Raggiungiamo sempre nuovi traguardi, passiamo di conquista in conquista, nel campo delle scienze, della tecnologia, della salute, del benessere, dell'economia, eppure permane, e anzi aumenta, un profondo senso di infelicità, di paura e di disorientamento. Forse perché non abbiamo fatto alcuna conquista nell'ambito della coscienza (dello "spirito"). Questo territorio l'abbiamo abbandonato e dimenticato, giacché non produce profitto materiale, non incrementa il PIL, non aiuta la causa del capitalismo. La colpa non è ovviamente da attribuire alla scienza, alla tecnologia, al benessere o al mercato, ma, se una colpa c'è, è l'uomo ad averla. Il modo in cui facciamo uso di queste grandi risorse è deleterio.
Avete mai pensato (a grandi linee naturalmente) a una soluzione? Come potremmo uscire da questo baratro? Non aveva forse ragione Nietzsche? Trasvalutazione di tutti i valori e oltreuomo. Valori decrepiti su cui la civiltà oggi non può più reggersi. Al di là della questione se siano valori buoni o cattivi in se stessi, sono radici che non ci danno più linfa, siamo troppo distanti e troppo diversi, troppi rivolgimenti ci sono stati, troppi mutamenti si sono verificati. Il problema sta infatti nel mutamento dell'uomo: egli è cambiato a tal punto che oramai gli ideali dell'"uomo greco", dell'"uomo cristiano", o altri tipi d'uomo del passato, non attecchiscono più nell'uomo attuale. Perciò pensare al recupero delle radici greche o cristiane, rivolgersi al passato per emulare un mondo e un tipo umano diventati radicalmente diversi, è impresa fatua. Non abbiamo più bisogno di rifarci a modelli passati; ora dobbiamo noi stessi diventare modello. Non è questo che fecero i greci? Abbiamo appiccato fuoco a tutto, da più di un secolo: la storia, le tradizioni, i valori, le fedi, le istituzioni, tutto. Ma allora non è forse giunta l'ora di creare un nuovo tipo umano, che vada oltre l'uomo tradizionale che ha fondato la civiltà su basi che oggi non reggono più? Deve sorgere il bisogno di creare qualcosa di completamente nuovo, un uomo nuovo, una nuova civiltà, un nuovo mondo, ancora mai visti. In questo senso Nietzsche aveva ragione: "Duemila anni e ancora nessun nuovo Dio". L'uomo deve diventare il dio di se stesso. Non abbiamo forse bisogno di qualcuno che sia addirittura più grande di Cristo o di Kant, che operi una rivoluzione copernicana più radicale e più imponente, che abbia in sé la forza di spostare l'asse del mondo?
"Questo è il nostro mondo, adesso, il nostro mondo, e quella gente antica è morta." (Chuck Palhaniuk)
"'Occidente' è parola che esprime un destino a cui non ci si può sottrarre. (...) Il tramonto è inevitabile. (...) Ma qual è il senso custodito dalla parola? Tramontare è l'inevitabile declinare della luce o è l'inconsapevole sottrarsi della terra alla luce? Cogliere il senso di questa domanda è decidersi per un'attesa o per una scelta." (Umberto Galimberti)
si, ma quando tutti saremmo dei e vorremmo stabilire il nostro dominio anche a costo della distruzione dell'altro dio, non trovi che la specie umana potrebbe autoannientarsi, scontro tra titani?
sulla terra pulluliamo
non siamo esseri isolati
dobbiamo fare i conti anche con gli altri
L'affermazione voleva essere metaforica. In concreto volevo riferirmi alla necessità, per l'uomo, di creare nuovi valori autonomamente (non ciascun uomo individualmente, anarchicamente), ossia senza presupporre realtà trascendenti, inesperibili per la maggior parte dell'umanità se non per tutti, o anche immanenti ma troppo remote. Sostanzialmente ciò che hanno detto Nietzsche e in parte Kant, ma che sia l'uno sia l'altro non hanno spinto fino in fondo: il primo fondando questa idea su un presunto eterno ritorno dell'uguale, che finisce per risultare più metafisico e inattingibile del Dio cristiano (soprattutto a questo punto della storia); e il secondo ammettendo i postulati dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio come "dei ex machina" per legittimare la moralità. Per cui, il mio richiamo al concetto di dio voleva fare riferimento all'esigenza, per l'uomo, di ricreare se stesso, mercé la creazione di nuovi valori su cui impiantare una nuova civiltà.
Specificato ciò, non è giocoforza che un dio debba anche dominare incontrastato su tutto il resto. Se gli dèi non esistono, allora le qualità che storicamente sono state loro attribuite sono frutto d'arbitrio. Dunque potremmo considerare un dio come dominatore incontrastato oppure semplicemente come reggitore dell'equilibrio del cosmo. Con la mia metafora dell'uomo che deve diventare il dio di se stesso, intendevo quindi anche che l'uomo deve anelare costantemente alla creazione e alla reggenza di un ordine e di un equilibrio delle parti fra loro e delle parti col tutto (in termini più chiari, degli uomini fra loro e degli uomini con il pianeta, o, meglio ancora, con l'universo in cui vive).
Inoltre, io parlavo di "uomo" e non di "uomini". Non intendevo dire, quindi, che ogni uomo deve diventare il dio di se stesso, bensì che l'uomo come ente deve diventarlo. In concreto, il significato del termine "uomo", in quell'affermazione, è quello di umanità nel suo insieme, quasi come individuo a sé stante. E già i greci sapevano perfettamente che un organismo è in salute allorché tutte le sue parti sono in equilibrio.
Ma, poi, per tutto il resto, che mi dite?
Mi permetto di cambiare tiro: un nuovo valore creato è pur sempre creato da un uomo e quindi mai definitivo. (nietzshce stesso)
Allora perchè battere sul "nuovo"? Il nuovo non è forse il ritorno dell'identico?
L'unico senso è in noi stessi, il creare è sempre uno scoprire...
E' vero che la questione del nichilismo rimanda alla perdita di un senso, per cui
allo stato attuale della storia dell'occidente il senso è dato dal SUBIECTUM che
mette in piedi una tavola di valori, ma noi ci dimentichiamo troppo spesso che,
come sottolineano giustamente Heidegger e Severino, il nichilismo ha spa-
lancato lo sterminato spazio che oggi, e sempre più nel futuro, occuperà la
volontà di potenza come configurazione calcolante dell'ente nel suo insieme
disponibile attraverso la sua maneggiabilità - Behandenheit - e quindi ha dato
carta bianca all'immane dispiegarsi della tecnologia.
Il destino dell'uomo dipende dalla tecnologia, le diatribe sul fatto se Dio sia morto
sono ormai pure esercitazioni tautologiche.
Però entrambi i pensieri - Heidegger e Severino - sono intrisi della speranza di evadere al genocidio della mentalità calcolante: "ritornare" per salvarsi.
E così pensare il futuro.
(scusa il linguaggio escatologico ma provo ad interpretare)
Condivido in toto l'intervento.
Sì, è vero, ed entrambi prospettano come, chiamiamola "ricetta salvifica", il recupero del
monismo parmenideo, che rappresenta una cesura netta rispetto a tutto il resto della filoso-
fia occidentale, imperniata sulla differenza ente-essere.
E difatti proprio da lì è necessario ripartire.
Fin quando sapremo dare solo "ricette"?
E' possibile fare qualcosa in "più" che dare ricette?
A dire la verità non è facile aprirsi nuove vie dopo Nietzsche,
e forse ancora per molti anni la ricerca filosofica procederà
a tentoni; in ogni caso dopo Nietzsche e dopo Heidegger essa
- ho visto che su ciò ci troviamo d'accordo - dovrà confrontarsi
con la tecnologia.