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> L'errore e il vero: connessione necessaria?
enigma
messagio Apr 18 2009, 07:32 PM
Messaggio #1


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CIAO A TUTTI! Su questo forum ho trovato tantissime discussioni suggestive.

Comincio subito con un quesito che mi martella incessantemente: un aspetto della gnoseologia nietzscheana:

Nietzsche afferma, come Schopenhauer prima di lui, che il mondo è un illusione. A differenza del suo maestro pessimista, Nietzsche non crede in un "al di là" del velo di Maya, in un Essere, in una cosa in sè kantiana. "esiste" solo il divenire eterno. Fin qui OK. :-)

Ora non capisco come mai nietzsche dica a più riprese che la realtà in cui crediamo è un errore; più precisamente: una somma di errori e illusioni.

Non deve un errore, proprio per esser tale, presupporre implicitamente un vero?

2+2= 6 Errore! Non concepisco subito l'errore, bensì la verità, ovvero 4.

Forse Nietzsche vuol dire che "esistendo" solo l'incessante divenire, il nostro fissare il reale in concetti regolati dalla logica(principio di non contraddizione ecc) contrasta in qualche modo quel divenire. Ma non è forse l'uomo stesso e anche il suo eterno porre enti un prodotto del divenire?

Probabilmente il filosofo del Superuomo intende disantropomorfizzare la realtà, con il risultato di tramutarsi in una "realtà".
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marduk
messagio Apr 22 2009, 02:14 PM
Messaggio #2


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Beh però mi pare ci sia o una visione pessimista della tecnica (vista come una cosa troppo diversa dalla natura - mentre potrebbe esserne il prolungamento. Noi siamo ancora nell'evoluzione, alla ricerca di strategie adattive e di controllo) oppure una visione eccessivamente paradisiaca. La tecnica non eliminerà il dolore né il sentimento. e se dovesse eliminare le forme attuali di dolore (vecchiaia, malattia, ecc) chissà quali altri ci saranno! chissà quali orizzonti ci aprirà questo futuro tecnologico, quali fonti di arte, conoscenze, sensiblità che oggi nemmeno possiamo immaginare. I Greci lasciamoli ai Greci.

La tenica ridurrà lo spazio di destino e casualità, l'indifferenza della natura, le differenze sociali, il terrore per l'ingnoto. Ma ci saranno chissà quali altri stimoli per l'uomo nell'era della tecnica!

Io non avevo accennato a clonazione o eugenetica perché queste non saranno le forme tecnologiche future secondo me, resteranno come possibilità certo. Io mi riferisco a forme tecnologiche comunicative (che già oggi sono la maggioranza) ad esempio!


PS: in ogni caso il codice genetico contiene ben poco di quello che oguno di noi è. La clonazione già esiste in natura e sono i gemelli. Ognuno di noi è frutto di stimoli ambientali e culturali, il suo codice dice ben poco. Ridurci a un filamento di DNA (come vorrebbero anche molti antiabortisti) significa ripoproporre un materialismo determinista sotto altra specie.


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Sgubonius
messagio Apr 23 2009, 12:13 AM
Messaggio #3


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CITAZIONE(marduk @ Apr 22 2009, 03:14 PM) *
La tenica ridurrà lo spazio di destino e casualità, l'indifferenza della natura, le differenze sociali, il terrore per l'ingnoto. Ma ci saranno chissà quali altri stimoli per l'uomo nell'era della tecnica!


Sarà la lettura recente di Holderlin ma non sarei così d'accordo! wink.gif

Senza dubbio la tecnica è una cosa naturale, tutto è naturale, lo diceva già Spinoza con grande acume. Nella rappresentazione vige il principio di ragion sufficiente, se una cosa succede c'è un motivo, ergo è giusto e naturale che accada. L'ignoto stesso è una condizione misterica che ci pone nel mondo, la "mancanza" è la nostra essenza più profonda, senza di essi saremmo sassi. Da questo punto di vista non condivido molto le preoccupazioni heideggeriane (e non solo) per una ubris della tecnica, la tecnica era anche presso i greci, nell'aratro, nell'edilizia, ecc... insomma non ha senso neanche l'estremo opposto rousseauiano certamente, è una ingenuità totale. Quanto fa la differenza è invece il nostro modo di rapportarci all'essere (in senso estremamente generale, traduci vita se vuoi per non entrare in questioni ontologiche) che non deve essere dettato dall'utile. Se c'è un merito dei greci è questa apertura alla fusis (che poi fossero realmente tali non importa!) che nietzsche traduce col concetto di "dionisiaco". Non c'è alcun bisogno del nuovo, il nuovo è nel sorgere del sole o lo schiudersi del fiore (appunto in greco fusis, lo sbocciare, il mostrarsi, che è lo stesso fos della luce), è nell'eterno ritorno dell'uguale che tu devi differenziare. Tu sei chiamato solo a questo, a "fare la differenza". In questo l'arte ha avuto un ruolo predominante nella lettura dei greci da parte di Nietzsche, ma non c'è analisi dell'arte, non c'è teoria estetica o storia dell'arte che tenga, perchè l'arte per sua stessa natura deve sottrarsi al mondo fenomenico (è il sottrarsi) in cui è possibile fare analisi perchè c'è causa-effetto, non c'è differenza (ontologica). Non c'è neanche l'opera a questo punto no? Non c'è evoluzione, non c'è sviluppo, non c'è apertura tecnologica di nuovi orizzonti, queste sono differenze quantitative e in definitiva rimandabili ad uguaglianze e somiglianze, ovvero inesistenti. E' la differenza qualitativa che "fa la differenza" e tale differenziazione è possibile solo nella vita e nel suo aprirsi alla fusis, cosa che la tecnica non aiuta a fare dato che ha per categoria l'utile e per strumento il calcolo (ovvero legge tutto per quantità, in questo è esemplare l'economia, che arriva a teorie decisionali basate sul quantificare l'utilità per i consumatori e prevedere le loro scelte, nietzsche aveva intuito il futuro emergere dell'economia come scienza globale).

Certamente il concetto di volontà di potenza è un po' problematico in questo senso, e siamo costretti a rileggerlo non in un ottica di dominio calcolatorio e previsionistico, utilitaristico, ma come una differenza di potenziale (o potenziale di differenza). Qui ha sbagliato (se ha sbagliato ovviamente) Heidegger nella sua lettura sottovalutando forse le questioni irrisolte in nietzsche. Ad esempio la questione delle maschere dionisiache, del frantumarsi del soggetto che compare negli ultimi scritti, rimanda proprio al differenziarsi del soggetto in se stesso. La prima uguaglianza è infatti quella del sè nel tempo, su cui si articola cartesianamente tutto il metodo rappresentativo del reale, ma quando il mio io tiranno si dissolve e viene a cadere la maschera della persona (si pensi anche all'etimologia in latino) ecco che si possono indossare migliaia di maschere differenti e allora si può realmente aprirsi flessibilmente alla fusis, si può "danzare" sul e col mondo.


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