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> "Cosi' parlo' Zarathustra" di Friedrich Nietzsche
rasema74
messagio Mar 28 2007, 03:52 PM
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Questa volta facciamo le cose per bene eh?
Allora, perche' Federico scelse questo titolo?
O meglio, perche' non poteva esserci altro titolo?

Mi ricorda un po' i Vangeli, un po' Platone-Socrate, Omero...
C'e' qualcuno che parla e altri che ascoltano e tra
questi qualcuno che, a un certo punto, comincia a scrivere.
Ma Federico non conobbe di persona Zarathustra,
come avrebbe potuto?

Idea:
E se Nietzsche avesse scritto in uno stato di ispirazione tale
da avere l'impressione che, come dire, qualcuno gli stesse
parlando? Non sarebbe certo il primo nella storia... anche Maometto
scrisse il Corano come parola di Dio, anche se solo dopo alcuni anni
dal momento della rivelazione...

Quindi:
Gesu' >>Matteo, Marco, Luca, Giovanni...>>Vangeli
Allah >>Maometto >>Corano
Zarathustra >>Nietzsche >>Cosi' parlo' Zarathustra

Che ne pensate?
Non vedete una certa convergenza?
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Sgubonius
messagio Jan 28 2009, 03:14 PM
Messaggio #2


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I motivi dell'adesione di Heidegger al nazismo sinceramente non li conosco bene, credo che fosse principalmente una questione di presunta "autenticità" che lui intravedeva in questo regime rispetto alla vita della chiacchera borghese e via dicendo... C'era quindi un'adesione attiva direi in questo senso.

Riguardo all'importanza dell'eterno ritorno è un dibattito apertissimo temo.
Senz'altro c'è da una parte l'idea che esso renda massimamente "controllabile" il divenire, il caos, sotto il possesso di un soggetto e quindi spinga in direzione della potenza, se si eternizza il presente come momento decisionale, lo si stira, si afferma il soggetto che decide nel suo decidere e si dà peso estremo all'atto della decisione. Fai ogni cosa come se dovesse ripetersi in eterno.
Dall'altra c'è invece l'idea che attraverso l'eterno ritorno della differenza il cerchio si "deplace", si sposti in qualche modo, in una ripetizione "vestita", cioè differente. La questione qui è mi pare epocale, nel senso che in questo ritorno il presente diventa una finzione in un tempo puro indiviso, il soggetto una maschera, e l'atto una libertà inutile. La sconfitta della morale è la sconfitta dell'uguale, del modello e della somiglianza, in nome dell'estrema individuazione dionisiaca (che non è il principio individuationis, anzi ne è l'opposto). L'innocenza del divenire è uno dei temi classici di N., e mi pare non lasci spazio ad un giudizio (morale) sul presente o sul futuro o su quant'altro. L'amor fati è la conseguenza, un'accettazione attiva, direi artistica ed estetica, in qui l'eternità non gioca il ruolo dell'imperativo categorico kantiano (fai ciò che possa diventare norma eterna) ma è invece il suggello dell'accetazione dell'esistenza, l'anello nuziale con cui si sposa la terra. Deleuze dice non "una volta per tutte" ma "tutte le volte" deve essere accettato il lancio di dadi, un lancio senza valore, senza attribuzioni di meglio e peggio. L'atto, l'azione, la decisione esteriore perde ogni peso, diventa leggerissima, oblio e innocenza, "gettate in mare ogni pesantezza", buttiamo in acqua il sasso del significato che sta in bocca al significante, mentre il peso, la misura, il valore, è in mano nostra, interiormente, in nome della volontà di potenza. "L'uomo è colui che valuta", il superuomo trans-valuta.

"Non intorno agli inventori di nuovi fragori: intorno agli inventori di valori nuovi ruota il mondo; "impercettibile" – così esso ruota"


--------------------
"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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roberto.borghesi
messagio Jan 28 2009, 10:20 PM
Messaggio #3


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jan 28 2009, 03:14 PM) *
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I motivi dell'adesione di Heidegger al nazismo sinceramente non li conosco bene, credo che fosse principalmente una questione di presunta "autenticità" che lui intravedeva in questo regime rispetto alla vita della chiacchera borghese e via dicendo... C'era quindi un'adesione attiva direi in questo senso.

Riguardo all'importanza dell'eterno ritorno è un dibattito apertissimo temo.
Senz'altro c'è da una parte l'idea che esso renda massimamente "controllabile" il divenire, il caos, sotto il possesso di un soggetto e quindi spinga in direzione della potenza, se si eternizza il presente come momento decisionale, lo si stira, si afferma il soggetto che decide nel suo decidere e si dà peso estremo all'atto della decisione. Fai ogni cosa come se dovesse ripetersi in eterno.
Dall'altra c'è invece l'idea che attraverso l'eterno ritorno della differenza il cerchio si "deplace", si sposti in qualche modo, in una ripetizione "vestita", cioè differente. La questione qui è mi pare epocale, nel senso che in questo ritorno il presente diventa una finzione in un tempo puro indiviso, il soggetto una maschera, e l'atto una libertà inutile. La sconfitta della morale è la sconfitta dell'uguale, del modello e della somiglianza, in nome dell'estrema individuazione dionisiaca (che non è il principio individuationis, anzi ne è l'opposto). L'innocenza del divenire è uno dei temi classici di N., e mi pare non lasci spazio ad un giudizio (morale) sul presente o sul futuro o su quant'altro. L'amor fati è la conseguenza, un'accettazione attiva, direi artistica ed estetica, in qui l'eternità non gioca il ruolo dell'imperativo categorico kantiano (fai ciò che possa diventare norma eterna) ma è invece il suggello dell'accetazione dell'esistenza, l'anello nuziale con cui si sposa la terra. Deleuze dice non "una volta per tutte" ma "tutte le volte" deve essere accettato il lancio di dadi, un lancio senza valore, senza attribuzioni di meglio e peggio. L'atto, l'azione, la decisione esteriore perde ogni peso, diventa leggerissima, oblio e innocenza, "gettate in mare ogni pesantezza", buttiamo in acqua il sasso del significato che sta in bocca al significante, mentre il peso, la misura, il valore, è in mano nostra, interiormente, in nome della volontà di potenza. "L'uomo è colui che valuta", il superuomo trans-valuta.

"Non intorno agli inventori di nuovi fragori: intorno agli inventori di valori nuovi ruota il mondo; "impercettibile" – così esso ruota"

innanzi tutto, grazie per continuare a discutere con me. cercherò di essere sempre all'altezza.
io penso che quando colli scrive che si tratta di "fare" qualcosa nella direzione di nietzsche, questo fare consista nel tentare di esercitare il pensiero a partire da lui.
per '"affare" heidegger; mi pare tu rimandi alla interpretazione di un "arci-nazismo", diffusa. per me, questa posizione di "purezza", rispetto a quella che tu chiami la "chiacchiera borghese", aggrava la responsabilità del filosofo di marburgo. intendiamoci; non intendo con questo attribuirgli una responsabilità diretta in relazione all'olocausto. gli imputo una responsabilità "filosofica", di pensiero. è con questa che, secondo me, non finiamo di misurarci. lo ha fatto in modo immenso per tutta la vita philippe lacoue labarthe, di cui ricorrono proprio oggi i due anni dalla morte. e qui chiudo per questo tema.
L'eterno ritorno delle medesime cose non è "controllabile". ciò che accade è già deciso, essendo io nella ripetzione. Il fatto è che io non so che cosa è deciso. "io sono deciso"; questa espressione va accolta in tutta la sua valenza in realzione al verbo essere. anzi, direi che il "gioco" sta prorpio qui, nel modo in cui si legge la frase. "fai ogni cosa come se dovesse ripetersi in eterno": ovvero, imprimi l'essere sul divenire. Il punto è che messa così è come se si dicesse: agisci bene in modo da meritare il pradiso.
la formula dell'eterno ritorno delle medesime cose, per me, non è una "religione", l'eternità in essa non è quella della tradizione platonico-cristiana. se sono già deciso, allora io mi decido per qualcosa che non è in mio potere-siamo, allora fuori dalla volontà di potenza-; l'etimologia latina parla di caduta e di taglio. allora non è il termine giusto, forse, per seguire la formula dell'eternoi ritorno delle medesime cose. invece di "io sono deciso", io decido, sarà opportuno dire: io accolgo, accetto, ricevo, questo attimo, lo ospito, come uno straniero, uno sconosciuto, ma non una volta, ma all'infinito. è chiaro che qui io affronto il pensiero di nietzsche secondo la lente della "decostruzione" (derrida, nancy, lacoue labarthe, kofmann). l'accoglienza dell' attimo, allora si da solo se si "gioca", ripeto, tutto il valore della frase "io sono deciso".
"il presente diventa una finzione": "il presente non esiste" scrive giorgio colli, mi pare in "dopo nietzsche". è chiaro che se il presente è una ripetizione, non è originale. se prae-sum è la radice, seguendo la logica della formula di nietzsche, al "presente" andrà sotituito un altro nome, che in questo momento non mi viene.
la morale: per me nietzsche è l'ultimo dei moralisti.che abbia smascherato radicalmente la relatività dei valori morali soprattutto del tempo cristiano, non c'è dubbio. ma zarathosutra, per fare un nome, è un facitore di valori. nietzsche non è un nihilsta negativo.
innocenza del divenire; è soprattutto in funzione "anticristiana", che intendo questa espressione. il movimento è sentito negativamente, di solito; ciò che vale è ciò che è ben piantato sulle proprie gambe, ciò che sta fisso, che sta fermo il più a lungo possibile il traballare è una colpa, è segno di instabilità, tanto più il ballare. si veda, in senso contrario, in proposito l'"ora senza voce". ora, ciò che invece nietzsche "trasvaluta" è proprio il valore della stabilità e del movimento. l'eterno ritorno delle medesime cose, se è vero che "fissa" le cose che si ripetono, tuttavia imprime ad esse la ripetizione e dunque un movimento infinito. questa è per me l'"innocenza del divenire".
i valori; si nuovi valori sono possibili. per me, per esempio, è la "grandezza", che ho ritrovato in nietzsche tramite colli, e che per me si connota, paradossalmente di un passo di colomba........grazie ancora per l'"occasione". salute.
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