Che ne è dell'Apollineo nel tardo Nietzsche? |
Benvenuto Visitatore ( Log In | Registrati )
Che ne è dell'Apollineo nel tardo Nietzsche? |
Mar 17 2009, 06:26 PM
Messaggio
#1
|
|
Über Member Gruppo: Members Messaggi: 754 Iscritto il: 15-May 08 Utente Nr.: 2,728 |
?
Allora vediamo come porre questo quesito su cui mi muovo un po' come in sabbie mobili, perchè non avendo letto (me ne rammarico) La Nascita della Tragedia non ho padronanza effettiva sulle origini di questo concetto, ma ho comunque molti dubbi sul fatto che il dualismo presente in quell'opera permanga nell'estetica (che è da legarsi a doppio filo coll'etica) degli scritti della maturità di Nietzsche (diciamo per intenderci dalla Gaia Scienza in poi). Nello specifico ritengo del tutto scomparso lo spirito apollineo che predica la bella forma e l'ordine (kosmos). Dobbiamo tentare di depurare Nietzsche da ogni tensione verso l'essere, verso la fissazione cristallizzata, ferso l'uguale, verso l'ideale per poterlo sottrarre del tutto alle critiche heideggeriane che vedono in lui l'ennesimo (e ultimo) metafisico (sempre che poi sia una "colpa"). Ecco qui penso si possa finalmente mettere in chiaro ad esempio dove mai nell'ultimo Nietzsche si presenta l'esigenza pratica di produrre opere d'arte, di produrre il bello applicandovi il proprio canone armonico. Tutto il gioco dell'attivo (vs. passivo) è da giocarsi nell'immanentismo di un mondo in cui la mancata trascendenza (morte di dio, dell'io, ecc...) porta alla necessità e in cui quindi siamo sostanzialmente passivi per natura, deboli, in errore, ingiusti, superflui, orrido caso, e via dicendo sciorinando le mille metafore. Cosa mai vogliamo imprimere al divenire? Il carattere dell'essere? Analizziamo bene questo, cioè l'eterno ritorno, e cerchiamo di capire cosa ci sia di apollineo in questo ad esempio. Io non ci vedo nulla, se non qualche suggestione lontana: imprimere l'essere significa come diceva bene Nachtlied diventare ciò che si è, ovvero far girare la ruota non su se stessa, ma in déplacement, in continuo spostamento. Altrimenti è un falso divenire, è una dialettica del positivo/negativo che ruota sull'idea hegeliana, su se stessa, fissa, con dominio finale del centro, dell'identità, dello spirito assoluto. Allora diamo ragione ad Heidegger. Quando invece deleuze parla di strappare la differenza nella ripetizione (che è differenza senza concetto) ecco l'intuizione dello spostamento continuo, del gioco che si ripete diverso, il lancio puro del dado (non il caso apparente nella necessità, ma la necessità del caso), ecco l'eterno ritorno che è Aiòn, demodalizzazione/degenerazione del tempo, che non è un organetto che suona sempre la stessa musica (il carillon funziona così) ma è la potenza della differenza mai ferma e fissa in un punto, in un concetto, in uno spirito assoluto che si accresce in un falso movimento, ma sempre superantesi, una volontà che vuole se stessa. Qui poi io rimanderei al mio topic prediletto su "Soggetto e Volontà di Potenza" a cui secondo me in definitiva rimandano tutti i discorsi ancora fattibili su Nietzsche, perchè è la permanenza nell'identità e nell'uguale del soggetto che porta al trascendente e alla permanenza di un concettualismo apollineo anche nell'estetica, mentre un io incrinato, dissolto, è totalmente avulso da ogni pretesa autoriale e da ogni canonica del gusto, da ogni razionale, da ogni reale, e via dicendo. Mi sono dilungato ma ero preso dalla foga! Comunque si è capito spero! -------------------- "Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
|
|
|
Mar 18 2009, 03:13 PM
Messaggio
#2
|
|
Member Gruppo: Members Messaggi: 48 Iscritto il: 13-February 09 Utente Nr.: 11,490 |
Inoltre, anche nel N della N.d.t. non avrebbe più senso parlare di apollineo rispetto alla società contemporanea, in quanto, in seguito alla degenerazione della tragedia e all'avvento del socratismo, tale concetto perde il suo senso originario, che poteva esistere solo nella società ellenica.
-------------------- Non ho mai sentito dire che le flatulenze determinino situazioni filosofiche. (Lettere a Erwin Rohde)
|
|
|
Mar 18 2009, 06:50 PM
Messaggio
#3
|
|
Old Member Gruppo: Members Messaggi: 115 Iscritto il: 18-January 09 Utente Nr.: 10,580 |
Inoltre, anche nel N della N.d.t. non avrebbe più senso parlare di apollineo rispetto alla società contemporanea, in quanto, in seguito alla degenerazione della tragedia e all'avvento del socratismo, tale concetto perde il suo senso originario, che poteva esistere solo nella società ellenica. Forse questa è già una risposta alla domanda iniziale. Se l'apollineo ha infatti perso il suo significato originario con il tramonto della civiltà ellenica, è inutile chiederci se nel N maturo sia presente... In ogni caso a me ha sempre fatto riflettere la "superficialità per profondità" dei greci nella FW, perché mi è sempre venuto da associarla all'apollineo. Potrebbe essere che nel riferimento a quella particolare cultura N non smetta di considerare l'apollineo; mentre tale concetto non avrebbe senso in quella contemporanea, che è appunto decadente. E indietro non si torna. L'ulteriore passo da fare è quello dell'arte per artisti, visto che - cito Heidegger - "l'arte deve essere concepita dalla prospettiva di coloro che creano e che producono, e non da coloro che recepiscono". In questo senso, secondo me, anche l'estetica tradizionale deve tramontare, in quanto fondata sul sentimento del soggetto nel momento passivo della contemplazione. Potrebbe forse nascere un nuovo tipo di esetica nei riguardi del sentimento dell'artista che crea? Voglio dire: la riflessione sulla creazione, potrebbe essere ancora creazione? Oppure nel momento della riflessione si farebbe un passo indietro, si 'scenderebbe di grado', nella scala dalla VdP? Infine, detto ciò, escludendo quindi l'apollineo in senso classico dalla riflessione contemporanea, cosa significa imprimere al divenire il carattere dell'essere? Qualcuno risponda, please!!!!! -------------------- Luce io sono: ah, fossi notte!
|
|
|
Mar 19 2009, 08:17 AM
Messaggio
#4
|
|
Über Member Gruppo: Members Messaggi: 222 Iscritto il: 28-March 07 Utente Nr.: 27 |
Infine, detto ciò, escludendo quindi l'apollineo in senso classico dalla riflessione contemporanea, cosa significa imprimere al divenire il carattere dell'essere? Qualcuno risponda, please!!!!! Ciao Nacht, forse quest'intervista ad Eckhart Tolle ti potra' essere utile: << Andrew Cohen: Spesso la parola “illuminazione” è interpretata come la fine della divisione all’interno del sé e la scoperta simultanea di una prospettiva o di un modo di vedere globale, completo o libero dalla dualità. Coloro che hanno sperimentato questa prospettiva sostengono che la realizzazione definitiva è che non c’è differenza fra il mondo e Dio o l’Assoluto, fra il samsara ed il nirvana, fra il manifesto e il non-manifesto. Ma altri sostengono che, di fatto, la realizzazione definitiva è che il mondo in realtà non esiste per niente, che il mondo è solo un’illusione, senza alcun senso, significato o realtà. Nella tua esperienza, il mondo è reale? È irreale? È entrambi? Eckhart Tolle: Anche quando interagisco con le persone o sto passeggiando in una città, sbrigando delle cose ordinarie, la maniera in cui percepisco il mondo è: piccole increspature sulla superficie dell’Essere. Al di sotto del mondo della percezione dei sensi e quello delI’attività mentale, c’è la vastità dell’Essere. C’è un’ampia spaziosità. C’è una vasta quiete e c’è una piccola attività, un’increspatura sulla superficie, che non è separata, proprio come le increspature non sono separate dall’oceano. Il modo in cui lo percepisco, è che non c’è separazione. Non c’è separazione fra l’Essere ed il mondo manifesto, fra il manifesto ed il non-manifesto. Ma il non-manifesto è tanto più vasto, più profondo e più grande di quello che accade nel manifesto. Qualsiasi fenomeno del manifesto ha una vita così breve e così fugace che, sì, si potrebbe quasi affermare che dal punto di vista del non-manifesto - l’Essere senza tempo o Presenza - tutto quello che avviene nel regno del manifesto in realtà sembra come un gioco d’ombre. Sembra come vapore o nebbia in cui nuove forme continuamente sorgono e scompaiono, sorgono e scompaiono. Così per chi è profondamente radicato nel non-manifesto, il manifesto può essere chiamato molto facilmente irreale. Io non lo chiamo irreale, perché non lo vedo separato. Andrew Cohen: É reale quindi? Eckhart Tolle: Tutto ciò che è reale è l’essere stesso. La Coscienza è tutto quello che c’è. Pura Coscienza. Andrew Cohen: Intendi che la definizione di “reale” sarebbe ciò che è libero da nascita e morte? Eckhart Tolle: Sì, è cosi. Andrew Cohen: Di conseguenza solo ciò che non è mai nato e che non può morire sarebbe reale. E dato che, secondo quello che dici, il mondo manifesto non è separato dal non-manifesto, alla fine uno dovrebbe dire che il mondo manifesto è reale. Eckhart Tolle: Sì. Ed anche che dentro ogni forma che è soggetta a nascita e morte, c’è l’assenza di morte. L’essenza di ogni forma è l’assenza di morte. Perfino l’essenza di un filo d’erba è assenza di morte. Ed ecco perché il mondo delle forme è sacro. Non è che il regno del sacro sia esclusivamente l’Essere o il non-manifesto. Io vedo come sacro anche il mondo delle forme. >> |
|
|
Versione Lo-Fi | Oggi è il: 15th May 2024 - 12:52 AM |