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Dec 2 2009, 01:38 AM
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Orfeo
ultimo canto di un mondo morente Il cuore di Orfeo è forse sfamato di lagrime? L’infrenabile impulso de lo sguardo arrestò celeste il tempo; dal solitario cantore commosso, nel ghiaccio temprato, riflesso al sole; che per sette corsi col pianto l'arpa di pie rugiade ‘nfuse; ode la terra. Le guance di Orfeo sono sfamate di lacrime? L'infrenabile tempo pur lo mira, e nel suo canto consolasi; disiscolorasi pel pianto ‘l verde de la natura; e l'eterea sanguigna veste il pietoso andar del solitario sostiene; armonia a li occhi consumati. Narrasi che le foreste al perpetuo metro del solitario vagar tacite piangano; perpetuamente rimbombano tra mirti e querce e salici le lacrime, a consolar i mortali, che pongono in chi amano la fonte di speranza; la ragione di giovinezza eterna. Gli animali ‘n ascolto, non più prede, cacciatori, ma in un coro di sguardi odono, tutto obliano; il sacro uffizio la morte al dolor cede, al vasto sguardo; di mirarlo non ha ‘l coraggio, sente che ‘l canto la strazierebbe, il suo pianto che non sî inebri del suolo desidera. Così egli è immortale; tale il dolore che ne ‘mpedisce la morte: mai più vedrà Euridice, brama una lapide; a la terra che non lo abbranca grida, al mare, al cielo, a le belve fameliche; nessun vuole ‘l silenzio, o di sfiorarlo possiede il coraggio; il dolore è vita. Resti d’una civiltà tramontata, di dei o uomini non importa, miro; del ciel sorridevano gli immortali, colonne gravi sparse come tombe; ora taciti, il Nulla li ha assaliti, ma lui lo addestra, governa, lo impera perché vera ne conosce ‘l valore. La luna or fulge per il solitario cantore e quando una luce soffusa emana di riudire brama 'l canto; ne’ sentieri silenti dei vaganti augelli stellari vano il disperso andar; ed il lor grido al canto tacito, zinzilulare de le vaghe stelle. Il sole non si cibava di tenebre, e gli astri tremavan simili a foglie, quando Venere partorì se stessa, temprando l’universo col sorriso; infuriata al suo vero amore, prese un fulmine, e la speranza impaurì; così se ne va ‘l mondo in un col pianto. Questo allegretto ruscello sarà l’Alfeo, perché così dolce è a mirarlo; perenne custode ad un canto nuovo, come Amicle ed Augìa e Leda speme, dolcezza e giovinezza custodirono; celeste armonia consacra quel luogo, rispetta ‘l mare il volto di Nettuno. Tortore ricompongono dell’erba la dolce melodia in un ciel sereno: si arrende il boschetto a la sinfonia; come 'l sole con me gioca, e col salice, a le ombre, così questi fiori, arrendonsi, giungono a le mie insaziabili mani, un arcobaleno; una dea nel cielo. Provaron, pur con talento, ad uccidere la beltà; ma ella come se ne gode de la alta vittoria; si erge come iride, iride che mira screziata ‘l mondo diverso; il sogno può mirar dell'uomo gli abissi, lui soltanto; la bellezza, occhio del sogno, la realtà ammonisce. E sorridono le ninfe vicine al dolce ruscello, ma attento sono sempre all’armonia; donano colombe e cigni un nuovo colore, racchiusi per i poeti i misteri; fuori orribile la tempesta ringhia, Apollo stesso, il solitario, qui pace ritrova. Le farfalle, come delfini al cielo, volan; le api ronzan, e fan di sé venusto a’ fiori concento; l’acanto, l’amaranto, l’aquilegia, l’anemone, traducono i lor risveglio nel metro, candore, passione, soavità, esilio; ma si elevò un canto più venerabile. De la vegetazione e de la terra amore nato dal silenzio; canto del divenire, tracotanza, speme, irrealtà, verità, disperazione, pianto, nulla, creazione, metamorfosi; reggitor de la parola, sorregge così Nettuno le specchiate stelle. « Le trombe a forma di delfini squillino e de' cigni i dardi dei canti gridino che, in corteo fauni, giungi Euridice; ridenti margherite, di lontano olmarie appassite co’ vagolanti spine; e de’ papaveri l’orizzonte in morte traduce ‘l funereo coro. Io questa ninfa voglio perpetuare; ceruleo giacinto pensoso e glicine violureo sterminato canta e ride odori; e quando mirerai a ghirlande di astri la diversa prole dispersa, memorati dei fiori; speme donagli e giovinezza: il sole fuggirà. Sole solitario, nato nell’ombra; e quando l'ultimo dorato canto concederai, da li occhi consumati, la morte dolce compagnia per attimo; sfiancato e lento, senza speme e vecchio, non è al chiaror de la disperazione forse più luce la dimenticanza? Ma tu, Euridice, il cui nome sciogliesi fra le 'nnevate nevi de’ tuoi denti, non puoi morire prima di saziare in eterno ‘l mio essere; trascorrendo la mia vecchiaia tra le tue bianche braccia, fedele rimarrò a la vesta candida; nel ciel vaga il firmamento disperso. E mentre il vento le infinite mani del firmamento terrestre melodica (cielo che sii ‘nfrange su scogli, amore e guerra, dolzore), viene interrotto il silenzio de la neve da un ramo; sazia le mie guance, le labbra, il cuore, col desiderio perenne de le anime. Quando il sole lacrima, mai vedrà le tenebre, e al punto più alto dell’etra di giungere non si consola, miralo; cono de li astri, idea all’onda del sogno, dalla morte odiata, sacra alle tenebre, nei tuoi lumii ‘l cielo siedesi, il tutto da altro punto, dovuto sdegno, mira. E quando nel cimitero de li astri sarai, ove da sé l'etra s'avvalora, madre dell'ombra, ancella a’ sogni, volgiti; mira l'errante trascurata terra, dal suo usato pianto solleva il sole, il solitario conforta, e concedi un dolce sogno a le saziate stelle. » Quel sasso ha, forse, mormorato; al salice triste fedele - l’oceano ha memoria - resto; onda nell’oscurità, silenzio, la morte lieta compagnia oramai; al fulgore de la disperazione più melodiosa la notte, l’oblio; muore in eterno chi sfiora le stelle. Più triste in ogni tramonto il solare diviene; avvalora la cecità il dolore de la sua solitudine; in una notte, per malinconia, luci diffuse la luna per tenera compagnia; brama 'l solitario sole d'esser una di quelle fioche stelle. Più addolorato in ogniistante 'l tempo diviene; ben conosce il suo destino, muto sarà e tacito quando l'ultimo atomo tradirà la sua natura; morte certa distilla lente fiamme, un incerto sogno divora il tempo, che per placarlo lo miran le stelle. Più disperato in ogni tempo Eros diviene; nessuno ‘l cuor può saziare, sempre solo di fronte a sé rimane un'ombra di resti d'una meteora; avvalora 'l suo pianto la sua essenza, l'arcana origine per cui ne li occhi dei mortali di più ardono le stelle. Nel tramonto il sole stanco diffonde l'ultime lacrime a la triste terra pregna del pianto; giace ne li antichi occhi la disperazione del mondo, armonia all'eterea sanguigna veste; negli occulti sentieri s'appropinquano a suonar il tempo le abili stelle. Sordo è 'l grido de la crudele morte e il rumore de la vittrice sorte se da deserte terre arcane il carme asperge sovra l'eterna memoria; nasce dalla notte 'l canto e da sé splende; come ogni mia lagrima, invidia de li dei, luce maggior delle stelle. Padre mio, Orfeo, grido nella storia, disperazione che 'l tempo consola, gloria eterna de le solenni angosce mortali e dei canti vari otterrai, fin quando ‘l sole, desiando la luna, nel tentare di obliare le rugiade che lei diffonde, spegnerà le stelle. -------------------- I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
At nihilominus sentimus experimurque, nos aeternos esse. |
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