montinari allegava all’edizione del Carteggio Nietzsche-Burckhardt edita da Boringhieri, che cito dalla ristampa a cura di SE di Milano, 2003: “L’interpretazione di questa enigmatica firma è dubbia: per un tentativo abbastanza verosimile, cfr. Bernoulli 2, p. 494” (ivi, p. 109). Vi riporto il brano in questione di Bernoulli (potrei aver commesso qualche errore di trascrizione, perché il testo è stampato in caratteri gotici):
“Für die seltsame Zufälligkeit der Assoziation, die sich in den Gedankensprüngen jenes Briefes an Burckhardt vorfindet, gehört der überraschende Ausruf “Astu”, mit dem Nietzsche den “Witz” schließt, Alphonse Daudet, der bekanntlich gegen die französische Akademie frondierte und im Jahre 1888 die Satire auf sie, L’Immortel, veröffentlicht hatte, gehöre zu den “quarante”. Astu ist vie das Alpa im Zarathustra offenbar ein pathologischer Lalllaut, deffen sich Nietzsche aus seinen Chloralträumen her erinnert haben kann — zugleich heißt aber der Geld bei Daudet Astier. Die Stelle im Brief lautet: “Ich grüße den Unsterblichen Mr. Daudet gehört zu den quarante. [Darunter auf einer besonderen Linie alleinstehend] Astu” (C. A. Bernoulli, Franz Overbeck und Friedrich Nietzsche. Eine Freundschaft, Eugen Diederichs, Iena 1908, vol. II, p. 494).
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Joseph de Silentio Inviato il: Dec 17 2008, 11:27 PM


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“Colpisce il fatto che il paziente, pur essendo stato a lungo in Italia, spesso sbaglia o non conosce affatto le parole più semplici delle frasi che dice in italiano”. Così nella cartella clinica di Jena, alla data 19 gennaio 1889 (in C. Pozzoli, Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei, BUR, Milano 1990, p. 387). Certo, di per sé questo documento non dice molto, perché all’epoca il povero Nietzsche era ormai nelle tenebre della follia; però da altre fonti (ne riporto solo alcune a titolo di esempio) possiamo arguire che, malgrado la sua presumibilmente scarsa conoscenza dell’italiano parlato, Nietzsche avesse invece qualche padronanza nel leggerlo:
1) Come ho scritto nel mio intervento precedente, a Pforta Nietzsche aveva studiato, almeno per un po’ di tempo, l’italiano, leggendo in questa lingua, oltre Machiavelli, anche Dante (lettere alla sorella della fine di novembre 1861 e alla madre e alla sorella del 18 gennaio 1862, in EP I, pp. 187 e 194).
2) In una lettera dell’1 novembre 1874 Hans von Bülow, che intendeva dedicare a Nietzsche la sua traduzione dall’italiano al tedesco dei Canti di Leopardi (lettera di Nietzsche a Rohde dell’11 aprile 1872, in EP II, p. 290), lo esorta a tradurre i Dialoghi (presumo si riferisca alle Operette morali) e i Pensieri del poeta-filosofo italiano; ciò lascia intendere quantomeno che von Bülow riteneva che Nietzsche fosse in grado di padroneggiare questa lingua. Nietzsche risponde il 2 gennaio 1875, e tra le altre cose scrive: “Mi sono sentito troppo felice e onorato dalla Sua lettera per non riflettere più e più volte sulla proposta che Ella mi fa in merito a Leopardi”, ma declina l’invito per due motivi: “Conosco troppo poco l’italiano” e “non ho assolutamente tempo” (EP III, p. 3). Nietzsche dunque non afferma di ignorare l’italiano, ma di non essere all’altezza di tradurre le prose di Leopardi (che peraltro conosceva in traduzione tedesca, e di cui si procurerà le Opere anche in edizione italiana).
3) Nella biblioteca personale di Nietzsche sono presenti alcuni testi in italiano: G. Leopardi, Opere; S. Pellico, Le mie prigioni e poesie scelte; D. Alighieri, Divina Commedia (che però pare sia un inserimento successivo); P. D’Ercole, Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di Pietro Ceretti. Nessuno dei quattro tuttavia reca tracce di lettura da parte di Nietzsche (il che non dimostra peraltro che egli non li abbia letti). Oltre questi, anche “strumenti da viaggio”: due orari ferroviari e un Dizionario portatile italiano-tedesco (cfr. G. Campioni et al., a cura di, Nietzsches persönliche Bibliothek, Walter de Gruyter, Berlin - New York 2003).
4) Tra i giornali che Nietzsche usa leggere a Torino (il suo preferito è il francese “Le Journal des Débats”) c’è anche almeno un giornale italiano, la “Gazzetta Piemontese” (per la ricostruzione documentale di questa lettura rinvio ad A. Verrecchia, La tragedia di Nietzsche a Torino, ed. ampliata Bompiani, Milano, 1997, per es. p. 90).
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Joseph de Silentio Inviato il: Dec 16 2008, 01:18 PM


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Deleuze è un autore molto suggestivo da leggere, e ha senz’altro fornito un contributo importante alla recente filosofia novecentesca, ma rispetto alla storia delle interpretazioni del pensiero di Nietzsche vale per lui quello che vale per Heidegger: ciò che egli scrive su di lui ha a che fare, più che con la filosofia di Nietzsche, con la propria. Il suo Nietzsche e la filosofia per esempio, pur considerato uno “standard work” nell’ambito delle letture della filosofia nietzscheana e pur presentandone aspetti interpretativi importanti (non ultimo, per stare al tema qui trattato, quello della WzM intesa come plurale anziché, heideggerianamente, come unica), non è in senso stretto un’opera di ricostruzione del pensiero del filosofo tedesco, ma rappresenta piuttosto una testimonianza – certo appassionata e profonda – degli stimoli da lui ricevuti per costruire la propria visione del mondo; e lo stesso dicasi per Differenza e ripetizione, che certo non è proposto come lettura di Nietzsche, ma che “nietzscheano” lo è già a partire dal titolo, in cui si dichiara una modalità di interpretazione dell’eterno ritorno di Nietzsche come ritorno della differenza. Tanto per fermarmi a questo esempio ricordo che tale tesi, portante nel nietzscheanesimo di Deleuze, è fondata su errori di carattere documentale e filologico che la rendono altra cosa rispetto a quanto inteso da Nietzsche, e dunque sostanzialmente ne fraintendono il senso (per non ripetermi su ciò rinvio ad alcuni interventi che ho già inserito lo scorso anno su questo forum: cfr. la sezione Nietzsche spazio libero, “Ancora sulla sorella e la volontà di potenza”). Se si vuole si potrà rispondere naturalmente che è proprio la “Wirkungsgeschichte” ermeneutica ciò che permette il cammino della teoresi, nel senso che in Deleuze (come in Heidegger, in Foucault etc.) possiamo constatare quello che ne è stato della filosofia di Nietzsche nel corso del Novecento: sono senz’altro d’accordo, ma puntualizzo che l’importante è essere consapevoli che questo non ha a che vedere con la ricostruzione storiografica delle fonti, imprescindibile se si vuole ripercorrere la genesi e lo sviluppo delle idee di Nietzsche (come di qualsiasi altro autore). Insomma, per tornare al punto e chiudere: non è scontato che leggere Deleuze comporti avere una più chiara visione di Nietzsche, e anzi questo potrebbe essere un errore di prospettiva; leggere Deleuze (e non solo ciò che ha scritto, ma anche i testi su cui si è formato, il clima culturale nel quale ha sviluppato le sue idee etc.) significa infatti, in primo luogo, avere una più chiara visione di Deleuze. Il che certamente non è poco, visto che l’incontro con il filosofo francese è di quelli che lasciano il segno: ma è un incontro, appunto, soprattutto con lui.
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Joseph de Silentio Inviato il: Dec 16 2008, 01:11 PM


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CITAZIONE(lou @ Dec 9 2008, 10:03 PM) *
Oltre alle letture scolastiche ( Cesare, Ovidio, Tacito, Dante, Omero, Cicerone, l'Antico Testamento in ebraico, i lirici greci) Nietzsche legge anche molte opere non previste dal programma: si entusiasma per
I Masnadieri di Schiller, le poesie di Holderlin, il Principe di Machiavelli, i saggi del filosofo americano Ralph Waldo Emerson, Lord Byron, in particolare il dramma in versi Manfred.

Una precisazione (diretta non a lou ma a Pozzoli, da cui è tratto lo stralcio inserito appunto da lou): nel 1862 Nietzsche ha letto Il Principe di Machiavelli in italiano non tanto come lettura personale (come potrebbe sembrare leggendo il brano riportato), ma perché si trattava di una lettura prevista nel gruppo, sia pur extracurriculare, di italiano a Pforta (cfr. T. Brobjer, Nietzsche’s Philosophical Context, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2008, pp. 44 e 187). Tra l’altro il nostro Friedrich aveva in mente di iscriversi anche ad un corso di inglese (cfr. lettera alla sorella della fine di novembre 1861, in EP I, Adelphi, Milano 1976, pp. 186-188), cosa che poi non fece. Ma a proposito della sua conoscenza delle lingue moderne, sempre Pozzoli nella stessa pagina da cui lou trae la citazione sostiene che Nietzsche “né a Pforta né in seguito conseguirà mai una reale padronanza delle lingue moderne” (C. Pozzoli, Nietzsche nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei, BUR, Milano 1990, p. 47), il che non è esatto. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta Nietzsche aveva infatti maturato una buona padronanza almeno del francese, nel senso che lo leggeva con scorrevolezza: lo dimostrano i numerosi volumi in questa lingua contenuti nella sua biblioteca (quasi 130), spesso glossati e a volte anche parafrasati o esplicitamente citati nei suoi taccuini e lettere o nelle opere pubblicate (a questo proposito cfr. almeno G. Campioni, Les lectures françaises de Nietzsche, PUF, Paris 2001 e Campioni et al., a cura di, Nietzsches persönliche Bibliothek, Walter de Gruyter, Berlin - New York 2003). Questo senza tener conto di altri testi, sempre in francese, non presenti nella sua biblioteca ma che sappiamo con certezza che egli ha letto: basti pensare, tanto per fare un esempio, alle traduzioni dei russi. Per tornare agli autori letti nel periodo di Pforta (oltre quelli citati andrebbero ricordati almeno anche Sallustio, Novalis, Voltaire – questo letto in francese, Herder, Feuerbach, Rousseau, Platone, Jean Paul, Racine, Luciano, Erodoto, Virgilio, Livio, Puškin, Petöfi, Lermontov, e tanti altri), Byron riveste un interesse tutto particolare: è proprio in riferimento al suo Manfred che Nietzsche, nel suo Sulle composizioni drammatiche di Byron, saggio scritto nel 1861 per l’associazione “Germania” (cfr. OFN, Vol I, tomo I, Adelphi, Milano 1998, pp. 177-183) adopera per la prima volta – sia pur non nel senso in cui lo intenderà più avanti – il termine “Übermensch”.
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Joseph de Silentio Inviato il: Nov 26 2008, 10:51 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Jul 13 2007, 11:52 PM) *
Al di là del bene e del male [...]. L' af. 147 recita :'' Da vecchie novelle fiorentine, inoltre- dalla vita: buona femmina e mala femmina vuol bastone. Sacchetti, Nov. 86 ''.

Una nota filologica sulla sentenza di Sacchetti citata in JGB 147 (nel Vol. VI delle OFN al proposito non risulta nulla): Nietzsche la trae da Les origines de la Renaissance en Italie dello storico dell’arte e critico letterario Émile Gebhart, testo che egli aveva letto nel 1885-1886 e nel quale era appunto riportato il motto di Sacchetti (cfr. Brobjer 2004, p. 192, n. 17).
Gebhart è tra l’altro anche una delle fonti attraverso le quali Nietzsche approfondisce la sua conoscenza di Machiavelli, di cui aveva già letto Il principe nel 1862 nel gruppo di studio di italiano a Pforta (cfr. Janz 1978, I, p. 94; Benders e Oetterman 2000, p. 93; Brobjer 2008, pp. 187 e 231), rileggendolo poi negli anni Ottanta in francese. Tra le fonti secondarie su Machiavelli infatti, oltre ad autori quali Überweg, Burckhardt, Galiani, egli nel 1887 legge Etudes méridionales appunto di Gebhart, in cui trova un capitolo dedicato al politico e scrittore italiano (Brobjer 2008, p. 104).

• Benders R. J., Oettermann S., Friedrich Nietzsche. Chronik in Bildern und Texten, Carl Hanser Verlag, München-Wien 2000;
• Brobjer T., Nietzsche’s Philosophical Context, University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2008;
• Brobjer T., "Women As Predatory Animals or Why Nietzsche Philosophized with a Whip", in C. D. Acampora and R. R. Acampora (eds.), A Nietzschean Bestiary: Becoming Animal beyond Docile and Brutal, Rowman & Littlefield, Lahnam, MD 2004, pp. 181-192;
• Janz C. P., Friedrich Nietzsche. Biographie (3 voll.), Hanser, Müncher-Wien, I, 1978 (tr. it. Vita di Nietzsche, vol. I, Laterza, Roma-Bari 1980).
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Joseph de Silentio Inviato il: Nov 11 2008, 07:40 PM


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Mi è finalmente chiaro perché, qualche anno fa, non sono riuscito a trovare il n. 56 di Piazza Barberini a Roma, dove Nietzsche aveva abitato nel 1883. Oggi l’ultimo numero della piazza è il 54, e ritenevo plausibile l’ipotesi di un cambio nella numerazione. Invece leggo in Buddensieg, nella didascalia a commento di una foto della piazza risalente circa al 1877 (foto tra l’altro molto simile a quella inserita qui da Lou ): “Nietzsche abitava nel palazzo all’estrema sinistra, oggi non più esistente” (T. Buddensieg, Nietzsches Italien, 2002, tr. it. L’Italia di Nietzsche, ed. Libri Scheiwiller, Milano 2006, p. 148). Peccato.
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Joseph de Silentio Inviato il: Nov 3 2008, 10:41 PM


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CITAZIONE(lou @ Nov 3 2008, 01:57 PM) *
Joseph....
dici bella copia in senso che fu scritta in bella da Nietzsche
..........oppure fu copiata o scritta da Gast o altri?

insomma: è la grafia di Nietzsche quella che si vede?

hai ragione: sgubonius è bravo e intuitivo

potrebbe essere il tuo semola/artù
e tu naturalmente Merlino, dotto Joseph...

Sono certo che tu abbia visto un numero sufficiente di manoscritti (in originale o in foto) per saper riconoscere la grafia nietzscheana! Non c'è dubbio che nel caso specifico si tratti della grafia di Nietzsche. Ma ti è capitato mai di vedere le pagine dei taccuini? Ne ho presenti alcune che non riesco a decifrare pur sapendo cosa c'è scritto... se penso che Montinari è riuscito a leggere e decodificare anche passi cancellati, o addirittura pagine incollate! Lui sì che era davvero un mago...
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Joseph de Silentio Inviato il: Nov 2 2008, 11:08 AM


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CITAZIONE(Sgubonius @ Nov 1 2008, 12:05 PM) *
Certamente: Ruhm und Ewigkeit, dovrebbe essere l'ultimo, in italiano ho trovato questa traduzione:
FAMA ED ETERNITA' [...]

Bravo Sgubonius: hai dimostrato di saper decodificare la grafia nietzscheana, anche se in questo caso si tratta di una “bella copia” (in effetti ci sono molti frammenti che solo Montinari è riuscito a decifrare; non ce l’aveva fatta neanche Gast!). Qualche specificazione sul ditirambo in questione:
1) Inizialmente Nietzsche pensava di fare di questo ditirambo (meglio conosciuto come “Gloria e eternità”) la conclusione di Ecce homo, e a tale scopo il 29 dicembre 1888 lo invia al suo editore Naumann; qualche giorno dopo però ci ripensa: sia il 1 che il 2 gennaio 1889 lo richiede indietro per inserirlo, appunto, nei Ditirambi di Dioniso, cui ora appartiene (sebbene poi esso sia stato pubblicato, erroneamente, in diverse edizioni di Ecce homo: ma per tutto ciò cfr. l’ampia e fondamentale ricostruzione della vicenda editoriale di Ecce homo operata da Colli e Montinari e contenuta nelle OFN, Vol. VI, tomo III, pp. 542-590).
2) Per la composizione dei Ditirambi di Dioniso Nietzsche va spesso a riprendere i suoi quaderni del periodo dello Zarathustra, utilizzando molti dei versi in essi contenuti: non è un caso, infatti, che il verso finale di “Gloria e eternità” sia per esempio già presente in Za III, I sette sigilli, come chiusa di ogni “sigillo”: “Perché ti amo, Eternità!”.
  Forum: Filosofi e Filosofie · Anteprima Messaggio: #7420 · Risposte: 125 · Visite: 1,445,747

Joseph de Silentio Inviato il: Oct 22 2008, 06:02 PM


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Mi associo. Senza i sempre meditati e interessanti interventi di Nihilo, il forum non ha la stessa vivacità.
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 16 2008, 10:54 PM


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CITAZIONE(Sgubonius @ Oct 16 2008, 01:50 PM) *
Aggiungo che se non sbaglio disprezzava abbastanza il mondo cinese, mi pare in ecce homo (ma faccio molta confusione fra quello e i postumi) non perde occasione di fare similitudini fra cose che non ama e questi fumatori d'oppio. laugh.gif

Dipende da quello che intendi per “mondo cinese”. Se si fa riferimento all’ambito specificamente filosofico, per quanto Nietzsche in diversi luoghi critichi Lao-tse e soprattutto Confucio (cfr. per es. L’anticristo § 55 o Il crepuscolo degli idoli, “Quelli che migliorano l’umanità” § 5), è vero che tali critiche non sono più aspre di quelle che egli muove ad altri pensatori quali ad esempio Platone, dal quale era lontano ma che certamente non "disprezzava". Più tagliente appare invece la sua polemica nei confronti di quella che egli definisce, in senso dispregiativo, “cineseria”, termine da lui più volte utilizzato durante gli anni Ottanta (ma per fare riferimento al periodo cui alludi tu cfr. per es. FP 10 [17] autunno 1887, o Ecce homo, “Perché io sono un destino”, § 4). Tale categoria ha tuttavia una valenza espressamente socio-politica, non stricto sensu culturale o filosofica. In sostanza, a questo specifico proposito, Nietzsche riprende le considerazioni sviluppate in On Liberty da John Stuart Mill il quale (in pagine ampiamente segnate da Nietzsche nel suo esemplare) avanza il timore che l’Europa diventi un’altra Cina, denunciando il pericolo del livellamento dell’opinione pubblica che, sacrificando le diversità individuali, conduce verso una generale omologazione. A sua volta Mill si era ispirato alle riflessioni contenute in De la démocratie en Amérique di Alexis de Tocqueville (su cui tra l’altro aveva scritto anche un saggio letto da Nietzsche). E’ vero d'altra parte che, sebbene l’ispirazione principale di Nietzsche sia Mill, “la metafora del ‘cinese’ quale prototipo dell’ingranaggio della macchina moderna, individuo perfettamente allineato alle proprie condizioni di esistenza, è ricorrente nella letteratura dell’epoca: Nietzsche […] la ritrova in Schopenhauer, in Flaubert, in Renan e in generale nella pubblicistica politica” (M. C. Fornari, La morale evolutiva del gregge. Nietzsche legge Spencer e Mill, ETS, Pisa 2006, p. 280).
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 15 2008, 11:08 PM


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CITAZIONE(NIHILO @ May 22 2008, 08:46 AM) *
Non so se Nietzsche abbia mai letto - ti risulta o meno, Joseph? - il BUSHIDO,
cioè il testo in cui erano codificati i principi - soprattutto psicologici - della guerra,
e che era di fatto il viatico dei samurai [...].

In un breve articolo uscito tre anni fa sulle "Nietzsche Studien" Thomas Brobjer (T. Brobjer, Nietzsche’s Reading About China and Japan, “Nietzsche Studien”, 34, 2005, pp. 329-336) si è occupato delle letture nietzscheane relative alla cultura cinese e giapponese. Queste in breve le sue considerazioni: “There is an extensive interest in Nietzsche’s thinking in China and Japan, and Nietzsche’s interest in and knowledge of Chinese culture was not non-existent, though limited. His knowledge of and interest in Japanese culture, on the other hand, seems to have been basically non-existent” (ivi, p. 329). In effetti, nonostante il titolo, il lavoro di Brobjer si sviluppa quasi esclusivamente sulla Cina, perché sul Giappone pare che davvero Nietzsche non abbia letto nulla o quasi. Ecco cosa scrive ancora Brobjer: “Nietzsche’s interest in and knowledge of Japanese culture and thinking was minimal, much less than that of Chinese. Most of Nietzsche’s very references to Japan and Japanese culture occur beetwen 1884 and 1887, and seem to be due to his friendship with the painter and writer Reinhart von Seydlitz (1850-1931) who was intensively interested in Japan” (ivi, p. 334). Dopo aver aggiunto che i due erano diventati amici dai tempi di Bayreuth (1876) e che si erano scambiati delle lettere fino al tracollo di Nietzsche, Brobjer conclude dicendo che “Nietzsche read Seydlitz short story Im toten Punkt in 1877 and in 1885 he several times refers to Seydlitz’s Le Japonisme [riguardo quest’ultimo Brobjer in nota aggiunge che potrebbe trattarsi di un lavoro letterario o riguardare, più verosimilmente, l’interesse di Seydlitz per l’arte e lo stile giapponese]” (ibid.). A questo punto non sembra molto probabile che Nietzsche conoscesse la storia giapponese e dunque il bushido.
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 13 2008, 04:23 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Oct 12 2008, 10:06 PM) *
e nei postumi? ringraziamenti ennesimi.

Ce n’è uno soltanto, importante perché in esso Nietzsche sembra sintetizzare quanto scritto al proposito tra l’ottobre e il dicembre 1888 (1. guardare la mano pensando di avere in essa il destino dell’umanità; 2. ritenere di spezzare tale destino in due). Si tratta del FP 25 [5], dicembre 1888-gennaio 1889: “Guardo talvolta la mia mano, pensando che ho in mano il destino dell’umanità: lo spezzo invisibilmente in due parti, prima di me, dopo di me…” (OFN, Vol. VIII, tomo III, p. 409).
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 12 2008, 07:27 PM


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Due integrazioni:
1) In una lettera alla sorella della metà di novembre 1888, dopo averle scritto che in lui si è decisa la questione dei millenni, Nietzsche aggiunge: “[…] ich habe, ganz wörtlich geredet, die Zukunft der Menschheit in der Hand” (in Benders R. J., Oettermann S., Friedrich Nietzsche. Chronik in Bildern und Texten, Carl Hanser Verlag, München-Wien 2000, p. 711).
2) Similmente (sebbene qui non utilizzi l’immagine della mano), in una lettera a Deussen del 26 novembre, parlando dello Zarathustra come del primo libro di tutti i millenni, Nietzsche aggiunge che esso è “die Bibel der Zukunft, der höchste Ausbruch des menschlichen Genius, in dem das Schicksal der Menschheit einbegriffen ist” (ivi, p. 713).
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 11 2008, 10:22 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Oct 11 2008, 07:48 PM) *
grazie mille! ho cercato sul lessico di turco liveri, e c'è una lettera contenuta nell'antologia einaudi della allason , pag. 325, in cui si parla di tenere il destino del mondo in mano... forse avevo sbagliato nell'accennare allo spaccare in due
sempre preziosi
p.s.: non ho la allason ( la presi in prestito tempo fa, zarathustra compreso) e quindi non posso controllare. se lo fai tu, joseph, riportando il brano, ti sono grato una volta di più.

Si tratta della lettera a Gast del 30 ottobre 1888. Nietzsche scrive: “Le confesso che talvolta contemplo con sgomento la mia ‘mano’, perché mi pare di aver ‘in mano’ il destino del mondo…” (in F. Nietzsche. Epistolario 1865-1900, a cura di B. Allason, Einaudi, Torino 1962, p. 325). Colli e Montinari traducono: “Io considero talvolta la mia mano con una certa diffidenza, perché mi sembra di avere ‘nella mano’ il destino dell’umanità” (OFN, Vol. VI, tomo III, p. 437). Dal canto suo Verrecchia riporta: “Talvolta guardo la mia mano con diffidenza, perché mi sembra di avere ‘in mano’ il destino dell’umanità” (in A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, Torino 1978, p. 119); nell’edizione del 1997 cambia leggermente l’attacco: “Io guardo con qualche diffidenza la mia mano, perché mi sembra di avere ‘in mano’ il destino dell’umanità” (Id., La tragedia di Nietzsche a Torino, Bompiani, Milano 1997, p. 195). Se dovesse servire, l’originale tedesco è reperibile in Benders R. J., Oettermann S., Friedrich Nietzsche. Chronik in Bildern und Texten, Carl Hanser Verlag, München-Wien 2000, p. 709 (a p. 718 c’è invece il passaggio della lettera a Strindberg che ho citato nell'intervento precedente).
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 11 2008, 05:43 PM


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CITAZIONE(andreademilio @ Oct 11 2008, 12:58 PM) *
Amici, dov'èche Nic dice che la sua mano taglia in due la storia ecc? nei postumi 88? ma quali esattamente? serve per la tesi di un amico. grazie!

Quella di “spaccare in due la storia dell’umanità” (di “mano” però non si parla) è una caratteristica che l’ultimo Nietzsche attribuisce in un primo momento (ottobre 1888) a quello che allora considerava il “primo libro della Transvalutazione di tutti i valori”, cioè l’Anticristo; quando poco dopo l’Anticristo diventa “tutta” la Transvalutazione, il riferimento viene trasferito ad Ecce homo. Le occorrenze presenti sono diverse: una è proprio in Ecce homo, le altre in alcune lettere degli ultimi mesi (non ho controllato i FP, nel caso inserirò un aggiornamento):

1) Ecce homo, “Perché io sono un destino”, § 8:
[Riferendosi alla “catastrofe” della morale cristiana]: “Chi può far luce su di essa, quegli è una force majeure, un destino – spacca in due la storia dell’umanità”.

2) Lettera a Overbeck del 18 ottobre 1888:
“Ho l’idea che il mio colpo spezzerà in due la storia dell’umanità” (in F. Nietzsche. Epistolario 1865-1900, a cura di B. Allason, Einaudi, Torino 1962, p. 320); oppure, nella traduzione di Verrecchia: “Temo che spaccherò in due la storia dell’umanità” (in A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, Torino 1978, p. 112; ripubblicato in Id., La tragedia di Nietzsche a Torino, Bompiani, Milano 1997, p. 187).

3) Lettera a Strindberg dell’8 dicembre 1888:
“Sono abbastanza forte da spezzare in due la storia dell’umanità” (in Allason 1962, cit., p. 333, dove però si riporta erroneamente la data 7 dicembre); nella traduzione di Verrecchia: “Io sono forte abbastanza per spezzare in due parti la storia dell’umanità” (in Verrecchia 1978, cit., pp. 137-138; poi in Id., 1997, cit., p. 224).

4) Lettera a Gast del 9 dicembre 1888:
[Riferendosi sempre ad Ecce homo]: “spacca in due, letteralmente, la storia dell’umanità” (in Verrecchia 1978, cit., p. 168; poi in Id., 1997, cit., p. 274).

5) Abbozzo di lettera a Brandes, [circa] 10 dicembre 1888:
“Io preparo un evento che con estrema probabilità spaccherà la storia in due metà” (in Verrecchia 1978, cit., p. 168; poi in Id., 1997, cit., p. 275).

Stralci di alcune di queste lettere si trovano anche negli apparati di Colli e Montinari alle OFN, Vol. VI, tomo III, la cui lettura è vivamente consigliata anche per la complessa ricostruzione filologica della genesi di Ecce homo.
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Joseph de Silentio Inviato il: Oct 6 2008, 09:31 PM


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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ Nov 11 2007, 11:16 AM) *
In effetti più di uno studioso qualificato (per es., oltre Montinari, anche Venturelli e Zavatta) fa risalire alla lettura nietzscheana di Emerson (conosciuto fin dal 1862) il primo incontro con il personaggio di Zarathustra da parte di Nietzsche. Invece Hans Wolff, nel suo Friedrich Nietzsche. Una via verso il nulla, scritto nel 1956, ipotizza che “la conoscenza del mondo spirituale d’Oriente Nietzsche l’acquisì probabilmente tramite l’opera di Friedrich von Schlegel, Über die Sprache und Weisheit der Indier nella quale si parla anche di Zarathustra”, tra l’altro proprio nel contesto di una ricomposizione del dissidio tra bene e male (H. Wolff, op. cit., p. 212). Secondo Wolff Nietzsche avrebbe potuto conoscere questa opera di Schlegel fin dai tempi di Pforta (dunque negli stessi anni della lettura dell’opera emersoniana), in quanto essa avrebbe a suo avviso influenzato la stesura dei saggi giovanili Fato e storia e Libertà della volontà e fato (ibidem, pp. 13 sgg.). Ipotesi interessante sotto il profilo ermeneutico, non supportata tuttavia filologicamente (Wolff non fornisce infatti riscontri documentali sulla presenza di tale lettura nel giovane Nietzsche, né io tra le mie fonti ne ho trovato traccia).

Un aggiornamento, che mi sembra importante, in merito alle fonti nietzscheane riguardo il personaggio di Zarathustra. Oltre al già citato Emerson, due riferimenti fondamentali sono:

1) Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen (quattro volumi, 1836 ss.) dell’archeologo Friedrich Creuzer, opera che Nietzsche aveva già trovato citata nel primo libro di storia della filosofia da lui letto, Genetische Geschichte der Philosophie seit Kant (1852, letto da Nietzsche nel 1864) di Karl Fortlage (per la ricostruzione della lettura nietzscheana di Fortlage cfr. Brobjer 2008, pp. 46 e 135, che rimanda alla lettera di Nietzsche inviata il 31 ottobre 1864 a Hermann Kletschke. Inedita in italiano, e dunque non presente nel primo volume dell’Epistolario Adelphi perché pubblicata per la prima volta solo nel 1993 nel volume di commento ai Sämtliche Briefe, tale lettera – oltre che in Brobjer che ne riporta alcuni passaggi – è reperibile anche in Benders e Oettermann 2000, pp. 115-116). Quando Nietzsche il 23 aprile 1883 scrive a Köselitz di aver appreso “per caso […] cosa significa ‘Zarathustra’: precisamente ‘aurea stella’” (Epistolario, Vol. IV, p. 345), non ricorda che tale etimologia era già presente appunto nell’opera di Creuzer, che egli aveva preso in prestito dalla biblioteca di Basilea nel 1871 (cfr. Lévy 1904, p. 100; Benders e Oettermann 2000, p. 275) e su cui, dopo averla acquistata, era tornato per dei corsi tenuti nei semestri 1875-76 e 1877-78 (cfr. Janz 1978, tr. it. 1981, pp. 208-209; Gentili 2001, pp. 289-290). Tale testo è tuttora presente nella biblioteca nietzscheana (cfr. Campioni et al. 2003, a cura di, pp. 174-175).
2) Culturgeschichte in ihrer natürlichen Entstehung bis zur Gegenwart (1874) dello storico della cultura e antropologo Friedrich von Hellwald, da cui Nietzsche (che lo aveva già letto nel 1875 e lo stava rileggendo durante la sua prima estate a Sils Maria nel 1881) riprende praticamente alla lettera quanto scrive, non a caso proprio nel 1881, nel suo primo riferimento a Zarathustra: “Zarathustra, nato sul lago Urmi, lasciò a trent’anni la sua patria, si recò nella provincia di Aria e in dieci anni di solitudine sui monti compose lo Zend-Avesta” (FP 11 [195], primavera-autunno 1881, poi in La gaia scienza, § 342, e in Così parlo Zarathustra, “Prefazione”, § 1). Hellwald aveva scritto: “Zarathustra, il grande profeta degli Iraniani […], nacque nella città di Urmi, vicino al lago che porta lo stesso nome. […] All’età di trent’anni egli lasciò la sua casa, andò verso est in provincia di Aria e lì, sulle montagne, passò dieci anni in solitudine, occupandosi della composizione dello Zend-Avesta” (Hellwald 1874, in Brobjer 2008, p. 84, dal cui inglese traduco. A p. 163 Brobjer cita il passo anche nell’originale tedesco). A scoprire che il passo nietzscheano è in realtà una trascrizione da Hellwald è stato nel 1993 Paolo D’Iorio (D’Iorio 1993; 2000), il quale riporta il confronto tra i testi originali.

Riferimenti bibliografici:
• R. J. Benders, S. Oettermann, Friedrich Nietzsche. Chronik in Bildern und Texten (Carl Hanser Verlag, München-Wien, 2000)
• T. H. Brobjer, Nietzsche’s Philosophical Context. An Intellectual Biography (University of Illinois Press, Urbana and Chicago 2008)
• G. Campioni et al. (a cura di), Nietzsches persönliche Bibliothek (Walter de Gruyter, Berlin - New York 2003)
• P. D’Iorio, Beiträge zur Quellenforschung (“Nietzsche Studien”, 22, 1993, pp. 395-402)
• P. D’Iorio, Genèse, parodie et modernité dans "Ainsi parlait Zarathoustra" (in G. Merlio – éd. –, Ainsi parlait Zarathoustra, Editions du temps, Paris 2000, pp. 25-43)
• C. Gentili, Nietzsche (il Mulino, Bologna 2001)
• C. P. Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie (3 voll., Hanser, Müncher-Wien, II 1978), tr. it. Vita di Nietzsche, vol. II (Laterza, Roma-Bari 1981)
• A. Lévy, Liste inédite des livres empruntés par Nietzsche à la bibliothèque de Bâle 1869-1879, appendice a Id., Stirner et Nietzsche (Société Nouvelle de librairie et d’édition, Paris 1904, pp. 93-113)
• F. Nietzsche, Opere, edizione italiana condotta sul testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari: Vol. V, tomo II, La Gaia scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882, a cura di M. Carpitella (Adelphi, Milano 1991); Vol. VI, tomo I, Così parlò Zarathustra (Adelphi, Milano 1968)
• F. Nietzsche, Epistolario, edizione italiana condotta sul testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Vol. IV (Lettere 1880-1884) a cura di G. Campioni (Adelphi, Milano 2004)
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Joseph de Silentio Inviato il: Sep 27 2008, 02:58 PM


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CITAZIONE(Sgubonius @ Sep 27 2008, 12:59 AM) *
[...]
Se il mondo è soltanto rappresentazione e volontà, il resto viene dopo. La rappresentazione fonda soggetto (ovvero la costante che rappresenta sempre sè stesso, in senso cartesiano del cogito me cogitare) e oggetto mentre ovviamente la volontà opposta ad essa forma un apparente contrasto interno-esterno. Dico apparente perchè se il mondo è volontà e rappresentazione la posizione non è nè idealista nè realista (soggetto e oggetto vengono dopo) e in quanto tale è plausibile una posizione intermedia/ibrida fra interno ed esterno in quanto la rappresentazione non è nè interna nè esterna (int/est rispetto a chi, al soggetto?), come non lo è in fondo la volontà. E' un po' confuso in verità...
[...]

Premesso che la critica a Schopenhauer da me riportata è, come avevo scritto, di Nietzsche e non mia (sebbene io la condivida), respingo (amichevolmente, beninteso) il tentativo di difesa di Sgubonius. Anzitutto, seguendo il suo modello argomentativo, per cui “interno” ed “esterno” mancherebbero di un quid rispetto al quale darsi, se ne potrebbe concludere che anche il “dopo” di cui egli parla, essendo una categoria temporale come tale estranea alla Volontà (che è eterna), non si dà mai, poiché ontologicamente non c’è altro che la Volontà stessa. Ma il punto non è tanto questo: l’errore implicito nella lettura di Sgubonius (errore per la verità piuttosto comune, dovuto anche alla maniera dello stesso Schopenhauer di utilizzare i termini) consiste piuttosto nel prendere la locuzione “mondo come rappresentazione” nel senso di “realtà”, e intendere dunque che esistano o due realtà (mondo della rappresentazione e mondo della volontà) oppure una realtà unica ma per così dire “sdoppiata” (mondo che è a un tempo volontà e rappresentazione). In verità quando Schopenhauer parla di “mondo come rappresentazione” non intende una realtà altra rispetto alla Volontà, ma solo il modo in cui questa si individua, si oggettiva, insomma si esplicita fenomenicamente. Non a caso egli sottolinea di continuo che il mondo come rappresentazione è mera apparenza: ma allora, se così è, “realtà” è solo il mondo come Volontà: e questo non è altro che un tipo di monismo ontologico. E’ qui che cade la critica di Nietzsche: in primis, e ciò è noto, Schopenhauer continua a pensare secondo il modello nichilistico platonico-cristiano, per il quale il mondo sensibile è qualcosa di negativo e dunque dobbiamo liberarcene; in secondo luogo, e qui sta l’aporia denunciata da Nietzsche, mentre nel platonismo e nel cristianesimo la soppressione del mondo sensibile non comporta una revoca della realtà, poiché proprio in virtù del dualismo implicito in tali sistemi il mondo intelligibile rimane (almeno dal loro punto di vista), per il monista Schopenhauer la soppressione del solo mondo sensibile non è semplicemente pensabile, visto il suo mero statuto di apparenza (e del resto se anche questa fosse possibile non sarebbe con ciò soppressa la negatività, che in senso proprio è specifica dell’unica realtà, cioè della Volontà stessa): non resta dunque che una paradossale possibilità: l’ “autosoppressione” del reale.
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