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> Dediche a Nietzsche
Colui che ha ...
messagio Jun 20 2009, 02:30 PM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Jun 17 2009, 10:00 PM) *
Mi incuriosisce questa incoerenza di Leopardi, devo dire che non l'ho mai notata, forse qualche sbalzo d'umore nelle lettere private, ma nelle poesie il tono è quasi sempre il medesimo, e non credo sia in discussione la potenza dei versi in sè!

Si va molto sul personale, però le figure retoriche di Baudelaire mi pare che Lautreamont se le scordi! I canti di maldoror almeno (ho letto quelli) hanno per musicalità, argomenti, densità molte marce in meno del miglior Baudelaire, senza andare a Mallarmé che semplicemente non è più un poeta come lo hai definito tu (insondabile). Lautreamont fa solo leva sull'orrido come opposto del sublime, ma i pensieri contenuti sono miseri per la maggior parte (su questo anche baudelaire non brilla poi molto). Manca proprio di complessità in tutti i sensi (soprattutto nel senso buono).

Torno però alla questione che mi interessa di più, al di là dei pareri personali sui poeti (tutti comunque grandi, i citati almeno), cioè la poesia in sè. Ammettendo ora un approccio nietzschiano (partendo proprio dal Dei poeti) credo che si possa partire dall'idea di abisso (dell'abisso dionisiaco insomma), un abisso che il linguaggio non poetico non ha modo di raggiungere (nemmeno quello filosofico), per via del suo strutturalismo per cui ad ogni parola (o frase) attiene un significato. Prendo a prestito un'altra definizione di poesia: "il risonar del dire oltre il concetto" per intendere quell'uso delle parole che trascende il concetto/significato delle stesse, un altro approccio è quello della "Differenza" che è praticamente la stessa cosa ma ora evito di propinarla. Ma tutto questo non è "profondità" così come lo intende Nietzsche, è solo un surrogato. La poesia tutta è una transizione, una educazione verso l'oltreuomo ma non sarà mai sufficiente, il vero pensiero dell'eterno annichilisce la miseria di ogni poesia, "io ho gettato la mia rete nei loro mari, volevo fare una buona pesca; ma ho sempre tirato su il capo di un qualche vecchio dio", e ogni poeta è pavone, vuole pubblico e spettatori.
Ecco perchè all'inizio ero scettico sul "dedicare poesie" a Nietzsche, non ha alcun senso. La poeticità deve semmai diventare un tuttuno col pensiero, un pensiero poetante direbbe Heidegger, un pensiero della Differenza direbbero altri, con la medesima intuizione. Il verso, la scrittura, la rima, la figura retorica sono miserie apollinee, eccessi di menzogne e vecchi dei. L'eterno poi è la peggiore di queste menzogne, l'eternità del ritorno nietzschiano è quanto di meno "eterno" esista, perchè è un eterno diveniente e inafferrabile, un tempo mai presente (in entrambi i sensi di "presente").



Ti rifai al concetto di differance di Derrida che sarebbe diverso dal concetto di difference (e differenziamento...)?
E' ovvio, che banalmente detto, una frase indica di più di quello che è detto; sempre in un gioco linguistico particolare...

Bene o male sono nomi con cui l'uomo indica forze che superano la sua potenza.
Dio deve necessariamente esistere perché questo principio di indifferenza deve avere un principio di indifferenza Assoluto.

Questi due pensieri, così un po' vagamente riassunti da me, di Lautreamont sono molto particolari; vedo in lui sempre una forza di andare oltre quello che è la propria era, più degli altri poeti chiusi nel loro proprio io o nel loro mondo (un individuo è chiuso nel proprio mondo anche quando lo critica...).


Al di là di questo ritengo che Nietzsche denigri troppo le funzioni intellettive della mente (ovvero i modi con cui il pensiero si attua). E' ovvio che è errato attribuirgli un valore ontologico capace di fondare la realtà, ma criticarle al tal punto di asserire che non vi sia nessun rapporto oppure che sia sempre una menzogna, seppur dal punto di vista, forse, speculativo può essere un incitamento, e da quello di vista ontico un metodo di verifica, credo che però si tratti di un individuo che schernisce uno dei suoi modi di essere, e forse il suo modo di essere.

La tua interpretazione dell'eterno ritorno porta a vedere un eterno che non è mai essere, che non è del tutto sbagliato, ma che non coglie il fatto che vi sia un divenire che non è lineare (ovvero che abbia un'essenza mai di essere), ma che è ciclico (come un cerchio, e dunque tutto il cerchio è un essere, appunto l'essere eterno). L'eterno ritorno dell'uguale è la formula da un punto di vista di un punto del cerchio temporale; dal punto di vista del cerchio stesso v'è l'Eterno che è sempre uguale a sé, ma che nei suoi fattori 'costituenti' è un riessere svolto nell'eternità, un divenire eterno, ma che non non-finisce mai, ma rinizia sempre. Come una ruota, dunque l'Eterno è la ruota; un suo punto è un punto che in eterno riverrà nella stessa maniera. Non posso pensare un eternità mai presente, perché altrimenti l'eternità sarebbe semplicemente un futuro fedele totalmente alla sua essenza ovvero un futuro mai-presente.


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Sgubonius
messagio Jun 20 2009, 03:34 PM
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Forse ho letto Lautreamont in un periodo di scarsa ispirazione e troppo di fretta, per cui magari tenterò di ridargli una passata quando avrò più affinità ad un certo stile che come ti dicevo mi è sembrato troppo espressionista, troppo vivo e forzatamente ripugnante e orrido (il francese si presta molto d'altronde). A me è arrivato dai canti di maldoror per lo più un grido disperato, d'orrore baconiano, più che una lucida fuoriuscita dal proprio mondo, ecco direi che è proprio la lucidità (insieme alla complessità, dato che solo la lucidità permette di com-plicare in uno tanti concetti e pennellate poetiche) che manca un po' nel delirio dei canti.

Riguardo la poesia in toto (proprio ieri ho cominciato a leggere La Scrittura e la Differenza di Derrida, in cui ho ritrovato ancora questo genere di considerazioni che condivido molto e curiosamente col tempismo giusto per questo topic) sicuramente qui siamo nel campo dell'interpretazione del pensiero di Nietzsche, e infatti è per questo che mi preme molto questo topic da cui prendo spunto, molto più che per la disquisizione estetica (pur interessante) su Leopardi o Lautreamont.
Mi pare che esista un modo di leggere Nietzsche, probabilmente il più diffuso, che porta sostanzialmente al trionfo dell'arte, d'altronde si ritrova questo negli scritti suoi, e all'idea di artista come tipo superiore di uomo, portando così tutto il pensiero nietzschiano nell'ambito del dominio del reale, attraverso il gioco creativo (anche questo indubbiamente c'è). Heidegger secondo me è stato il più cristallino lettore di Nietzsche in questo senso, e nel suo saggio dedicato ripercorre proprio questa strada. Eppure c'è un lato "oscuro" che non considera, che è quello che traspare da brani come il "dei poeti", o altre professioni come dicevi giustamente tu di totale sfiducia nelle capacità intellettive (prettamente kantiane, tanto che Heidegger trascurando questo residuato totalmente dionisiaco riesce a ricondurre Nietzsche ai Cartesio, ai Kant, ai Leibniz, ai totalizzatori del dominio sull'ente).

Per questo diventa fondamentale il discorso sull'eterno ritorno e sul tempo. Da una parte l'eterno ritorno come "imprimere al divenire il carattere dell'essere", cioè come chiusura delle possibilità (nel cerchio i casi sono un certo numero e si ripetono) e quindi possibilità di dominio del presente sugli altri tempi (soprattutto quello potenziale per eccellenza: il futuro). Dall'altro un eterno ritorno più sottile, quello di una ruota che gira, ma che girando si sposta (come tutte le ruote!), cosicchè a ritornare non sia l'uguale ma la Differenza (differance ecc...), in cui quindi a ritornare sia davvero un puro divenire, e il tempo si sfilacci fino a perdere spessore, lo spessore del presente. Ogni desiderio d'eternità rischia di essere metafisico e puramente possessivo (del possesso gnoseologico che il soggetto attua sull'oggetto), così ogni poesia che non ecceda se stessa sarà soltanto un abbellimento domestico della vita, un rafforzamento, un rendere eterno, ma non esiste tale possesso che sopravviva all'istinto di morte che Freud (da Schopenhauer) ha benissimo evidenziato e che Nietzsche aveva vissuto in prima persona, dove ogni possesso risulta in un nulla, ogni presente in un istante senza spessore e ogni azione in un fallimento. "Noi non ci apparteniamo" dice una bella poesia troppo moderna, perchè in prima istanza non siamo "noi stessi medesimi" (nè identità nè ipseità) e perciò non possiamo poetare ed essere autori di un bel niente in un tempo che ci sfuggirà sempre dalle mani, mai presente, sempre potenziale (diveniente-futuro-passato), cioè della volontà di potenza (che non è più il dominio, al contrario è il differire, la différance). Deve cadere la vanità del pavone, e prima di essa la soggettività stessa che ne è legata a doppio filo, l'io lirico soprattutto. Nel "dei poeti" nietzsche scimmiotta il Faust di Goethe, non è un caso. E' proprio dalla malattia del faust che bisogna guarire (cioè in parole molto povere del voler eternizzare questo misero soggetto che non siamo).

Certo è una pedanteria, anche terribile, ma trovo troppo spesso (non penso che sia il tuo caso da quello che ho potuto leggere, ma è il caso di moltissimi altri lettori di nietzsche, io stesso per molto tempo) questa lettura di Nietzsche entusiasmante e energica ma in definitiva non completa, dove non si affrontano veramente le questioni più terribili dell'eterno ritorno, non si va davvero a fondo del nichilismo insomma (e così non lo si supera, d'altronde su questo Heidegger è molto coerente facendo seguire a tale interpretazione l'ineluttabile conseguenza).

Aggiunta: mi sono imbattutto proprio ora in una nota del testo di Derrida, in uno dei saggi su Artaud, in cui fa proprio riferimento a Nietzsche e al "Dei Poeti" per mostrare la precursione nel filosofo tedesco dell'idea di arte-senza-opera e di morte dello spettacolo in quanto rappresentazione.


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messagio Jun 21 2009, 03:25 PM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Jun 20 2009, 04:34 PM) *
Forse ho letto Lautreamont in un periodo di scarsa ispirazione e troppo di fretta, per cui magari tenterò di ridargli una passata quando avrò più affinità ad un certo stile che come ti dicevo mi è sembrato troppo espressionista, troppo vivo e forzatamente ripugnante e orrido (il francese si presta molto d'altronde). A me è arrivato dai canti di maldoror per lo più un grido disperato, d'orrore baconiano, più che una lucida fuoriuscita dal proprio mondo, ecco direi che è proprio la lucidità (insieme alla complessità, dato che solo la lucidità permette di com-plicare in uno tanti concetti e pennellate poetiche) che manca un po' nel delirio dei canti.

Riguardo la poesia in toto (proprio ieri ho cominciato a leggere La Scrittura e la Differenza di Derrida, in cui ho ritrovato ancora questo genere di considerazioni che condivido molto e curiosamente col tempismo giusto per questo topic) sicuramente qui siamo nel campo dell'interpretazione del pensiero di Nietzsche, e infatti è per questo che mi preme molto questo topic da cui prendo spunto, molto più che per la disquisizione estetica (pur interessante) su Leopardi o Lautreamont.
Mi pare che esista un modo di leggere Nietzsche, probabilmente il più diffuso, che porta sostanzialmente al trionfo dell'arte, d'altronde si ritrova questo negli scritti suoi, e all'idea di artista come tipo superiore di uomo, portando così tutto il pensiero nietzschiano nell'ambito del dominio del reale, attraverso il gioco creativo (anche questo indubbiamente c'è). Heidegger secondo me è stato il più cristallino lettore di Nietzsche in questo senso, e nel suo saggio dedicato ripercorre proprio questa strada. Eppure c'è un lato "oscuro" che non considera, che è quello che traspare da brani come il "dei poeti", o altre professioni come dicevi giustamente tu di totale sfiducia nelle capacità intellettive (prettamente kantiane, tanto che Heidegger trascurando questo residuato totalmente dionisiaco riesce a ricondurre Nietzsche ai Cartesio, ai Kant, ai Leibniz, ai totalizzatori del dominio sull'ente).

Per questo diventa fondamentale il discorso sull'eterno ritorno e sul tempo. Da una parte l'eterno ritorno come "imprimere al divenire il carattere dell'essere", cioè come chiusura delle possibilità (nel cerchio i casi sono un certo numero e si ripetono) e quindi possibilità di dominio del presente sugli altri tempi (soprattutto quello potenziale per eccellenza: il futuro). Dall'altro un eterno ritorno più sottile, quello di una ruota che gira, ma che girando si sposta (come tutte le ruote!), cosicchè a ritornare non sia l'uguale ma la Differenza (differance ecc...), in cui quindi a ritornare sia davvero un puro divenire, e il tempo si sfilacci fino a perdere spessore, lo spessore del presente. Ogni desiderio d'eternità rischia di essere metafisico e puramente possessivo (del possesso gnoseologico che il soggetto attua sull'oggetto), così ogni poesia che non ecceda se stessa sarà soltanto un abbellimento domestico della vita, un rafforzamento, un rendere eterno, ma non esiste tale possesso che sopravviva all'istinto di morte che Freud (da Schopenhauer) ha benissimo evidenziato e che Nietzsche aveva vissuto in prima persona, dove ogni possesso risulta in un nulla, ogni presente in un istante senza spessore e ogni azione in un fallimento. "Noi non ci apparteniamo" dice una bella poesia troppo moderna, perchè in prima istanza non siamo "noi stessi medesimi" (nè identità nè ipseità) e perciò non possiamo poetare ed essere autori di un bel niente in un tempo che ci sfuggirà sempre dalle mani, mai presente, sempre potenziale (diveniente-futuro-passato), cioè della volontà di potenza (che non è più il dominio, al contrario è il differire, la différance). Deve cadere la vanità del pavone, e prima di essa la soggettività stessa che ne è legata a doppio filo, l'io lirico soprattutto. Nel "dei poeti" nietzsche scimmiotta il Faust di Goethe, non è un caso. E' proprio dalla malattia del faust che bisogna guarire (cioè in parole molto povere del voler eternizzare questo misero soggetto che non siamo).

Certo è una pedanteria, anche terribile, ma trovo troppo spesso (non penso che sia il tuo caso da quello che ho potuto leggere, ma è il caso di moltissimi altri lettori di nietzsche, io stesso per molto tempo) questa lettura di Nietzsche entusiasmante e energica ma in definitiva non completa, dove non si affrontano veramente le questioni più terribili dell'eterno ritorno, non si va davvero a fondo del nichilismo insomma (e così non lo si supera, d'altronde su questo Heidegger è molto coerente facendo seguire a tale interpretazione l'ineluttabile conseguenza).

Aggiunta: mi sono imbattutto proprio ora in una nota del testo di Derrida, in uno dei saggi su Artaud, in cui fa proprio riferimento a Nietzsche e al "Dei Poeti" per mostrare la precursione nel filosofo tedesco dell'idea di arte-senza-opera e di morte dello spettacolo in quanto rappresentazione.


Quest'idea che una ruota muovendosi si sposta, in qualche modo, è particolarissima però Nietzsche esprime proprio la forza dell'uguale, non già della somiglianza. L'idea della ruota temporale mi fa venire in mente la critica di Godel ad Einstein riguardo al tempo che sarebbe una pura idealità, non so se conosci... in pratica si sostiene che potendo tornare 'indietro' ne tempo, perché esso si muove come se avesse un punto, come una ruota, il tempo-non-passa, dunque veramente non esiste o meglio esiste solo come idealità...

per altro l'argomento è molto interessante, ma questo periodo sto rileggendo il Tractatus. Prometto che appena ho tempo riprenderò 'seriamente' Nietzsche. Una curiosità però me la devi levare: l'eterno ritorno lo senti come fatto 'personale' o come argomento speculativo?


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Sgubonius
messagio Jun 21 2009, 05:26 PM
Messaggio #64


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CITAZIONE(Colui che ha trovato @ Jun 21 2009, 04:25 PM) *
per altro l'argomento è molto interessante, ma questo periodo sto rileggendo il Tractatus. Prometto che appena ho tempo riprenderò 'seriamente' Nietzsche. Una curiosità però me la devi levare: l'eterno ritorno lo senti come fatto 'personale' o come argomento speculativo?


Il tempo è indubbiamente ideale, meglio ancora bisognerebbe dire trascendentale, se poi vogliamo andare oltre si potrebbe inserirlo in un ottica ulteriormente complessa (da Bergson ad Heidegger) e renderlo esistenziale e storico in un senso tutto nuovo. L'eterno ritorno diventa egualmente un fatto contemporaneamente personale (esistenziale) quanto speculativo (esistenziale ancora nella misura in cui ci dice "come si struttura l'esistente"). E' a tutti gli effetti un meccanismo selettivo, come si dice nella Gaia Scienza, che fa tornare soltanto ciò che danza, cioè ciò che è sempre spostantesi, sempre s-catenato, libero dal sistema dell'uguale. Per questo trovo arduo leggere Nietzsche coerentemente coll'ottica dell'eterno (ritorno dell') uguale, perchè in tal caso sarebbe solo una riedizione di Hegel e indietro fino a Platone. La ruota e la danza sono quindi affini, e non possono essere "sur place", altrimenti sarebbe un falso movimento del tutto identico a quello dialettico (vado nella differenza/alterità ma poi torno a me stesso medesimo, spirito assoluto, totalità). Il problema è che in Nietzsche è tutto molto ambiguo, tanto si legge che l'essere si deve imprimere sul divenire, quanto si legge che l'uomo deve tramontare. Per questo sono molto interessato alla questione, perchè in qualche modo è in sospeso (anche se i maggiori studiosi di nietzsche nel 900 tendono a propendere per una interpretazione "della differenza").


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messagio Dec 2 2009, 01:37 AM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Jun 21 2009, 05:26 PM) *
Il tempo è indubbiamente ideale, meglio ancora bisognerebbe dire trascendentale, se poi vogliamo andare oltre si potrebbe inserirlo in un ottica ulteriormente complessa (da Bergson ad Heidegger) e renderlo esistenziale e storico in un senso tutto nuovo. L'eterno ritorno diventa egualmente un fatto contemporaneamente personale (esistenziale) quanto speculativo (esistenziale ancora nella misura in cui ci dice "come si struttura l'esistente"). E' a tutti gli effetti un meccanismo selettivo, come si dice nella Gaia Scienza, che fa tornare soltanto ciò che danza, cioè ciò che è sempre spostantesi, sempre s-catenato, libero dal sistema dell'uguale. Per questo trovo arduo leggere Nietzsche coerentemente coll'ottica dell'eterno (ritorno dell') uguale, perchè in tal caso sarebbe solo una riedizione di Hegel e indietro fino a Platone. La ruota e la danza sono quindi affini, e non possono essere "sur place", altrimenti sarebbe un falso movimento del tutto identico a quello dialettico (vado nella differenza/alterità ma poi torno a me stesso medesimo, spirito assoluto, totalità). Il problema è che in Nietzsche è tutto molto ambiguo, tanto si legge che l'essere si deve imprimere sul divenire, quanto si legge che l'uomo deve tramontare. Per questo sono molto interessato alla questione, perchè in qualche modo è in sospeso (anche se i maggiori studiosi di nietzsche nel 900 tendono a propendere per una interpretazione "della differenza").


Non a caso si definiva 'il primo filosofo tragico'.


ritornardo a Lautréamont, come fai a dire che qui non vi sono pensieri:

I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo. (Wittgenstein)

"Scendendo dal grande al piccolo, ogni uomo vive come un selvaggio nella sua tana, e ne esce di rado per visitare il suo simile, del pari accosciato in un'altra tana. La grande famiglia universale degli uomini è un’utopia degna della logica più mediocre." contro Feuberbach...

"Ahimé! Che sono dunque il bene e il male! Non forse la stessa cosa, attraverso la quale attestiamo con rabbia la nostra impotenza, e la brama di raggiungere l’infinito attraverso anche i mezzi più insensati? Oppure son due cose differenti? Sì… che si tratti piuttosto di una medesima cosa… altrimenti, che sarà di me nel giorno del giudizio." l'idea che bene e male possano essere solo mezzi per esprimere altro...

"Si scrutano l'un l'altro, mentre l'angelo sale verso le altezze serene del bene, e lui, Maldoror, scende invece verso gli abissi vertiginosi del male... Che sguardo! Tutto ciò che l'umanità ha pensato da sessanta secoli, e ciò che ancora penserà nei secoli successivi, potrebbe agevolmente esservi contenuto, tante furono le cose che si dissero in quel supremo addio! Ma si trattava, è evidente, di pensieri più elevati di quelli che scaturiscono dall'intelligenza umana; innanzitutto a causa dei due personaggi, e poi della circostanza. Quello sguardo li unì in un'amicizia eterna."

"Il tuo ragionamento si fonda su questa considerazione, che soltanto una divinità di una potenza estrema può mostrare tanto disprezzo verso i fedeli che obbediscono alla sua religione." che dio 'deve' esistere perché, invece che come Hegel è il garante della giustizia, è qui il garante dell'indifferenza...


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messagio Dec 7 2009, 02:24 AM
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Posso parlare solo per "i canti di Maldoror", non ho letto altro.
Dall'impressione che ebbi, mancano in Lautreamont dei momenti di grandissima potenza di sintesi poetica, si dilunga un po' troppo in descrizioni orrende o in immagini mirabolanti, ma manca di ermetismo. Un Baudelaire, per rimanere in ambito, mi colpisce molto di più quando in versetti anche brevi, rimette o assonanze, incarna delle potenze poetiche che ti mangiano il cervello. Così è anche per i pensieri (che non differiscono poi tanto dalla poesia), tanto che Nietzsche si affida all'aforisma e non alla trattazione o descrizione pittoresca. E' vero che io amo molto l'ermetismo in genere, da Holderlin a Montale (ma si potrebbe osare anche buttando dentro uno come Pindaro per esempio), che mi sembra essere il pathos meno "wagneriano" possibile. Ecco Lautreamont potrebbe avere qualcosa di ancora troppo wagneriano, anche nell'opposizione estrema delle posizioni religiose (che d'altronde da Hegel in poi non è più prova di reale diversità). Peraltro è vero che Baudelaire era un patito della musica di Wagner, il che complica molto le cose!!

Ripeto comunque che sono impressioni ancora molto vaghe, soggette a imprecisione.


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messagio Dec 15 2009, 04:07 PM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Dec 7 2009, 02:24 AM) *
Posso parlare solo per "i canti di Maldoror", non ho letto altro.
Dall'impressione che ebbi, mancano in Lautreamont dei momenti di grandissima potenza di sintesi poetica, si dilunga un po' troppo in descrizioni orrende o in immagini mirabolanti, ma manca di ermetismo. Un Baudelaire, per rimanere in ambito, mi colpisce molto di più quando in versetti anche brevi, rimette o assonanze, incarna delle potenze poetiche che ti mangiano il cervello. Così è anche per i pensieri (che non differiscono poi tanto dalla poesia), tanto che Nietzsche si affida all'aforisma e non alla trattazione o descrizione pittoresca. E' vero che io amo molto l'ermetismo in genere, da Holderlin a Montale (ma si potrebbe osare anche buttando dentro uno come Pindaro per esempio), che mi sembra essere il pathos meno "wagneriano" possibile. Ecco Lautreamont potrebbe avere qualcosa di ancora troppo wagneriano, anche nell'opposizione estrema delle posizioni religiose (che d'altronde da Hegel in poi non è più prova di reale diversità). Peraltro è vero che Baudelaire era un patito della musica di Wagner, il che complica molto le cose!!

Ripeto comunque che sono impressioni ancora molto vaghe, soggette a imprecisione.



guarda tempo fa scrissi un articolo a riguardo:

http://www.culturapoetica.com/lautreamont.html


per me, invece, Lautréamont è un genio, e rimane il mio poeta preferito.
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messagio Dec 16 2009, 07:23 PM
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In questi casi io parto sempre dall'idea che, scontato che Lautreamont è un grande autore, non apprezzarlo sia un problema del lettore che ha "sbagliato" qualcosa nella lettura. Molto difficilmente è questione di "gusti personali" quando si parla di poesia (ma anche in filosofia non si può parlare di gusto, si dovrebbe semmai pensare a quelle convenienze di potenziamento di cui parla Spinoza). Per cui per ora non posso dirti proprio di più di quanto ho abbozzato sopra, che più che una critica distruttiva a Lautreamont, voleva essere lo scovare il differenziale che mi rendeva altri poeti più significativi.

E' vero che Lautreamont è fra i poeti meno intimisti, ma è anche vero che l'intimo non è sempre sinonimo di soggettivismo sfrenato o di sentimentalismo lirico. Mi viene in mente questa poesiola di Holderlin:


Alles ist innig.
Das scheidet
So birgt der Dichter

Verwegener! möchtest von Angesicht zu Angesicht
Die Seele sehn.

Du gehest in Flammern unter.



Non mi sento di tradurre, sarebbe uno scempio, ma per intenderci i primi due versi suonano "tutto è intimo / ciò che separa". Non necessariamente il grande poeta deve tirare in ballo le "grandi" cose (non è questo il merito principale di Dante per esempio), o le immagini più pittoresche ed estrose. Tutto piuttosto si gioca nelle scosse linguistiche, in "ciò che separa", nelle differenze insomma, che sono la cosa più intima, ciò che (non-)siamo noi stessi nell'intimo. Come dice Pessoa, quando si è in cella non conta la dimensione della cella, puoi parlare di Dio che lotta con un drago o fare le cose più surreali, ma sempre in una cella dell'intimo stai, e nel frattempo di disperdi in fantasie (che in greco vuol dire rappresentazioni).


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messagio Dec 17 2009, 11:18 AM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Dec 16 2009, 07:23 PM) *
In questi casi io parto sempre dall'idea che, scontato che Lautreamont è un grande autore, non apprezzarlo sia un problema del lettore che ha "sbagliato" qualcosa nella lettura. Molto difficilmente è questione di "gusti personali" quando si parla di poesia (ma anche in filosofia non si può parlare di gusto, si dovrebbe semmai pensare a quelle convenienze di potenziamento di cui parla Spinoza). Per cui per ora non posso dirti proprio di più di quanto ho abbozzato sopra, che più che una critica distruttiva a Lautreamont, voleva essere lo scovare il differenziale che mi rendeva altri poeti più significativi.

E' vero che Lautreamont è fra i poeti meno intimisti, ma è anche vero che l'intimo non è sempre sinonimo di soggettivismo sfrenato o di sentimentalismo lirico. Mi viene in mente questa poesiola di Holderlin:


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Du gehest in Flammern unter.

Non mi sento di tradurre, sarebbe uno scempio, ma per intenderci i primi due versi suonano "tutto è intimo / ciò che separa". Non necessariamente il grande poeta deve tirare in ballo le "grandi" cose (non è questo il merito principale di Dante per esempio), o le immagini più pittoresche ed estrose. Tutto piuttosto si gioca nelle scosse linguistiche, in "ciò che separa", nelle differenze insomma, che sono la cosa più intima, ciò che (non-)siamo noi stessi nell'intimo. Come dice Pessoa, quando si è in cella non conta la dimensione della cella, puoi parlare di Dio che lotta con un drago o fare le cose più surreali, ma sempre in una cella dell'intimo stai, e nel frattempo di disperdi in fantasie (che in greco vuol dire rappresentazioni).


Hai citato Spinoza... è verissimo; non a caso, spesso, autori oggettivamente meno validi, mi paiono più interessanti proprio perché hanno 'accresciuto' la mia poteza; uno di questi è Rochester: delizioso. Interesantissimo che fantasia, in principio, significasse rappresentazioni...


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messagio Dec 17 2009, 05:31 PM
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vorrei anche aggiungere che la Commedìa si conclude con una visione dell'eternità 'fissa' ed 'immobile'; come conseguenza della tradizione aristotelica.


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