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> Nietzsche e Heidegger
Joseph de Sil...
messagio Jul 6 2009, 09:41 PM
Messaggio #21


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 2 2009, 12:50 PM) *
Ti posso assicurare che ho tentato di cercare il libro di D'Iorio che sembra molto interessante, anche in francese, e non è affatto facile da reperire!

Ho fatto una breve ricerca: il saggio di cui parlo, per chi volesse consultarlo, è anche su Internet. Non sarebbe citabile in eventuali pubblicazioni perché non c'è la numerazione originale delle pagine, ma quello che conta è il contenuto. Come si potrà vedere, la genesi dell'errore di Deleuze è ricostruita da D'Iorio nel primo paragrafo, ma il lavoro è di estremo interesse, va letto tutto. Comunque la cosa più importante che Paolo D'Iorio abbia scritto finora sul dibattito cosmologico intorno all'eterno ritorno resta "La linea e il circolo. Cosmologia e filosofia dell'eterno ritorno in Nietzsche" (Pantograf, Genova 1995): un librone di quasi quattrocento pagine che più volte ho avuto modo di citare, ormai introvabile. Dell'eterno ritorno in relazione al dibattito cosmologico si era accennato o trattato peraltro fin dalle prime monografie su Nietzsche (limito i miei riferimenti ai testi che ho letto): per esempio già George Brandes, nelle sue lezioni su Nietzsche tenute all'Università di Copenhagen nel 1888 (e uscite l'anno successivo sotto il titolo di "En Afhandling em aristokratisk radikalisme"), aveva notato a questo proposito delle similitudini tra la posizione di Nietzsche e quelle di Blanqui e di Le Bon (cfr. la tr. ingl. "An Essay on Aristocratic Radicalism", MacMillan, New York 1915, p. 48). Dieci anni dopo Henry Lichtenberger, nell "Appendice" al suo "La philosophie de Nietzsche", riprende gli stessi esempi di Brandes e sostiene che "it seems to me that this coincidence is interesting above all because it shows us that one of Nietzsche's apparently most paradoxical ideas was not really the strictly individual production of an abnormal and morbid imagination, but that it was, so to speak, in the air between 1871 and 1881, since three such different thinkers as Nietzsche, Le Bon, and Blanqui arrived at it by independent routes, and that thus Nietzsche, even in his mystic theory of the Eternal Return, is the representative of a real tendency of the modern soul" (tr. ingl. "The Gospel of Superman", MacMillan, New York 1912, p. 216). Dal canto suo Johannes Broene, nel suo "The Philosophy of Friedrich Nietzsche" (Clark University Library, Worcester 1910), a Blanqui e Le Bon aggiunge per esempio anche lo scienziato Carl Von Nägeli, autore attentamente letto da Nietzsche (op. cit., p. 73). Nel 1917 Willian MacIntire Salter dedica un ampio capitolo all'eterno ritorno nel suo "Nietzsche the Thinker" (Palmer and Hayward, London 1917, pp. 163-181), trattando en passant anche aspetti cosmologici e, ad ogni modo, precisando subito che l'eterno ritorno "is sometimes regarded as fanciful or mystical" ma che, sebbene "it must be admitted that Nietzsche is himself partly responsible for views of this sort", ad un'analisi più approfondita "we see that the idea arose with something like logical necessity, that it has broad theoretic grounds" (op. cit., pp. 163-164): e cita, tra gli altri, il fisico William Thomson. Colui che tra i primi però entra specificamente nel merito è, negli anni Venti, Charles Andler: nel suo fondamentale "Nietzsche. Sa vie et sa pensée" (1920-1931 in 6 voll., ristampato in 3 voll. da Gallimard, Paris 1958) egli dedica pagine davvero interessanti ed informate alla questione (cfr. vol. II, pp. 420-424, e vol. III, pp. 284-294). Senza volere comunque andare a caccia di libri difficili da reperire, su questo tema si possono consultare varie fonti anche più recenti: per esempio Alistair Moles, "Nietzsche's Philosophy of Nature and Cosmology" (Peter Lang, New York 1990); oppure il saggio "Nietzsche and Cosmology" di Robin Small, contenuto in Keith Ansell Pearson (eds.) "A Companion to Nietzsche" (Blackwell Publishing Ltd 2006, pp. 189-207). In italiano si può esaminare la sezione dedicata all'eterno ritorno nella "Guida a Nietzsche" curata da Maurizio Ferraris per Laterza (cfr. ivi, pp. 262-275); Ferraris (di cui però per diversi altri aspetti non condivido la ricostruzione) tra l'altro scrive: "Più che per qualunque altra parte della filosofia nietzscheana, per intendere il senso dell'eterno ritorno non si può prescindere dai rapporti tra Nietzsche e la scienza" (ivi, p. 268). Altro lavoro interessante (e reperibile su Internet), anche se a dispetto del titolo più specificamente orientato su Blanqui, è quello di Tiziana Andina, "Eterno ritorno: Nietzsche, Blanqui e la cosmologia del Big Bang" (originariamente pubblicato in "Rivista di estetica" n.17, 2001, XLI, pp. 3-36). E poi c'è altro... ma vedo che mi sono dilungato anche troppo: se qualcuno comunque volesse approfondire, ci si può aggiornare ad un prossimo intervento.
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Sgubonius
messagio Jul 6 2009, 10:41 PM
Messaggio #22


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Grazie della panoramica, io avevo cercato proprio "La linea e il circolo. Cosmologia e filosofia dell'eterno ritorno in Nietzsche" con scarsissimo successo, magari ora vedo se reperisco online questo altro testo di Iorio che citavi.
Appena possibile poi tenterò di scovare qualche punto comune fra i due pensatori che danno nome al topic per riavviare la questione su binari più precisi. Se possibile!


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Sgubonius
messagio Jul 8 2009, 04:21 PM
Messaggio #23


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Aggiungo in ritardo ma per completare il discorso che avevamo avviato con Nachtlied questo stralcio da "La logica del senso":

<<Nietzsche esplora un mondo di singolarità preindividuali e impersonali, mondo che ora egli chiama dionisiaco o della Volontà di Potenza, energia libera e non incatenata. Singolarità nomadi non più imprigionate nell'individualità fissa dell'Essere infinito (la famosa immutabilità di Dio), nè entro i limiti sedentari del soggetto finito (i famosi limiti della conoscenza). Qualcosa che non è né individuale né personale e che nondimeno è singolare, per nulla abisso indifferenziato, ma che però salta da una singolarità all'altra, che sempre emette un lancio di dadi, che fa parte di uno stesso lancio, sempre frammentato e riformato in ogni lancio. Macchina dionisiaca per produrre il senso e in cui il non senso e il senso non sono più in rapporto di opposizione semplice, ma compresenti l'uno con l'altro in un nuovo discorso. Ma questo nuovo discorso non è più quello della forma e nemmeno quello dell'informe: è piuttosto l'informale puro. "Sarete un mostro e sarete caos..." Nietzsche risponde: "Abbiamo realizzato questa profezia". Quanto al soggetto di questo nuovo discorso, non vi è invece più soggetto, non è l'uomo né Dio, ancor meno l'uomo al posto di Dio. E' questa singolarità libera, anonima e nomade che percorre sia gli uomini, sia le piante, sia gli animali indipendentemente dalle materie della loro individuazione e dalle forme della loro personalità; superuomo non vuol dire altro: il tipo superiore di tutto ciò che è. Strano discorso che dovrebbe rinnovare la filosofia e che tratta finalmente il senso non come predicato, come proprietà, bensì come evento.>>

Ecco credo che sia enormemente interessante, e torniamo così al topic e ad Heidegger, quella parolina finale: evento. In Heidegger l'evento rappresenta in qualche modo la temporalizzazione dell'essere o l'incontro fondamentale fra essere e tempo. Qui abbiamo un'ontologia sicuramente differente (le singolarità ecc...) ma con il medesimo punto focale: il senso-evento. D'altronde la domanda sul "senso" dell'essere percorre tutta la filosofia heideggeriana. Penso che su questi punti fondamentali si possa articolare un discorso: il tempo, l'essere e l'evento. Praticamente nessuna di queste è una parola nietzschiana, ma penso che ad ogni concetto si possano ricondurre degli equivalenti.

Per ora abbozzo soltanto delle idee.
Potrebbe essere semplicistico partire dalla soluzione più ovvia: "essere -> volontà di potenza" e "tempo -> eterno ritorno", e forse non è poi un approccio così fuori strada. Soprattutto nella volontà "di potenza" è connaturato un allontanamento definitivo dalla "presenza", cioè dalla statica di una volontà schopenhaueriana o dal falso divenire di un essere/spirito hegeliano. La volontà di potenza, se non è letta solo come dominio su enti (di fatto non ha "senso" così), è anche l'apertura prepotente al caso nell'abisso dionisiaco del non-senso che sola produce il senso. L'unico campo di trascendenza possibile (una trascendenza senza dubbio più heideggeriana che kantiana, una trascendenza mancata e del mancato).

Resta la questione dell'evento, e in questo caso mi sembra utile proprio la mediazione di Deleuze. Questo senso dionisiaco è similare all'evento heideggeriano che connette essere ed esserci, come il senso connette l'eterno ritorno (ovvero il tempo aion, il tempo dove soli sono possibili eventi e non presenti fisici) con la vdp. Tutto meriterebbe più attenzione e studio, per ora non potrei dire di più. Credo comunque che la questione sia interessante e cercherò di approfondirla.


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Nachtlied
messagio Jul 8 2009, 05:06 PM
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Sicuramente è una lettura più che interessante e convincente; nel senso che fornisce un'ottima chiave di lettura per poter interpretare Nietzsche heideggerianamente, senza cadere necessariamente nella metafisica.
Il problema è sempre lo stesso, ovvero che questo non è il pensiero puramente nietzscheano, pur essendo forse un pensiero in grado di farci pensare 'più nietzscheanamente dello stesso Nietzsche'.
Tralasciando questa solita questione (sennò non ci si levano più le gambe...), non posso che concordare con quanto hai scritto, e rinnovo l'ivito a qualche utente con ampia competenza a riguardo ad intervenire.

Provo comunque a portare qualche ulteriore spunto anch'io, per quanto posso.
Una cosa che mi ha sempre incuriosito di Heidegger, in quanto simile e allo stesso tempo opposta a quella di N, è il rapporto con la Licht, che è per il primo connessa all'Essere (basti pensare alla Lichtung, appunto!). Penso soprattutto alle Erlauterungen zur Hoelderlin Philosophie e a A che Poeti? , in cui H si associa il buio, dato dalla mancanza dell'Essere, a quello poetato da Hoelderlin, dato dalla mancanza degli dei. Per N invece a ogni forma di religione o metafisica è sempre (anche nel suo periodo 'metafisico') associato il buio della notte, mentre ad ogni passo verso l'ateismo e la liberazione da ogni convinzione -appunto ombra di Dio- corrisponde un sempre maggiore grado di chiarezza e di luce.
Perciò, N appare in netto contrasto rispetto alla concordanza di Heidegger con Holderlin sul tema della mancanza degli dei, ma, considerando la vdp come l'Essere heideggeriano, non si può che vedere concordanza tra i due pensieri: nel momento in cui manca l'Essere, cioè la vdp non è libera e ci si incanala in una visione monoprospettica, si può facilmente cadere nella notte; notte che dura fino al momento in cui l'Essere ci richiama a sé, cioè si inizia a scoprire il superuomo...

Volevo aggiungere infine che quando ho debellato ogni tentativo di lettura metafisica di N non mi riferivo, ovviamente, a qualsiasi tipo di lettura in generale - sono ben cosciente che il testo, a causa dello stile e del linguaggio, può portare equivoci interpretativi tra i lettori - ma ad ogni lettura intelligente e ben ponderata, di chi possiede tutti gli strumenti adatti ad un simile lavoro.


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Sgubonius
messagio Jul 9 2009, 10:09 AM
Messaggio #25


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Si lo spunto è importante, ma mi sentirei di proporlo con più profondità di analisi perchè è proprio dove volevo arrivare.
Cito sempre Heidegger in un passo fanstasioso ma notevole dai Contributi riguardo alla Licht:

<<Come trovare l'Essere? Dobbiamo forse, per trovare il fuoco, accenderne uno, o non dobbiamo piuttosto disporci prima a "proteggere la notte"? Ciò per resistere ai falsi giorni della quotidianità, i più falsi dei quali sono quelli che credono di conoscere e possedere anche la notte se la rischiarano e la eliminano con la loro luce riflessa.>>

A parte la bellezza del "proteggere la notte" (anche se filosoficamente è un po' poco cogente!!), mi sembra che si veda qui cosa intende Heidegger per buio e luce (cioè quanto dicevi tu). Il buio vero è paradossalmente l'illuminismo (su questo anche Derrida è esemplare contro l'umanesimo: "il nome dell'uomo è il nome di quell'essere che, attraverso la storia della metafisica e della onto-teologia, cioè attraverso l'intera sua storia, ha sognato la presenza piena, il fondamento rassicurante, l'origine e la fine del gioco") che sostituisce soltando il suo primo fondamento, Dio causa incausata motore immobile, con un altro più misero e pezzente (la ragione e la certezza cartesiana del cogito) senza di fatto generare alcuna luce autentica. Ovviamente l'idea heideggeriana è che l'unica luce autentica, l'Essere, può presentarsi solo da sè e mai "essere accesa".

Ecco perchè il fuoco della ragione che vuole illuminare per conoscere, così come il fuoco di una divinità onto-teologica, sarà sempre un fuoco negativo, un rischiarare falso che non fa che distruggere il mistero della notte. Nietzsche partendo da posizioni di stampo (in qualche modo) illuministico parte anche con questa idea di luce/buio inversa a quella di heidegger. Ma nello sviluppo del suo pensiero c'è invece un avvicinamento colossale. Si potrebbe qui inserire il discorso sulla mezzanotte e sul mezzogiorno per esempio. Da una parte la luce che toglie ogni ombra, che avevi in passato definito benissimo come perfezione metafisica con tanto di abbiocco di zarathustra, dall'altra la mezzanotte ebbra e profonda in cui si ambientano le pagine migliori dello Zarathustra. Cosa è cambiato? E' stato vissuto pienamente il nichilismo passato da passivo ad attivo (anche se sempre paradossalmente c'è molta più "attività" nell'accendere il fuoco, e qui andrebbe fatto un discorso sul potenziale e sul virtuale magari sempre con l'aiuto di Deleuze). Se non c'è nulla di decisivo (di valore intrinsecamente superiore) da illuminare, l'unico valore è il buio stesso, il suo mistero. Ecco come il dio di Nietzsche, Dioniso, e il dio di Holderlin si congiungono in un trascendentale mancato, in un dio che vive della sua assenza e della sua lontananza.



Cito allora una poesia di Holderlin (La vocazione del poeta, titolo non certo casuale!):

"ma l'uomo può dimorare senza paura solo davanti a Dio,
il suo candore lo protegge, non ha bisogno nè di armi nè di astuzie
fino a quando l'assenza di Dio viene in suo aiuto"


Sono versi straordinari, e in una versione precedente Holderlin aveva scritto proprio presenza anzichè assenza, con una ambiguità incredibilmente simile a quella di Nietzsche ed Heidegger (peraltro anche i primi due versi sono pienamente nietzschiani con la questione del candore dell'innocenza contro il Dio della morale).



Ricito Heidegger dai contributi per dare una stretta finale:

<<L'uomo in quanto lo "straniero" nel getto a sorte che egli sopporta fino in fondo,
che non torna più indietro dal fondo abissale e in questa condizione straniera
"conserva" la lontana vicinanza dell'Essere.>>




Cosa c'è allora di assolutamente comune (e rimando anche a Ruhm und Ewigkeit che ho citato nel primo post)?
C'è l'idea di un dio assolutamente detronizzato dal suo ruolo di giudice (pour en finir avec le jugement de dieu diceva Artaud) e perciò dall'ossessione della sua "presenza" e della sua onto-teologia, cioè dalla metafisica (che è sempre giudizio e ricerca della certezza o giustezza di giudizio, anche se solo con Kant questo si manifesta palesemente) in senso heideggeriano. Tutto questo c'è pienamente nell'ultimo Nietzsche, come in Holderlin, come in Heidegger, e c'è quindi un ritorno del divino (potremmo dire dionisiaco, del dio Dioniso) come distanza, come differance, come lontana-vicinanza dell'essere che non è più volontà tout court, ma è volontà di potenza (cioè qualcosa che non si deve attualizzare, che deve rimanere differito e differente come i poli di una batteria). Ecco allora un dio che non è garante di alcuna geometria, tanto che in primis non deve neanche essere presente. C'è una immanenza totale spinoziana (ancorchè in spinoza ad onor del vero c'è l'idea del terzo tipo di "conoscenza" che tradisce manie di possesso e illuminazione metafisica, ma c'è anche la formula più interessante di "amor dei intellectualis") così come c'è un campo di trascendenza del senso/evento che è sempre un trascendentale mancato, un gioco del senso-nonsenso, del vicino-lontano, dell'umano-divino. C'è la stessa apertura estrema della possibilità, come necessità dell'assenza di necessità, c'è la stessa idea del viandante straniero ovunque che non deve avere patria (come sarà orfano di un dio-padre), un Edipo a Colono che ha ucciso il padre sposato la madre (la terra) al massimo grado.

Chiudo con l'ennesima necessaria citazione dal grande Holderlin nella morte di Empedocle:
"E apertamente dedicai il cuore alla terra greve e sofferente, e spesso, nella notte sacra, promisi d’amarla fedelmente fino alla morte, senza paura, col suo greve carico di fatalità, e di non spregiare alcuno dei suoi enigmi. Così, m’avvinsi ad essa di un vincolo mortale"

Potrebbe averlo scritto Nietzsche. La sofferenza, la sacralità della notte inviolata, la fatalità (che corrisponde alla massima apertura del possibile, come nell'amor fati degli stoici riletto da Deleuze), l'enigma mai spregiato e mai risolto, il vincolo mortale. Ecco una teologia negativa che ha superato se stessa, ecco un vero culto del buio e dell'assenza, ecco l'unico nichilismo attivo possibile e l'unico trionfo della potenza e della differenza. E' una "differenza ontologica"? Anche, se è prorpio il sottrarsi dell'Essere-Divino dall'ente a creare la distanza e l'apertura necessaria per la potenza e il senso-evento? Heidegger dice benissimo quando riconosce nella dimenticanza dell'essere l'essenza del nichilismo, e io non capisco come abbia potuto non vedere (o meglio vedere e tentare in ogni modo di eliminare) in Nietzsche il brillare di quel superamento verso la filosofia della differenza e della piena accettazione di questo sottrarsi.

Mi sono un po' dilungato in citazioni, ma questa è proprio una delle questioni che mi interessa di più! tongue.gif


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Nachtlied
messagio Jul 9 2009, 11:16 PM
Messaggio #26


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CITAZIONE
"Qui, dove tra mari l'isola crebbe, rupe
dal sacrificio erta torreggiante,
Zarathustra qui sotto un nero cielo
accende i suoi fuochi dell'altezza,
fari per naviganti smarriti,
interrogativi per chi ha una risposta..."

(Il fuoco del faro, Ditirambi di Dioniso)

Penso che questo pezzo di ditirambo serva da solo a confermare quanto abbiamo scritto per ora. Infatti abbiamo il tema del fuoco (che richiama senz'altro il riferimento heideggeriano), che rappresenta una conoscenza che non si limita alla stabilità e freddezza dell'Aufklaerung, ma si estende alla totalità della vita e abbraccia il ritorno; insomma, quella della Gaia scienza. Inoltre è presente, soprattutto, la tematica degli "interrogativi per chi ha una risposta", della necessità di abbattere ogni certezza, di promuovere la continua mobilità della vdp, del non arrestarsi mai in un'oasi beata di convinzioni.

Mi sento poi di dover precisare che per Nietzsche il passaggio attraverso l'illuminismo è d'obbligo, non si può prescindere da questo percorso, perché rientra nel cammino obbligatorio che porta al superuomo.
Prima ancora di queste posizioni, N parte dalla metafisica dell'arte, in cui compare il termine "notte metafisica" (se non sbaglio a proposito di Wagner, in particolare del Tristano), in contrapposizione alla luce apollinea del meriggio, tema da sempre presente nell'autore, che in questa fase, se pur ancora acerba, viene già associato al mondo dell'apparenza.
Poi il pensiero di N si evolve e nella fase dello spirito libero la notte scompare e di fa luce, ma con una fiaccola che non "sfiaccola" (scrive in Ecce Homo a proposito di MA); tale luce è appunto quella insufficiente, se pur necessaria, dell'illuminismo, in cui torna la figura del meriggio, ma solo come simbolo di perfetta conoscenza, priva di ombre. Questo concetto maturerà poi fino alla concezione del grande meriggio, che coincide con la più alta conoscenza possibile, l'eterno ritorno e con il carattere decisionale che ciò comporta.
Nello Za, i momenti della mezzanotte profonda che tu ben notavi, sono indispensabili proprio per il legame che hai individuato di luce-buio: è solo attraverso la notte che lo spirito dionisiaco di Zarathustra può soffrire (essa rappresenta l'unica sofferenza pensabile per uno spirito costretto a donare, ovvero il non poter mai prendere); ma non dimentichiamoci inoltre che la notte stessa serve, attraverso la poetica del nascondimento, a riproporre velatamente ancora il tema del giorno (cioè, non parlandone, in realtà si allude costantemente a questo) ed è per questi motivi che lo Za raggiunge quel perfetto grado di completezza che si può sposare bene con il pensiero heideggeriano.
Sulla simbologia della luce nello Za potrei scriverti un centinaio di pagine, quindi sarà bene fermarsi qui, almeno per ora! wink.gif

Sulla differenza ontologica su cui ti interroghi, nietzscheanamente sarei costretta a dare risposta negativa, poiché parlare di differenti piani ontologici per N non avrebbe alcun senso; dovendo estendere però il confronto ad Heidegger la risposta non è così scontata. Da una parte sappiamo infatti che l'uomo, secondo H è l'unico in grado di essere chiamato (d)all'Essere e pertanto è l'unico che può in qualche maniera comunicare con esso (quindi sembrerebbe non esserci differenza ontologica tra ente ed essere); dall'altra sappiamo però che un salto c'è (è sempre Heidegger a dirlo). Il problema è che stiamo cercando un confronto con Nietzsche, quindi dobbiamo riportare le categorie heideggeriane nel linguaggio nietzscheano. Secondo me è a questo punto che i due pensieri divergono e che si può fare maggiore confusione: l'Essere di H è, secondo noi (ma non secondo lui!!!), vdp, ma H ritiene la vdp un concetto 'inferiore' all'Essere. Perciò, dal nostro punto di vista possiamo anche tirare le somme e liquidare Heidegger nietzscheanamente, ma dal punto di vista heideggeriano siamo costretti a riconoscere un abisso incolmabile tra il suo pensiero e quello di N. A questo punto io prendo le difese di Fritz e dico soltanto che H ha voluto per forza leggerlo in questo modo, per poterlo criticare e voler creare un suo pensiero che da lui differisse, ma l'originalità di tale pensiero risiede proprio, a parer mio, nell'aver ripristinato una gerarchia ontologica che N aveva abbattutto; infatti il superamento da parte di H è a mio giudizio fittizio, perché il pensiero heideggeriano è, per la maggior parte, semplificabilissimo e traducibilissimo nel linguaggio nietzscheano. Il problema di tale traduzione è che la filosofia heideggeriana perde ogni carattere di originalità.


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Sgubonius
messagio Jul 10 2009, 01:02 AM
Messaggio #27


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Tutto quello che dici è correttissimo, ci sarebbe da citare anche un altro passo dai ditirambi bellissimo (fra due nulla / incurvato, / un segno interrogativo / uno stanco enigma).

Una cosa però non mi è chiarissima, la questione della luce e dell'illuminismo, e direi annessa la questione dell'apollineo di cui avevamo già discusso. Sicuramente si può creare una dicotomia fra buio-notte-dioniaco e luce-giorno-apollineo (non mi azzardo ad inserire anche differenza e ripetizione nel computo al momento) come sicuramente la spinta da "spirito libero" in Nietzsche è sempre stata fortissima ed è quanto lo ha portato a fare piazza pulita di tante cose (infine della ragione stessa come giudice del tribunale categorico kantiano). Ma c'è mi pare una ambiguità alla fine molto particolare di cui vorrei andare a fondo.
La luce del meriggio è la conoscenza perfetta, senza ombra, che però si traduce nel conoscere anche la vanità di ogni conoscenza fondante. Se l'eterno ritorno (ripetizione) è l'ultima forma dell'apollineo, è vero anche che a ritornare è la volontà di potenza (differenza), cioè il buio irrimediabile, il buco nero che non si potrà mai illuminare per quanto forte e a picco sia il sole. Allora la luce sarà un mezzo solo negativo, cioè solo un mezzo per "certificare" l'unica certezza: l'assenza di certezze, sotto metafora è come se la luce senza ombre servisse a mostrare per via negativa che quel buio che le sopravvive è essenziale. In altri termini l'eterno ritorno è l'unica conoscenza che non soffoca la differenza (e qui si gioca la battaglia con Heidegger, che lascia intendere il contrario) ma che anzi la afferma pienamente. Non esiste differenza senza ripetizione, come non esiste vero dionisiaco senza un apollineo che lo definisca negativamente.

Quello che conta allora non sarà nè il meriggio nè la mezzanotte in sè (cioè nè la luce nè il buio) ma quanto li accomuna: la totalità e univocità dell'essere. Certo qui mi spingo un po' oltre, ma quanto accomuna l'equilibrio (per così dire) di VdP-ER, differenza e ripetizione, apollineo e dionisiaco, non può che essere un Essere univoco, cioè una notte piena o un giorno pieno, tutto è luce o tutto è ombra, è indifferente. Per questo la questione ontologica è poi sottesa a tutti questi pensatori come domanda, anche quando sentiamo Nietzsche paralre dell'essere come "ultimo fumo della realtà evaporata", possiamo cogliere come la differenza stia solo nelle parole. Non c'è "differenza ontologica" in Nietzsche negli stessi termini di heidegger, come non c'è in Deleuze, dove però c'è una "ontologia della differenza". Ma c'è in tutti e tre (più Holderlin, più a voler essere semplificatori Spinoza) l'intuizione del problema dell'essere e della sua totale inaccessibilità a partire dal simile, cioè da noi stessi e dall'ente, perchè ogni luce illumina solo un buio e una differenza irriducibile, e l'ergersi conseguente del culto di questa oscurità essenziale (chiamalo Essere o no) che deve rimanere tale, non sporcata da chiaroscuri assurdi che sono la vera minaccia al silenzio. Anche questa è una differenza ontologica, anche se i termini sono altri, anche quando paradossalmente si va al monismo e all'immanenza dove la differenza sembrebbe perdersi (mentre è solo là che essa può esercitare tutta la sua potenza).

Concordo con te allora che Heidegger abbia voluto a tutti i costi non riconoscere in Nietzsche la sua stessa originalità, ma bisogna anche dire che già quando noi ora accomuniamo i due pensatori facciamo anche un torto a tutta una scuola di interpretazione nietzschiana. Insomma io credo che Nietzsche sia un problema aperto, d'altronde è per questo che è così interessante. Se leggiamo nietzsche heideggerianamente (o viceversa, non è importante ora chi sia stato il primo) alcuni aforismi sono del tutto inaccettabili. E' questo problema che andrebbe portato a fondo.
Lo stesso Heidegger non sarebbe stato così bambino da negare l'evidenza per pura mania di originalità, e infatti questa evidenza non è poi così forte come l'abbiamo forse un po' semplicisticamente rappresentata qui. Anche perchè poi qua non siamo più nel campo dove si possa dire "ha ragione" e "ha torto", fuor dai tribunali di ogni genere tutto si com-plica estremamente.


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Nachtlied
messagio Jul 10 2009, 01:21 PM
Messaggio #28


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 10 2009, 02:02 AM) *
Sicuramente si può creare una dicotomia fra buio-notte-dioniaco e luce-giorno-apollineo (non mi azzardo ad inserire anche differenza e ripetizione nel computo al momento) come sicuramente la spinta da "spirito libero" in Nietzsche è sempre stata fortissima ed è quanto lo ha portato a fare piazza pulita di tante cose (infine della ragione stessa come giudice del tribunale categorico kantiano). Ma c'è mi pare una ambiguità alla fine molto particolare di cui vorrei andare a fondo.
La luce del meriggio è la conoscenza perfetta, senza ombra, che però si traduce nel conoscere anche la vanità di ogni conoscenza fondante. Se l'eterno ritorno (ripetizione) è l'ultima forma dell'apollineo, è vero anche che a ritornare è la volontà di potenza (differenza), cioè il buio irrimediabile, il buco nero che non si potrà mai illuminare per quanto forte e a picco sia il sole. Allora la luce sarà un mezzo solo negativo, cioè solo un mezzo per "certificare" l'unica certezza: l'assenza di certezze, sotto metafora è come se la luce senza ombre servisse a mostrare per via negativa che quel buio che le sopravvive è essenziale. In altri termini l'eterno ritorno è l'unica conoscenza che non soffoca la differenza (e qui si gioca la battaglia con Heidegger, che lascia intendere il contrario) ma che anzi la afferma pienamente. Non esiste differenza senza ripetizione, come non esiste vero dionisiaco senza un apollineo che lo definisca negativamente.

Il problema è che la dicotomia che hai evidenziato non è totalmente costante in N, perché in un primo momento il dionisiaco ha valore metafisico -e dunque 'notturno'- mentre poi, venendo meno la metafisica stessa, anche il dionisiaco si risolve nella luminosità dell'apparenza e, in un certo senso, non esiste più la distinzione rispetto all'apollineo (che è nell'ultimo periodo, come avevamo già detto, solo necessario, ma non più fondante, non più principio, e si può pertanto affermare che rientri nel dionisiaco stesso). Anzi, il simbolo del dionisiaco per eccellenza è proprio il sole.
E a tal proposito hai ragione ad affermare che non è il meriggio (o la mezzanotte) in sé che conta, ma la totalità dell'essere, e infatti si vede benissimo dalla scelta del sole che, con la sua mobilità e le sue fasi, rappresenta al meglio questa situazione. Cioè, nel suo percorso (un libro che parla del percorso del sole è Versions du soleil, Bernard Pautrat) il sole dionisiaco si porta costantemente dietro la totalità della luce o quella del buio, se pur con fasi intermedie (che hanno significato a sé, quali aurora e tramonto, che per ora possiamo tralasciare), e dunque riflette la conoscenza 'apollinea' della più scientifica delle ipotesi, che è però inevitabilmente connessa -e si può dire che sono appunto due lati della stessa medaglia- ad un fondo di buio e notte.
Già nel viandante e la sua ombra N scriveva che ombra e luce non sono nemiche, ma che anzi "si tengono amorevolmente la mano", e se la luce tramonta "l'ombra le guizza dietro". In questo periodo certo l'e.r. ancora non è pensato, e il contesto specifico è quello del diffidare da ogni 'conoscenza vera, dogmatica, certa', però si può senza alcun dubbio ricollegare a quanto scritto sopra.

Su Heidegger sì, il discorso è più complesso (e completo), ma intanto può essere sufficiente abbozzarlo come abbiamo fatto noi per avere un punto fisso dal quale partire.
Se vuoi iniziare a leggere Nietzsche heideggerianamente o viceversa comincia pure, vedrò poi di intervenire anch'io.
Comunque questo confronto tra i due sul tema della Licht potremmo anche pubblicarlo, magari in futuro!


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Sgubonius
messagio Jul 10 2009, 02:51 PM
Messaggio #29


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Beh come dicevo tutti questi ultimi topic che avevo aperto riguardano questo problema interpretativo.
In poche parole è importante cominciare a liberare Nietzsche dalla lettura metafisica di Heidegger, e poi tentare di capire la tensione che caratterizza il suo ultimo periodo e che evidentemente non è la stessa in tutto il suo percorso filosofico.

Soprattutto usare questi altri pensatori (Deleuze, Heidegger) per strappare Nietzsche dallo squallore della lettura standard che riceve. Per esempio la vexata quaestio sulla religione, sul nazismo, sul dominio, sull'arte. Non c'è traccia di tutte queste cose nell'ultimissimo Nietzsche, nelle migliori pagine dello Zarathustra e nei Ditirambi, perchè tutto si è trasfigurato in un'ottica molto più radicale (per l'appunto quella del mezzogiorno o della mezzanotte) che va in parallelo con quel quasi-misticismo a cui approdano l'ultimo Heidegger o l'ultimo Holderlin. Il pensiero poetante ne è il segno.

In altri termini si tratta più che altro di far pulizia all'interno del "nietzschianesimo" stesso in fin dei conti, col rigore che lui stesso ha insegnato e che ha portato il suo pensiero ad un'essenzialità inimitabile. Esempi ce ne sarebbero tanti: dall'ateismo squallido stirneriano al sensazionalismo del poeta gravido wagneriano, tutte ambiguità con cui Nietzsche ha più o meno combattutto nelle ultime fasi del suo pensiero. Sono degli equilibri molto sottili.


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Sgubonius
messagio Jul 24 2009, 01:55 AM
Messaggio #30


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Aggiungo alla dissertazione precedente una cosa che ho trovato sempre in Deleuze (sono un po' monotematico!) e che riprende la questione della mezzanotte-mezzogiorno proprio in relazione al lancio unico di dadi.

Come nel lancio (unico, puro, monistico, immanente, ecc...) ci sono i due momenti del getto e dell'atterraggio, così ci sono i due momenti rispettivamente della mezzanotte e del mezzogiorno, cioè il massimo "azzardo" (caso, buio/ignoranza, dionisiaco, divenire e differenza) e la certezza fatale del risultato (necessità, luce apollinea, essere e ripetizione). L'equilibrio fra i due momenti è solo nell'unicità del lancio, perchè qualora il lancio si ripetesse si perderebbe l'innocenza dell'affermazione contemporanea del caso (durante il getto) e della necessità (a risultato rivelato).
Dice Deleuze: "... uno soltanto è il numero fatale che riunisce tutti i frammenti del caso, così come il mezzogiorno raccoglie tutte le membra sparse della mezzanotte. Per produrre il numero che fa ritornare il colpo di dadi, è sufficiente quindi che il giocatore affermi il caso una sola volta."

Volontà di Potenza ed Eterno Ritorno si collocano egualmente in questi due momenti, accomunati da quel lancio unico che confuta proprio sul piano ontologico tutte le critiche heideggeriane. Il giocatore metafisico non potrebbe mai accettare un solo lancio, perchè il soggetto "cartesiano" è troppo rigido per mantenersi nell'aperto della gettatezza del lancio. Heidegger vede l'eterno ritorno praticamente come il ripetersi dei lanci, grazie ai quali l'essere si va ad imprimere sul divenire e le probabilità casuali si stabilizzano quasi statisticamente per essere poi com-prese dal soggetto, ma in Nietzsche non c'è ripetizione del lancio, c'è ripetizione solo del risultato già ottenuto da-per-sempre (fato-necessità) e il giocatore innocente deve per prima cosa dimenticare se stesso e la sua volontà, che può rimanere solo come volontà di potenza (cioè sospesa nel lancio e nel proliferare delle possibilità-potenzialità).

PS: da qui poi è facile ricollegarsi col discorso di partenza sul "rovesciamento del platonismo". Il lancio unico è quando distingue il mondo dei "simulacri" da quello platonico dei modelli-copie, l'eterno ritorno che si mantiene in questa immanenza non può quindi essere "dell'uguale" (come lo legge Heidegger, come semplice ribaltamente dell'ordine platonico senza superamento dei dualismi e quindi senza superamento del nichilismo) ma sarà del "differente", cioè di ciò che fa la differenza, cioè del getto di dadi nella sua sospensione.


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Sgubonius
messagio Aug 15 2009, 09:33 PM
Messaggio #31


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Aggiungo carne al fuoco...

In Essere e Tempo, Heidegger dice alcune cose molto interessanti (in quanto enormemente nietzschiane) riguardo all’essere-per-la-morte e alla temporalità. Penso che il nucleo di questi pensieri rimanga di fatto quasi inalterato anche dopo la svolta.

Mi riferisco soprattutto all’idea che l’Esserci (esistenza) è sempre un mancare (in senso esistenziale e non di “semplice presenza”) rispetto al poter-essere, ovvero è sempre un avere ancora da vivere delle possibilità, infatti l’esaurirsi di esse è solo la morte. Anticipare con la “decisione” la morte è quanto renderebbe autentico l’esistere, proprio perché ci libera in un poter-essere totale e incondizionato. Cosa c’è di nietzsche? Andiamo più a fondo: si legge “la decisione costituisce la fedeltà dell’esistenza” e ancora “l’esserci, anticipando la morte, la erige a padrona di sé, allora, libero per essa, si compende nella ultrapotenza della sua libertà finita e in questa, che consiste sempre nell’aver scelto la scelta”. Il riferimento all’angosciosa scelta dell’eterno ritorno nietzschiano si fa ancora più evidente quando Heidegger parla di “ripetizione” della decisione non solo come scelta della scelta, ma proprio come “rispetto per le possibilità ripetibili dell’esistenza”.

Faccio un passo oltre. Cosa caratterizza la “decisione”, e soprattutto, come la si distingue dalle tante decisioni quotidiane e del tutto inautentiche?
Heidegger mette in chiaro come la decisione autentica sia l’esatto opposto di un decidersi specifico riguardo ad una certa azione, tipica espressione della Cura intramondana. Quel che si decide qui, anticipando la morte, è l’anticipazione di “ogni attimo possibile”, ovvero proprio la “libertà per la rinuncia a questo o a quel determinato decidersi”. Come l’accettazione dell’eterno ritorno (di tutto il pacchetto, senza scelte determinate) era l’anello nuziale per sposare la terra, così la decisione anticipante afferma certamente la scelta della scelta (cioè l’accettazione, il non subire passivamente inautentico), senza affermare nessuna scelta particolare (scongiurando la deiezione nel quotidiano), per sposare il Se Stesso autentico che è l’essere-nel-mondo. Evidentemente l’altra radice comune è quella fondamentale della vita come volontà di potenza che si traduce credo in modo molto simile nel linguaggio heideggeriano nel termine “poter-essere” (seinkoennen) a cui accennavo all’inizio. L’esistenza (cioè il mondo, cioè tutto) è sempre l’aprirsi di una possibilità, di una potenza, “l’essere si predica solo del divenire (differenza)” diceva Deleuze nel suo libro su Nietzsche, che è lo stesso. L’eterno ritorno accettato (Decisione-Entschlossenheit) si coniuga perfettamente con la questione vitale del poter-essere in quanto come detto ampiamente sopra non esaurisce mai sé stesso in una decisione particolare, in un volere specifico e neutralizzabile/realizzabile, ma si mantiene sempre in un tempo disarticolato, in un attimo eterno che in cui tutte le possibilità restano sempre incondizionatamente aperte.

Approfitto dello sviluppo per saldare il tutto quindi anche con Deleuze. Si è parlato di “differenza” e di “ripetizione”, la cosa non è poi difficile dunque. Il ponte più comodo è il concetto di tempo Aiòn (il tempo dell’eterno ritorno autentico, angoscioso, e non della canzone da organetto) così come Deleuze lo descive nella Logica del Senso: un attimo senza spessore, un presente sempre diviso (in divenire folle) fra passato e futuro, l’incubo di Platone come è presentato nel Sofista. In questo ambito credo che si possa seriamente scagionare Nietzsche dalle critiche di Heidegger usando Heidegger stesso (poi certamente la cosa è ben più complessa di così, e sarei felicissimo di approfondirla in futuro). Il problema della differenza (ontologica) insomma è fondamentale, e il fatto che a ritornare sia “il differente” come dice Deleuze è proprio la chiave di volta. In Essere e Tempo la “metafisica” (di cui poi viene sostanzialmente “accusato” Nietzsche) è collegata strettamente con il problema della “semplice-presenza” (in termini temporali è proprio la differenza fra il tempo chronos dei presenti spessi che si incastrano e tempo Aiòn degli eventi che si sprigionano nella pura possibilità). Ritengo che il pregio della lettura deleuziana sia tutto nello strappare la differenza e il divenire all’apparente tirannia dell’eterno ritorno come trionfo della presenza/ousia sullo scorrere diveniente.


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Sgubonius
messagio Sep 17 2009, 02:02 AM
Messaggio #32


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Mi pare che il concetto di Ereignis (evento appropriante ecc...) che ho tentato di approfondire ultimamente porti ulteriore interesse al confronto. Lo stimolo è venuto ancora da Derrida che in "Sproni" vede in questa svolta del pensiero heideggeriano (cioè il passaggio dall'analisi dell'essere e dell'esserci ad un pensiero rivolto a quell'Es che rende possibile l'appropriazione di Essere e Tempo nell'Es gibt Sein, Es gibt Zeit, e sorgente del Medesimo) una connessione forte con il problema affine in Nietzsche (dove evidentemente l'appropriazione/espropriazione viene letta sotto i segni della VdP e dell'Eterno Ritorno).
La panoramica generale del problema dell'Eigen (proprio) e le due ottiche (Nietzsche-Heidegger) si possono quindi mettere in relazione con un problema che Derrida in "La scrittura e la differenza" definisce come il passaggio "da un economia ristretta ad una generale", riprendendo Bataille ed Hegel. In altri termini e per ricollegarci a quanto detto sopra è la questione della differenza (contraltare inevitabile del "proprio") o per meglio dire della differanza, di come una volontà/pulsione viene differita nel tempo e nella possibilità per andare "aldilà del principio di piacere". Evidentemente nella logica dialettica (e più in generale in tutta la storia della metafisica così come l'ha delineata Heidegger, cioè come affermarsi della verità-adequatio e del soggetto come fondamento certo) ogni differenza e alienazione andrà ad essere riappropriata dal tutto intero, certamente aldilà quindi del Lustprinzip, verso il principio di realtà (tutto il reale è razionale, anche se suona poco freudiano!). Lo scoglio di questa economia ristretta è l'istinto di morte già evocato dall'oppositore Schopenhauer, non a caso, attraverso Kierkegaard, nel primo tentativo di ridefinizione dell'autenticità (Eigenheit, il proprio) Heidegger ricorre all'essere-per-la-morte, e Nietzsche all'eterno ritorno.

Si ripresenta allora la solita questione: se l'eterno ritorno è un ritorno dell'uguale in senso metafisico, e un trionfo senza riserve del necessario sul possibile, allora scomparirà totalmente l'Aut-aut kierkegaardiano dalla tremenda domanda del demone dell'aforisma 341 nella Gaia Scienza. Ma se, come peraltro è evidente dal testo nietzschiano, l'eterno ritorno si cinge nell'attimo e ha senso solo come potenziamento della decisione stessa, allora davvero non si capisce come Heidegger possa aver travisato tanto Nietzsche. La decisione (anticipatrice) che chiama qui presenta proprio la natura dell'Ereignis, direi in una duplice e parallela maniera.
Da una parte (dalla parte dell'Essere) ritroviamo tanto l'appropriazione quanto l'espropriazione, tanto l'estrema possibilità autentica (eigene) di portare una scelta al massimo grado quanto la destinazione essenziale che frustra ogni scelta determinata, l'equilibrio monistico quindi (come monistico è l'Ereignis) dell'amor fati fra attivo/passivo, possibile/necessario, essere/divenire, pensiero/natura, soggetto/oggetto, differenza/ripetizione e via dicendo.
Dall'altra (dalla parte del Tempo) possiamo rileggere lo stesso monismo ontologico nel concetto di tempo Aiòn, tempo dell'eterno ritorno in cui si danno solo "Eventi", cioè possibilità pure e necessarie, così come Deleuze lo plasma a partire dagli Stoici.

Richiudo il tutto: la citata "economia generale" che oltrepassa il soggetto, la metafisica, lo scopo, il warum, la verità, la scienza, il metodo, la tecnica... passa attraverso il superamento del meccanismo dialettico e dei dualismi trascendentali vari, fra cui eminentemente il soggetto-oggetto (che come tali non possono uscire da una logica di economia ristretta), verso un rapporto monistico immanente tremendamente indefinibile fra due "opposti", quale è l'Ereignis in Tempo ed Essere. Penso che una buona comprensione di questo equilibrio sottile sia la nozione di "problema", che vale tanto in Heidegger (la famosa Seynsfrage è forse l'essenza dell'Ereignis, di ciò che si dà da pensare, das zu Denkende) quanto soprattutto in Deleuze, dove problema è infatti sinonimo di evento poichè sono il luogo dove si forma il Senso. In particolare un "problema" è qualcosa che ammette varie possibili soluzioni mantendole unite in una domanda che fa da criterio per rendere plausibili le risposte (per questo dicevo in un post prima che c'è un campo trascendentale del problema, che pure è immanente in quanto la possibilità non è ratio essendi o ratio conoscendi ma solo una forma di legame con la necessità problematica che la fa scaturire e conferisce il senso), ecco mi pare che nella rappresentazione di un celebre problema della matematica, quello delle coniche, si abbia un'espressione di tutto il concetto. Sostanzialmente l'idea è che una certa necessità si declina in possibilità senza che nessuno dei due "modi" prevalga: c'è la necessità della possibilità, dell'aperto, del vivente, del domandare (forse non per caso il cono è anche il simbolo del "punto di vista" leibniziano, della monade, ma su questo il discorso si allargherebbe e non penso sia questa la sede). E' insomma un trionfo della "Differenza" (non opposizionale, non dialettica, non trascentale), di una ontologia della differenza o di una differenza ontologica, in quanto "l'essere si predica solo della differenza" (in entrambi i sensi di questa frase, cioè che solo ciò che differisce può darsi come essente, e d'altra parte che l'essere si pensa solo in via differenziale, attraverso un nascondimento - aletheia e Lichtung).


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