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> Il coraggio di guardare in faccia l’abisso. Lettera ad un amico
reiniku
messagio Oct 23 2007, 07:30 PM
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Quando ti scrivevo che secondo me dovremmo avere il coraggio di guardare in faccia l’abisso in cui siamo sospesi (insomma...una cosa del genere) avevo in mente Nietszche e la filosofia greca. Nietszche nella Nascita della Tragedia scrive che la grandezza dei greci è stata quella di “guardare in faccia il dolore e di conoscere e sentire i terrori e le atrocità dell’esistenza”.
Anche Jaspers trova ottime parole per descrivere la coscienza tragica alla base della filosofia greca: “La coscienza tragica contempla il dolore dell’uomo, la sua sventura e la sua morte. Le sono familiari l’afflizione più profonda come il più profondo giubilo. L’afflizione è data dalla consapevolezza dell’eterno avvicendarsi della vita, della morte e della rinascita, in una metamorfosi senza fine, Il dio che muore e poi ritorna, la festa delle stagioni, come simbolo di questo morire e risorgere, è la realtà di fondo di questo mondo”. ( Sul linguaggio. La tragedia)
E’ interessante notare inoltre come la coscienza giudaico- cristiana abbia sviluppato una visione diametralmente opposta a quella greca, ossia la visione della Redenzione, prosegue Jaspers:
“La redenzione cristiana si oppone alla coscienza tragica. La possibilità che ha il singolo di salvarsi distrugge il senso tragico di una rovina senza scampo(…). Tutte le esperienze fondamentali dell’uomo, una volta cristiane, non sono più tragiche. Il peccato si trasforma in felix culpa che rende possibile la redenzione. Il tradimento di Giuda favorisce la morte salvifica di Cristo, causa di eterna felicità per tutti i credenti. Se Cristo è il più profondo simbolo del fallimento del mondo, lo è in senso tutt’altro tragico, perché il suo fallimento è una luce, una vittoria, un’attuazione”.

In quanto a Nietszche: lui riprende molto dai greci in tal senso, il tanto frainteso Superuomo altro non è che un uomo che accetta di vivere fedele alla terra, fedele al suo essere finito e limitato, fedele alla vita e alla morte, e al chaos (così i greci intendevano la natura, nel senso letterale di “apertura”di vita ). Ciò significa che l’uomo che si lascia cullare dalle varie speranze salvifiche (non solo quelle istillate dalla religione in senso stretto ma anche dalle ideologie politiche o, oggi più che mai, da quelle medico-terapeutiche), chi rinnega il senso della terra, con tutta la sua “crudeltà e bellezza” non fa che rinnegare quello che è: una determinazione della natura insieme ad altre determinazioni della natura, proprio come lo sono le piante, gli animali etc…(recita un frammento di Anassimandro :”Da dove tutti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine di tempo”)

Ovviamente, come ben dici, ognuno è libero di fare la scelta che preferisce: ma la scelta non è tra il senso e il non senso, ma tra una fissità di senso e un’apertura di senso. Ovviamente bisognerebbe andare a vedere come può essere libera una persona a cui è stato inculcato fin dalla nascita un determinato senso della vita.
Partire dal presupposto che tutto è chaos e non-senso non significa rinunciare ad avere una finalità o un senso nella vita: sia i Greci che Nietzsche hanno sempre aborrito ogni rassegnazione nichilistica. Certo, io credo che bisogna fare un’esperienza di non-sense per comprendere che il senso è fondamentalmente “apertura di senso”, ma si tratta comunque di un momento (mi viene in mente la filosofia Zen per cui tanta importanza hanno i paradossi e i koan, appunto, i non-sense).
Per vivere nel concreto bisogna comunque avere un qualche senso.
L’uomo per primo è un creatore di senso e di giochi semantico-linguistici, non può fare a meno di dare un senso al mondo, a se stesso e a tutto. L’importante, è non perdere di vista quello che è: bisogna sì lottare contro il dolore e la morte ma anche saperli accettare… Io penso che oggi il dolore e la morte non sono più accettati come facevano solo pochi decenni fa i nostri nonni o bisnonni…Galimberti parla dell’effetto deleterio del “desiderio infinito” che fa sprofondare uomini e donne delle società moderne in uno stato di perpetua malinconia (perché non si è mai soddisfatti)
Ma questo è un altro discorso…


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