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> Zarathustra, Dei poeti, Discussione tratta dal forum del Seminario permanente nietzschiano
andreademilio
messagio Nov 11 2007, 12:51 AM
Messaggio #1


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mattia
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Zarathustra, Dei poeti
(le citazioni dalla opere di N. fanno riferimento a edizione Adelphi economica)

Fra i molti aspetti del problema della verità nello Zarathustra (e, in generale, nell'opera di Nietzsche), il rapporto con la menzogna è centrale. Il discorso "Dei Poeti" (p. 146-9) offre un buon approccio al tema. Motivo principale, che rimanda ad altri passaggi dello Zarathustra, è la formula: "i poeti mentono troppo". Come nota Montinari, essa compare però già in FW 84, a chiudere l'aforisma: "eppure è più pericoloso per una verità il fatto di trovarsi d'accordo con un poeta che l'essere da lui contraddetta! Infatti, come dice Omero: 'Molto mentono i poeti'" (p. 123). Questo passaggio offre una chiave di lettura per "Dei poeti". Ecco la mia tesi in breve: (1) il discorso dello Zarathustra riprende una serie di momenti della critica "illuminista" cui Nietzsche sottopone l'arte in MA e nelle opere seguenti. Tuttavia (2), l'affermazione ulteriore "Ma anche Zarathustra è un poeta" rimette in discussione tale posizione, ricollocandola ad un livello più complesso, in cui la contrapposizione secca fra scienza/poesia non tiene più.

(1) Come Montinari suggerisce, N. riprende la critica alla poesia svolta, ad. es., in VM 32: "Il poeta si atteggia come […] fosse uno che sa. […] in questo senso è anche lui un impostore" (VM 32, p. 23-4) "Noi sappiamo troppo poco e siamo poco capaci di imparare: così non possiamo non mentire. […] E siccome sappiamo poco, così piacciono al nostro cuore i poveri di spirito" (Dei poeti). Altri tre punti: a) In Za N. attribuisce ai poeti l'illusione di conoscere un "accesso segreto al sapere" (p. 147). In questo modo riprende il tema delle "vie più brevi" privilegiate dai (presunti) geni rispetto alla fatica del sapere, topos di MA e MO. cool.gif In stretto legame con a), N. mette in ridicolo la "Schwärmerei" romantica per la natura ("i poeti credono che sempre che la natura stessa sia innamorata di loro", p. 147). c) relazione fra poesia e sogno (citazione dall'Amleto), che sono spesso considerati da N. come atavismi risalenti ad un'età di superstizione.

2) Detto questo, N. passa da "Il poeta" a "Noi" (vedi sottolineatura sopra). Come deve essere letto ciò? Innanzitutto, va tenuto presente l'andamento del brano per quanto riguarda il rapporto Zarathustra/poeti. Possiamo isolare 3 momenti: IDENTIFICAZIONE: Dopo alcuni paragrafi iniziali, che, per così dire, introducono il tema, Zarathustra inizia con il noi-poeti. Torna quindi a parlare dei "poeti"in terza persona, ma un'ulteriore "noi" ("sempre ci sentiamo trarre in alto") ristabilisce l'identificazione; INTERMEZZO. C'è un intermezzo scenico, che segna una cesura nel brano )"Ah, quanto sono stufo…"), che si conclude con Zarathustra che afferma: "sono di oggi e di un tempo passato" (p. 148), ma allo stesso tempo di "domani" e "dopodomani" (p. 148). CONTRAPPOSIZIONE: Zarathustra dice: "Mi sono stancato dei poeti, vecchi e nuovi; per me, restano tutti in superficie e sono mari poco profondi. Non hanno pensato con sufficiente profondità: perciò il loro sentimento non si inabissò mai fino ad attingere i motivi profondi" (p. 148). A partire da qui vale la contrapposizione io (Zarathustra)/loro (i poeti). Ma come interpretare tutto questo? Se la mia lettura è condivisibile, il passaggio dall'identificazione alla contrapposizione sembra indicare che Zarathustra voglia rivendicare un modo "altro" di essere poeta, che accolga anche il momento della "profondità", qui contrapposto al nucleo semantico della superficie/illusione/menzogna. La mia tesi è che N. vuole sì conservare la passione per la "superficie" propria del poeta (il problema dei poeti è che essi mentono "troppo", non che mentono tout court), allo stesso tempo però smarcandosi da essi, in quanto tale "superficialità" deve fare da controcanto ad una visione tragica e "abissale". Solo fondandosi su quest'ultima, la superficialità diventa "buona volontà di menzogna" e può quindi differenziarsi dagli "imbrogli" del "commediante" alla Wagner. Detto altrimenti, l'ideale è ancora una volta l'unione di apollineo e dionisiaco raggiunto dai Greci, capaci di essere "superficiali - per profondità" (FW, Prefazione alla seconda edizione, p. 35). Il passo migliore, quello in cui questa duplicità costitutiva, questa doppia prospettiva (vedi anche la coppia "eroe/giullare" in FW 107) viene alla luce, mi sembra questo:

Dare all'esistenza un significato estetico, aumentare il nostro gusto per l'esistenza, è la condizione fondamentale di ogni passione della conoscenza. Così, anche qui, scopriamo una notte e un giorno, come condizione di vita per noi; voler conoscere [verità] e voler sbagliare [menzogna] sono flusso e riflusso. Quando l'uno domina assolutamente, l'uomo perisce (OFN, vol. V, tomo 2, 11 [162], p. 390).


Per ora, mi fermo qui.


ChiaraPiazzesi
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13 messaggi Inserito il - 09 Novembre 2007 : 17:04:30
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La lettura di Mattia mi sembra molto calzante. Mi chiedo, rapidamente, se non si possa tracciare un parallelo tra l'esperienza della verità in "Vom Baum am Berge" e la critica di Za ai poeti: il loro mancare di 'profondità', in particolare. Le osservazioni di Mattia sono tutte corrette. Penso però che si potrebbe cercare insieme di circostanziare di più che cosa significa questa 'profondità', cosa che raramente viene fatta: andare, in altri termini, al di là della formula nota dell'essere superficiali con profondità, e vedere, se c'è materiale (non lo so, lo chiedo a tutti voi), di che genere di esperienza si tratta, in che cosa consiste, se ci sono luoghi in cui Zarathustra la caratterizza eccetera. Per esempio, tutta la III parte del discorso sui poeti, che MAttia caratterizzava come una contrapposizione, è ricca di immagini marine sulla profondità, la pesca, l'acqua torbida ecc. Si potrebbe vedere come ricorrono queste metafore, o altre del discorso, per chiarirle.
E' una proposta.


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Joseph de Sil...
messagio Nov 12 2007, 12:08 AM
Messaggio #2


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L’input fornito da Andrea nel riportare temi di discussione nietzscheana in corso su un altro forum penso voglia essere una sollecitazione a trattarne qualcosa anche sul nostro. Per esempio l'interpretazione della “profondità” nello Zarathustra nelle sue varie accezioni, che mi porta a mettere per una volta da parte l’habitus filologico e a tentare un intervento di taglio ermeneutico. Tiefe (“profondità”, “profondo” in senso sostantivale) o tief (“profondamente”, oppure “profondo” in senso aggettivale) sono in effetti costantemente presenti nello Zarathustra. Soltanto ne I discorsi di Zarathustra troviamo ben 13 occorrenze, declinate secondo varie sfumature di significato e a volte anche molto diversamente tra loro. Un primo e fondamentale senso ha a che vedere con la missione stessa di Zarathustra, e non a caso Nietzsche lo introduce immediatamente. Nella Prefazione, 1, infatti, Zarathustra si rivolge al sole dicendo: “Dazu muss ich in die Tiefe steigen […]”, “Perciò devo scendere giù in basso […]”. Qui Montinari preferisce tradurre “Tiefe” con “giù in basso”, sottolineando dunque la distanza che c’è tra Zarathustra e gli uomini. Ma non soltanto e non tanto questo: “Tiefe” vuol dire anche “abisso”, e “abisso” evoca “oscurità”. Non a caso Zarathustra appena dopo istituisce un significativo parallelo tra l’azione che si accinge ad intraprendere e quella del sole: “wie du des Abends thust, wenn du hinter das Meer gehst und noch der Unterwelt Licht bringst, du überreiches Gestirn!”, “come tu fai la sera, quando vai dietro al mare e porti la luce al mondo infero, o ricchissimo, tra gli astri!”. Dunque qui “Tiefe” non è semplicemente e genericamente una profondità, ma piuttosto un’oscurità, un abisso da rischiarare. D’altra parte l’ “abisso” o il “basso”, così intesi, rispetto al “profondo” comunicano un’accezione linguisticamente peggiorativa, quasi a suggerire una condizione per così dire esistenzialmente costrittiva: e ciò sembrerebbe confermato dal fatto che Zarathustra dice “muss ich”, “devo”, ribadendolo appena dopo: “Ich muss, gleich dir, untergehen […]”, “Anch’io devo, al pari di te, tramontare”. Ma che l’ “Ich muss” non sia in realtà da intendere come una coercizione è smentito da quanto Zarathustra aveva dichiarato appena prima: “Ich möchte verschenken und austheilen” (qui Montinari traduce il verbo “auftheilen”, dunque “Vorrei spartire i miei doni”, mentre Carpi traduce “Vorrei profondere e distribuire”). Che la contrapposizione tra müssen (“dovere”, “avere l’obbligo”) e mögen (“volere”, “desiderare”) sia solo apparente è ancora più chiaro se si legge per intero una delle affermazioni sopra richiamate: “Ich muss, gleich dir, untergehen, wie die Menschen es nennen, zu denen ich hinab will”, “Anch’io devo, al pari di te, tramontare, come dicono gli uomini, ai quali voglio discendere”. Quindi tramontare, cioè scendere “in die Tiefe”, “nell’abisso”, è un obbligo da intendere in senso pedagogico: Zarathustra si sente in qualche modo chiamato a (e per questo vuole) educare gli uomini. La sua missione, appunto.
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andreademilio
messagio Nov 16 2007, 12:17 PM
Messaggio #3


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1) Prof Joseph, che differenza c'è tra interpretazione storico-critica ( Eugenio Garin?) ed interpretazione ermeneutica (

Luigi Pareyson? ) ?

2) Il tuo eponimo(?) Kierkegaard usava tra i suoi nick name anche JOSEPH de Silentio o solo

JOHANNES de Silentio?

3) Sappi che parte della mia infelicità è generata dal non conoscere chi sei, dal non poterti beccare in carne ed ossa:

redimiti e salvami!

4) Grazie a Thomas ( Freddie) per la meravigliosa libertà che ci concede


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Freddie
messagio Nov 16 2007, 12:25 PM
Messaggio #4


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mmm a tal proposito consiglio di leggersi anche la bella tesi di Marco Bonciani che ho la fortuna di aver pubblicato nel nostro sito
FRIEDRICH NIETZSCHE, ALSO SPRACH ZARATHUSTRA – COSÌ PARLÒ ZARATHUSTRA (Traduzioni italiane a confronto)


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CITAZIONE
Dei buoni denti e uno stomaco forte - t'auguro questo!
E se ti sei trovato col mio libro,
ti troverai di certo anche con me.
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NIHILO
messagio Nov 16 2007, 03:10 PM
Messaggio #5


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Come sempre, non potevi fare di meglio, Joseph.
L'unica considerazione che voglio aggiungere al riguardo è come Nietzsche sia
"profondamente" conoscitore della sua lingua in particolare ed estesamente delle
radici indoeuropee delle nostre lingue occidentali, in quanto certo grande filologo ma
anche artefice nel senso latino, cioè superbo forgiatore -poietès in greco- di espressioni massimamente
dense -in tedesco il termine Dichter, come osservò acutamente, mi sembra, Heidegger, che si-
gnifica poeta è direttamente imparentato all'aggettivo dicht, cioè denso- e pregnanti.
Egli attinge al linguaggio come dimora dell'Essere -v. sempre Heidegger- e lo esperisce come
viatico di un cammino, inverso a quello percorso da Dante, dalla suprema luce delle vette ghiacciate,
dove egli intuì il senso della terra come eterno ritorno, alle tenebre dell'esserci degli uomini Hinterweltler,
cioè intramondani, erranti, e lontani ormai dal cielo di Platone ma ancora oppressi dai riflessi della sua
metafisica sulla storia.
Egli è fuor di ogni dubbio, su questo piano, sublime linguista come Omero, Virgilo, Dante, Shakespeare,
Goethe e leopardi.
DUNKEL SIND DIE WEGE DER GOTTLOSEN


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DIE EWIGE SANDUHR DES DASEINS WIRD IMMER WIEDER UMGEDREHT
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Joseph de Sil...
messagio Nov 17 2007, 11:26 AM
Messaggio #6


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CITAZIONE(andreademilio @ Nov 16 2007, 12:17 PM) *
1) Prof Joseph, che differenza c'è tra interpretazione storico-critica ( Eugenio Garin?) ed interpretazione ermeneutica (

Luigi Pareyson? ) ?

Una domanda breve che richiederebbe una risposta molto più lunga di quella che si può dare nello spazio di un forum! Dunque, senza avventurarmi in una dissertazione sull’ermeneutica, rispondo che ovviamente non intendevo riferirmi a quella che è stata definita “ontologia ermeneutica” la quale, via Schleiermacher e Heidegger, ha visto in Gadamer il suo specifico rappresentante (e di cui in Italia certamente Pareyson è stato uno dei più illustri esponenti); più genericamente mi riferivo al “metodo” ermeneutico nell’accezione comune del termine, cioè – detto in breve – a quel tipo di interpretazione che mira a chiarire i significati riposti, oscuri o simbolici di un testo facendone venire in luce i sensi impliciti (per esempio – ma non soltanto – sviscerando le possibili valenze di un termine, come ho tentato di fare prendendo in esame alcuni righi dello Zarathustra). Naturalmente ciò potrebbe condurre a “forzare” il testo in esame entro una griglia interpretativa propria, ma del resto al discorso ermeneutico sono inscindibilmente connessi i temi della “precomprensione”, dell’“interprete che può comprendere l’autore più dell’autore stesso”, della Wirkungsgeschichte (“storia degli effetti”) e così via. La ricerca di impianto storiografico-filologico invece mira essenzialmente alla ricostruzione per così dire “storico-genealogica” del pensiero di un autore (così come di un’opera o di parti di essa etc.) attraverso il rinvio in primis alle fonti documentali, e comunque in generale al contesto in cui il sapere di un determinato pensatore si sviluppa, al suo orizzonte di riferimento culturale, storico, politico e così via, mirando – per quanto possibile, e in ogni caso al di fuori di ogni positivistica pretesa di “oggettività” – di non sovrapporre al testo letture retrospettive di esso. Di questo secondo tipo di approccio Garin potrebbe essere un esempio, ma qui il discorso andrebbe dilatato ad altre considerazioni che ci porterebbero altrove (l’influenza su Garin del marxismo specie nella sua versione gramsciana, il dibattito negli anni Cinquanta in Italia su storiografia e filosofia, etc.).

CITAZIONE(Freddie @ Nov 16 2007, 12:25 PM) *
mmm a tal proposito consiglio di leggersi anche la bella tesi di Marco Bonciani che ho la fortuna di aver pubblicato nel nostro sito
FRIEDRICH NIETZSCHE, ALSO SPRACH ZARATHUSTRA – COSÌ PARLÒ ZARATHUSTRA (Traduzioni italiane a confronto)

Hai fatto bene a ricordarla perché è un lavoro serio e documentato, che avevo letto con interesse.

CITAZIONE(NIHILO @ Nov 16 2007, 03:10 PM) *
[...] Egli è fuor di ogni dubbio, su questo piano, sublime linguista come Omero, Virgilo, Dante, Shakespeare,
Goethe e leopardi.

Commenterei ciò che scrivi con le parole di qualcuno che conosce molto bene lo stile di Nietzsche (pur non mancando di rilevarne anche dei difetti): “Il mondo stilistico di Goethe e il mondo stilistico di Nietzsche sono, al loro meglio e insieme al mondo di Lutero, i più grandi fenomeni poetico-linguistici della letteratura tedesca, e quello di Nietzsche in particolare è forse, dei tre, quello che spicca di più per la sua massa incandescente e per le sue punte eccelse” (Sossio Giametta, Nietzsche il poeta, il moralista, il filosofo, Garzanti, 1991, p. 319).
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