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> Schopenhauer: problema della rappresentazione
Stirner
messagio Nov 10 2007, 05:57 PM
Messaggio #1


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Sapendo che Nietzsche lesse in gioventù l'opera principale di Schopenhauer, il mondo come volontà e rappresentazione, mi sono affrettato a comprarlo ed ora lo sto leggendo e devo dire che lo trovo molto interessante, anche se non capisco una cosa.

Schopenhauer dice: il mondo è una mia rappresentazione.

Egli critica il realismo affermando che per esso esistono degli oggetti indipendeti dal soggetto e che sono le cause ed il soggetto è colui che percepisce gli effetti. Dunque il realismo ed il materialismo partono dall'oggetto trascurando il soggetto.
Schop. critica anche la visione opposta, quella fichtiana cioè che il soggetto è la causa degli oggetti.
Schop. dice che lui non parte nè dal soggetto nè dall'oggetto; ma dalla RAPPRESENTAZIONE.

Volevo chiedere: ma se tutto esiste UNICAMENTE perchè il soggetto rappresenta allora non è come dire(un pò come fichte) che il soggetto è l'origine del mondo e quindi degli oggetti. Se senza il soggetto crolla il mondo allora esso ne era la causa...AIUTATEMI, questo problema mi martella di continuo!!!!

grazie ciao


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andreademilio
messagio Nov 14 2007, 12:44 AM
Messaggio #2


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Max, giro la domanda e ti farò sapere


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Sandro
messagio Nov 15 2007, 12:19 PM
Messaggio #3


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Se per rappresentazione e causa s'intendono cose diverse, provo a risponderti.
Allora, scusa tanto se ti dò una risposta banalissima ma,perdonami,
non sono un filosofo e non conosco bene gli autori di cui parli per darti una
risposta realmente valida.


CITAZIONE(Stirner @ Nov 10 2007, 05:57 PM) *
Schopenhauer dice: il mondo è una mia rappresentazione.


CITAZIONE
fichtiana cioè che il soggetto è la causa degli oggetti.


Esatto. La banalissima differenza, da quello che hai scritto, è proprio questo.
Rappresentare il mondo non vuol dire assolutamente causarlo. E' diverso.Molto diverso.
Ti faccio un esempio pratico.
Sono un pittore e quindi con il mio quadro rappresento la realtà. Ma ,attenzione,
con la mia pittura mi limito solo a rappresentare e non a causare.
Voglio dire: ho dipinto una montagna con una mia rappresentazione ovvero secondo un mio stile e punto di vista, vale dire evidenziando tali colori e talune ombre ma quella montagna, presente nel quadro,
non è stata causata da me.Io mi sono semplicemente limitato a rappresentarla.
E' un po' difficile da spiegare.
ciao
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phys-
messagio Nov 16 2007, 02:46 AM
Messaggio #4


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Ti posso fare anch'io un esempio, sulla falsariga di quanto dice Sandro: su un oggetto che può esistere o meno "in astratto" (a seconda se si assume il punto di vista realista o idealista) talvolta è possibile operare in pratica soltanto attraverso una sua "rappresentazione", ma ciò non significa che quest'ultima abbia un carattere determinante ai fini dell'esistenza o meno dell'oggetto, anzi spesso introduce solo degli aspetti irrilevanti che possono essere fuorvianti perché evidenzia maggiormente alcune caratteritiche rispetto ad altre.

Ciò non toglie che la rappresentazione può anche essere l'unico modo possibile di accedere all'oggetto stesso.
In genere le percezioni sensoriali non sono che dati di una rappresentazione, non certo un accesso diretto al supposto ente autonomamente esistente, o in alternativa alla proiezione delle nostre facoltà.

Per esempio immagina un palo per come appare nel campo visivo di alcune persone via via più lontane da esso: per i più vicini esso occuperà quasi tutto il campo visivo, mentre per i più lontani apparirà di estensione limitata.
"La dimensione del sole è pari a un piede" diceva Eraclito. wink.gif
Ora, l'estensione angolare del palo evidentemente è una rappresentazione di qualche caratteristica del palo stesso che possiamo ricostruire teoricamente analizzando come cambia per gli osservatori posti in punti diversi.

Ma l'esistenza della rappresentazione non ci dice nulla sull'esistenza o meno dell'oggetto indipendentemente dal soggetto osservante: ognuno è libero di pensare che il primo abbia un'esistenza autonoma e che la rappresentazione nasca da un'interazione con esso, oppure che la rappresentazione sia una creazione esclusivamente del soggetto.
Questo se ci atteniamo unicamente a ciò che è attingibile sensibilmente, cioé alla rappresentazione che i sensi ci offrono di qualcosa che può esistere autonomamente ma anche no (il punto è che chiarire il senso di quest'ultima affermazione può non essere proprio possibile: per questo si può scegliere di non addentrarsi in questo terreno "metafisico").


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lae
messagio Nov 22 2007, 10:51 AM
Messaggio #5


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CITAZIONE
Volevo chiedere: ma se tutto esiste UNICAMENTE perchè il soggetto rappresenta allora non è come dire(un pò come fichte) che il soggetto è l'origine del mondo e quindi degli oggetti. Se senza il soggetto crolla il mondo allora esso ne era la causa...AIUTATEMI, questo problema mi martella di continuo!!!!

Ti rispondo con Shopenhauer:
"[..] Come senza l'oggetto, senza la rappresentazione io non sono soggetto conoscente, bensì volontà cieca, così senza di me quale soggetto del conoscere non può la cosa conosciuta essere oggetto, bensì è pura volontà, impulso cieco. Questa volontà è in sé , ossia fuor dalla rappresentazione, una e identica con la mia; solo nel mondo quale rappresentazione,la cui forma è sempre almeno di soggetto e oggetto, veniamo a scinderci in conosciuto e conoscente individuo. Non appena il conoscere - il mondo quale rappresentazione - è tolto via, non rimane altro se non pura volontà, cieco impulso. Il suo farsi oggettità, il divenir rappresentazione, stabilisce d'un tratto sia soggetto che oggetto."
e ancora:
"La volontà sola è: ella, la cosa in sè, ella, la sorgente di tutti quei fenomeni."

Lo statuto ontologico della montagna (O), del quadro che ho dipinto (O), di me individuo (S) che ho dipinto il quadro è lo stesso identico nella sua essenza, ciò che cambia (diviene) è la forma della rappresentazione intesa come visibilità (oggettità) della volontà, ma tutti appartengono a quel mondo rappresentazione, seppur in modalità e gradi differenti. Senza il soggetto crollano gli oggetti, ma senza oggetti crolla il soggetto. Il mondo come rappresentazione include in se sia soggetto che oggetto.
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noluntas
messagio Jan 8 2008, 10:25 PM
Messaggio #6


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CITAZIONE(Stirner @ Nov 10 2007, 05:57 PM) *
Sapendo che Nietzsche lesse in gioventù l'opera principale di Schopenhauer, il mondo come volontà e rappresentazione, mi sono affrettato a comprarlo ed ora lo sto leggendo e devo dire che lo trovo molto interessante, anche se non capisco una cosa.

Schopenhauer dice: il mondo è una mia rappresentazione.

Egli critica il realismo affermando che per esso esistono degli oggetti indipendeti dal soggetto e che sono le cause ed il soggetto è colui che percepisce gli effetti. Dunque il realismo ed il materialismo partono dall'oggetto trascurando il soggetto.
Schop. critica anche la visione opposta, quella fichtiana cioè che il soggetto è la causa degli oggetti.
Schop. dice che lui non parte nè dal soggetto nè dall'oggetto; ma dalla RAPPRESENTAZIONE.

Volevo chiedere: ma se tutto esiste UNICAMENTE perchè il soggetto rappresenta allora non è come dire(un pò come fichte) che il soggetto è l'origine del mondo e quindi degli oggetti. Se senza il soggetto crolla il mondo allora esso ne era la causa...AIUTATEMI, questo problema mi martella di continuo!!!!

grazie ciao



Esordisco in questo forum rispondendoti più che volentieri, anche alla luce del fatto che sono un entusiasta cultore di Schopenhauer (come testimoniato anche dal nickname), oltre che fresco di lettura de "Il mondo come volontà e rappresentazione".
Il tuo quesito è assai pertinente, ma anche risolvibile nella siffatta maniera: l'Io fichitiano altro non è che lo Spirito del mondo di Hegel, quindi una sorta di logos creatore (ed auto-creatore), che ha nel mondo la sua immanenza contingente (detta Non io o antitesi). Quindi l'Io di Fichte è a tutti gli effetti ciò da cui il mondo fattivamente e concretamente dipende.
Tale concretezza nella filosofia di Schopenhauer non sussiste, poichè il mondo non esiste in sè, ma solo nell'idealità, quindi nell'intelletto del soggetto che lo percepisce attraverso il principium individuationis (spazio e tempo e causalità); tant'è che si pone il paradosso che in assenza del soggetto, anche l'oggetto viene meno, essendo il secondo legato a doppio filo con il primo: "Non esiste il sole, ma solo l'occhio che lo percepisce, non la terra, ma solo una mano che la tocca".
L'io fichtiano rappresenta dunque l'essenza del tutto, se vogliamo, la cosa in sè di Kant (e dello stesso Schopenhauer), che però per gli hegeliani è manifesta, mentre per gli ultimi due rimane inconoscibile; il soggetto di Schopenhauer NON è un creatore (come si può creare ciò che non ha un'autonomia in sè, come il mondo, che è anch'esso pura rappresentazione?): anche per questo il nostro rigetta le religioni teistiche (e non soltanto per il loro risvolto ottimistico, quindi metafisico, ma anche per questa elementare ragione teoretica..). L'essere umano per Schopenhauer è esso stesso parte della rappresentazione, ma a sua volta rappresentante solo in virtù del fatto che egli incarna il massimo grado dell'oggettivazione della volontà (difatti ha la ragione per formulare concetti astratti e connessioni logiche, preclusa agli altri esseri viventi). L'uomo non crea, ma si limita a constatare ciò che vede e di cui riconosce la medesima essenza che è quella stessa a lui peculiare, cioè volontà di vivere (tant'è che il suo punto di partenza è l'esperienza personale, cioè l'osservazione del suo corpo in quanto fenomeno primo e più complesso della volontà che sia presente in natura).
Io mi ero chiesto, piuttosto, ai primordi del mio studio se mai la Volontà schopenhaueriana ricalcasse la medesima valenza panteistica dell'Idea hegeliana, proprio per il fatto che, se proprio deve sussistere un fattore che si avvicina alla nozione di "creatore", questa è proprio la volontà.
Ebbene ciò è da escludere almeno per 4 semplici motivi:
1- la volontà per Schopenhauer è libera e senza scopo; l'Idea di Hegel è soggetta alla necessità e si manifesta solo ed esclusivamente in maniera traidica (in sè; per sè; in sè e per sè. Per Fichte: Io; non Io; sintesi tra Io e Non io): il suo scopo è l'autocoscienza.
2- Schopenhauer rigetta lo storicismo (Nietzsche mutuerà da lui il concetto di "eterno ritorno dell'uguale"), in quanto lo scenario della storia è il medesimo: homo homini lupus, il quale si ripropone anche in natura con la volontà che addirittura fagocita se stessa ai diversi livelli della sua oggettivazione (es: l'animale che si nutre di un altro animale); per Hegel la storia è lo scenario dello Spirito del mondo che giunge al compimento del suo percorso ideale, che è poi quello di riconoscersi e di concepirsi come tale.
3- In Schopenhauer permane la distinzione fenomeno/noumeno, ereditata da Kant; in Hegel non sussiste, poichè l'Idea non è solo l'essenza del mondo (come lo è la volontà di Schopenhauer: "impeto cieco e irrefrenabile"), ma il mondo stesso.
4- il sistema idealistico è intrinsecamente positivo, mentre la weltanschaaung schopenhaueriana è radicalmente negativa. La sua risoluzione non è già scritta, come in Hegel, in cui solo e sempre opera l'Idea in sè e per sè, ma è atto del soggetto che si emancipa dalla volontà in un processo graduale di rinnegamento di quest'ultima, che ha il suo apice nell'ascesi e quindi nella Nolontà (cioè non volontà di vivere).
Tieni presente che Schopenhauer non rinnega solo realismo e materialismo (cioè l'oggetto con una sua propria autonomia slegata dal soggetto), in quanto correlati, ma anche l'idealismo stesso (cioè la sola presenza del soggetto che nega l'oggetto, o che diviene a sua volta oggetto stesso), criticando aspramente, parimenti a Hegel, lo stesso Fichte (definito con Schelling uno dei tre ciarlatani, sicari della verità!)
Spero di essere stato sufficientemente chiaro e sintetico! In ogni caso, rimango a disposizione.
Saluti e alla prossima!
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Stirner
messagio Jan 9 2008, 03:56 PM
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ciao noluntas, grazie per la lunga e completa risposta. Ma non ho ancora capito un esmpio pratico: immagina che tu e un altra persona state guardando una mela, l'altra persona muore. La mela continua ad esistere o cessa di esistere? Essa esisteva nel mondo dell'altra persona solo perchè sussisteva un soggetto conoscente, ma dal momento che è venuto meno dovrebbe cessare di esistere anche la mela...capito il dilemma?
Quando io muoio cesserà di esistere tutta l'umanità?

Schop. è un filosofo molto interessante però la critica fatta da Nietzsche al suo concetto di volontà è pertinente: la Volontà di Schop. è qualcosa di assurdo, in quando non può sussistere una "Volontà" senza voluto(la volontà schopenhaueriana non vuole qualcosa di preciso) e senza volente(soggetto che vuole), in quanto queste due proprietà sono inseparabili dal concetto di Volontà.

Meglio la Volontà di Potenza di Nietzsche tongue.gif tongue.gif

risp appena puoi....


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NIHILO
messagio Jan 10 2008, 10:22 AM
Messaggio #8


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Benvenuto noluntas, ottimo esordio.
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noluntas
messagio Jan 11 2008, 02:54 PM
Messaggio #9


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CITAZIONE(Stirner @ Jan 9 2008, 03:56 PM) *
ciao noluntas, grazie per la lunga e completa risposta. Ma non ho ancora capito un esmpio pratico: immagina che tu e un altra persona state guardando una mela, l'altra persona muore. La mela continua ad esistere o cessa di esistere? Essa esisteva nel mondo dell'altra persona solo perchè sussisteva un soggetto conoscente, ma dal momento che è venuto meno dovrebbe cessare di esistere anche la mela...capito il dilemma?
Quando io muoio cesserà di esistere tutta l'umanità?

Schop. è un filosofo molto interessante però la critica fatta da Nietzsche al suo concetto di volontà è pertinente: la Volontà di Schop. è qualcosa di assurdo, in quando non può sussistere una "Volontà" senza voluto(la volontà schopenhaueriana non vuole qualcosa di preciso) e senza volente(soggetto che vuole), in quanto queste due proprietà sono inseparabili dal concetto di Volontà.

Meglio la Volontà di Potenza di Nietzsche tongue.gif tongue.gif

risp appena puoi....



La mela cessa di esistere DAL TUO PUNTO DI VISTA, quindi anche fattivamente, poichè il problema è puramente gnoseologico e soggettivo, ovvero è come se la mela smettesse di esistere tout court.
Ciò che conta alla fine è che smetta di esistere per te, in quanto sei impossibilitato a percepirla: ergo, essa per te non esiste più, pur continuando a sussistere nella rappresentazione di qualcun'altro che la scorgerà. Ma essa non sarà più la "tua" mela, concepita cioè secondo la tua visione (difatti, uno che ne è allergico, avrà una prospettiva differente da un altro che ne è ghiotto; eppure la mela è sempre la medesima..)
Ricorda che non esistono le categorie di esistenza/non esistenza in sè, quindi in senso stretto, ma solo da un punto di vista SOGGETTIVO e, pertanto, relativo.
Si può concludere che anche la mela cesserà di esistere con te, in quanto con te perirà anche il tuo "modus" esclusivo di percezione e quindi la tua univoca modalità di rapportarti agli oggetti.
In virtù di ciò, Schopenhauer era convinto, pur paradossalmente, che, morto il soggetto, anche il mondo cessasse di esistere insieme ad esso, a conferma della natura illusoria dei fenomeni, cioè legati ad una percezione che è effimera come un sogno e come il soggetto stesso che la sperimenta (che infatti muore).
Da qui il collegamento con le religioni orientali per quel che attiene il problema della conoscenza (il buddismo afferma che anche l'io è privo di una sua consistenza, o meglio, che il soggetto scopre la sua essenza nel concetto di vacuità - simile alla noluntas - cioè nella perfetta coscienza meditativa che le cose siano prive di una loro autonomia esistenziale). Insomma vita=sogno: questa è la formula sintetica che induce poi lo stesso Schopenhauer, nel primo libro de "Il mondo come v. e r.", ad affermare che "vita e sogno sono fogli di uno stesso libro(...)".

Sulla dinamica volere/non volere, riconosco che è un problema ostico da concettualizzare (e Schopenhauer vi dedica l'intero libro quarto con parte dei supplementi).
La mia interpretazione è la seguente: il non volere tout court, va da sè, è utopico, sia logicamente, sia empiricamente. Si tratta, dunque, di utilizzare la volontà contro se stessa: il punto è VOLERE DI NON VOLERE. Mi spiego.
Si consideri che la volontà si serve per manifestarsi della mediazione dell'intelletto (che le fornisce i cosiddetti motivi per agire), che, però, le è naturalmente succube (così afferma il meister). Tale vaglio (quello dell'intelletto), può giungere a razionalizzare il fatto che taluni oggetti, propri della volontà inconscia, siano, o insormontabili, o addirittura sconvenienti e, di conseguenza, dissociarsene. Guarda, per esempio, alla dinamica della rinuncia (non necessariamente morale)
Proprio nel momento stesso in cui l'intelletto realizza di essere massimamente schiavo del volere irrazionale (quindi al culmine della sua sudditanza), si ha il principio della sua emancipazione.
Quest'ultima, dice Schopenhauer, avviene per gradi (suicidio, contemplazione estetica, castità e ascesi): il suicidio rifiuta la vita (cioè le sue condizioni contingenti), ma non il desiderio di vivere, ergo è irrisolutivo; l'arte (contemplazione estetica) è conoscenza pura, cioè senza implicazioni finalistiche, quindi è il momento in cui l'intelletto nega alla volontà i motivi per manifestarsi ed agire; la castità è rifiuto della sessualità come strumento di procreazione e quindi perpetuazione della vita (e del suo volere, ad essa connesso) a livello generazionale; l'ascesi (vita monacale, per intenderci) è rinuncia radicale dell'esistente, persino sconfinante nell'inedia perseguita (cioè il dominio della fame che normalmente porta al nutrimento del corpo, il quale è a sua volta oggettivazione fenomenica della volontà e quindi ricettacolo dei suoi istinti).
Questo spiega perchè Nietzsche rinnega Schopenhauer, bollandolo come "l'ultimo baluardo del decadentismo cristiano"; ciò detto, non mi sembra che Nietzsche abbia però fatto una fine migliore del suo antico maestro, ma su questo ho invero tutta una mia teoria, che, se interessa, esporrò a momento debito...

Mi è finita la pausa pranzo.. Mi riprometto di integrare la risposta durante il week-end (viva i venerdì), adducendo le ragioni del perchè io non mi senta, a differenza tua, di accettare la svolta della Wille zur Macht!

Grazie dell'attenzione e a risentirci!
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noluntas
messagio Jan 11 2008, 03:08 PM
Messaggio #10


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CITAZIONE(NIHILO @ Jan 10 2008, 10:22 AM) *
Benvenuto noluntas, ottimo esordio.
Presumo che tu apprezzi anche la dottrina buddhista.


Non c'è dubbio!
Sto giust'appunto leggendo alcuni libri del Dalai Lama, acquistati in occasione della sua visita qui a Milano il mese scorso (occasione, che non mi sono lasciato scappare, naturalmente, presenziando alle sue interessantissime lezioni!).
Le analogie con la filosofia di Schopenhauer si sprecano e ciò è puntualizzato dallo stesso filosofo nel volumetto "Il mio oriente" (Adelphi), che raccoglie i manoscritti vari del meister, con citazioni puntuali nel merito del raffronto tra le varie fedi religiose (orientali e occidentali): una miniera d'oro!
Segnalo la lettura di questo agile pamphlet a te e a tutti quanti.
Grazie dell'accoglienza e degli apprezzamenti!

P.S. Complimenti per la scelta del tuo nick! A cosa lo si deve, per caso?
Pensa che è da un po' che medito di raggruppare i miei "scarabocchi" filosofici sparsi, nell'ambito di una raccolta che intendo intitolare proprio "Pro nihilo": il che ti rende ai miei occhi automaticamente gradito..
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Joseph de Sil...
messagio Jan 12 2008, 04:47 PM
Messaggio #11


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In riferimento alla problematica Voluntas-Noluntas in Schopenhauer e agli esiti che ne derivano resta legittima, a mio avviso, l’argomentazione nietzscheana secondo la quale la noluntas schopenhaueriana dimostrerebbe che egli non si è liberato dal nichilismo cristiano. Posto infatti il Wille come essenza del mondo considerato “dall’interno”, è posto sì il rifiuto della distinzione sensibile-sovrasensibile tipico della metafisica classica, ma non quello tra esterno-interno (o fenomeno-noumeno, o essenza-apparenza), con il risultato che Schopenhauer non riesce veramente a liberarsi dell’atteggiamento nichilistico conseguente al dualismo di derivazione platonico-cristiana (svalutazione del mondo e tentativo dunque di negarlo); l’aggravante però, nel suo caso, è che laddove nei sistemi dualistici la svalutazione e la negazione riguardano appunto “solo” il mondo sensibile, in Schopenhauer – essendo assente proprio la distinzione metafisica sensibile-intelligibile – la negazione deve riguardare necessariamente il principio di cui il mondo sensibile non è che apparenza, cioè il Wille stesso, con il paradossale (nonché filosoficamente incongruo) risultato di un’autosoppressione totale del reale.
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marco
messagio Sep 26 2008, 07:27 PM
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Dopo aver letto Schopenhauer nella mia vita nulla e' stato piu' lo stesso,l' influenza che ha avuto su di me e' stata mooolto profonda r decisiva.Oltre l'opera principale consiglio a tutti i due volumi dei Parerga e paralipomena adelphi a cura di giorgio colli.Sn due volumi indivisibili,la penna del buon Artur e' magica!
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andreademilio
messagio Sep 26 2008, 08:39 PM
Messaggio #13


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l'osservazione di Joseph sull'aporia dell'autosoppressione mi sembra pertinente e non saprei che cosa rispondere.


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Sgubonius
messagio Sep 27 2008, 01:59 AM
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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ Jan 12 2008, 05:47 PM) *
in Schopenhauer – essendo assente proprio la distinzione metafisica sensibile-intelligibile – la negazione deve riguardare necessariamente il principio di cui il mondo sensibile non è che apparenza, cioè il Wille stesso, con il paradossale (nonché filosoficamente incongruo) risultato di un’autosoppressione totale del reale.


Non difenderei schopenhauer nemmeno se ne dipendesse la mia vita e non dubito del fatto che sia forse il peggior nichilista della storia, però contesterei l'incongruenza filosofica, bisogna riconsiderare il problema così come lo aveva posto stirner fin dall'inizio.
Se il mondo è soltanto rappresentazione e volontà, il resto viene dopo. La rappresentazione fonda soggetto (ovvero la costante che rappresenta sempre sè stesso, in senso cartesiano del cogito me cogitare) e oggetto mentre ovviamente la volontà opposta ad essa forma un apparente contrasto interno-esterno. Dico apparente perchè se il mondo è volontà e rappresentazione la posizione non è nè idealista nè realista (soggetto e oggetto vengono dopo) e in quanto tale è plausibile una posizione intermedia/ibrida fra interno ed esterno in quanto la rappresentazione non è nè interna nè esterna (int/est rispetto a chi, al soggetto?), come non lo è in fondo la volontà. E' un po' confuso in verità...
Insomma l'autosoppressione del reale è anche plausibile, altrimenti non si potrebbe parlare di Schopenhauer come di un nichilista, ed è solo il passaggio alla volontà di potenza a superare la crisi della nolontà grazie alla possibilità della trasvalutazione dei valori.


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Joseph de Sil...
messagio Sep 27 2008, 02:58 PM
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CITAZIONE(Sgubonius @ Sep 27 2008, 12:59 AM) *
[...]
Se il mondo è soltanto rappresentazione e volontà, il resto viene dopo. La rappresentazione fonda soggetto (ovvero la costante che rappresenta sempre sè stesso, in senso cartesiano del cogito me cogitare) e oggetto mentre ovviamente la volontà opposta ad essa forma un apparente contrasto interno-esterno. Dico apparente perchè se il mondo è volontà e rappresentazione la posizione non è nè idealista nè realista (soggetto e oggetto vengono dopo) e in quanto tale è plausibile una posizione intermedia/ibrida fra interno ed esterno in quanto la rappresentazione non è nè interna nè esterna (int/est rispetto a chi, al soggetto?), come non lo è in fondo la volontà. E' un po' confuso in verità...
[...]

Premesso che la critica a Schopenhauer da me riportata è, come avevo scritto, di Nietzsche e non mia (sebbene io la condivida), respingo (amichevolmente, beninteso) il tentativo di difesa di Sgubonius. Anzitutto, seguendo il suo modello argomentativo, per cui “interno” ed “esterno” mancherebbero di un quid rispetto al quale darsi, se ne potrebbe concludere che anche il “dopo” di cui egli parla, essendo una categoria temporale come tale estranea alla Volontà (che è eterna), non si dà mai, poiché ontologicamente non c’è altro che la Volontà stessa. Ma il punto non è tanto questo: l’errore implicito nella lettura di Sgubonius (errore per la verità piuttosto comune, dovuto anche alla maniera dello stesso Schopenhauer di utilizzare i termini) consiste piuttosto nel prendere la locuzione “mondo come rappresentazione” nel senso di “realtà”, e intendere dunque che esistano o due realtà (mondo della rappresentazione e mondo della volontà) oppure una realtà unica ma per così dire “sdoppiata” (mondo che è a un tempo volontà e rappresentazione). In verità quando Schopenhauer parla di “mondo come rappresentazione” non intende una realtà altra rispetto alla Volontà, ma solo il modo in cui questa si individua, si oggettiva, insomma si esplicita fenomenicamente. Non a caso egli sottolinea di continuo che il mondo come rappresentazione è mera apparenza: ma allora, se così è, “realtà” è solo il mondo come Volontà: e questo non è altro che un tipo di monismo ontologico. E’ qui che cade la critica di Nietzsche: in primis, e ciò è noto, Schopenhauer continua a pensare secondo il modello nichilistico platonico-cristiano, per il quale il mondo sensibile è qualcosa di negativo e dunque dobbiamo liberarcene; in secondo luogo, e qui sta l’aporia denunciata da Nietzsche, mentre nel platonismo e nel cristianesimo la soppressione del mondo sensibile non comporta una revoca della realtà, poiché proprio in virtù del dualismo implicito in tali sistemi il mondo intelligibile rimane (almeno dal loro punto di vista), per il monista Schopenhauer la soppressione del solo mondo sensibile non è semplicemente pensabile, visto il suo mero statuto di apparenza (e del resto se anche questa fosse possibile non sarebbe con ciò soppressa la negatività, che in senso proprio è specifica dell’unica realtà, cioè della Volontà stessa): non resta dunque che una paradossale possibilità: l’ “autosoppressione” del reale.
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Sgubonius
messagio Sep 27 2008, 07:02 PM
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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ Sep 27 2008, 03:58 PM) *
Premesso che la critica a Schopenhauer da me riportata è, come avevo scritto, di Nietzsche e non mia (sebbene io la condivida), respingo (amichevolmente, beninteso) il tentativo di difesa di Sgubonius. Anzitutto, seguendo il suo modello argomentativo, per cui “interno” ed “esterno” mancherebbero di un quid rispetto al quale darsi, se ne potrebbe concludere che anche il “dopo” di cui egli parla, essendo una categoria temporale come tale estranea alla Volontà (che è eterna), non si dà mai, poiché ontologicamente non c’è altro che la Volontà stessa. Ma il punto non è tanto questo: l’errore implicito nella lettura di Sgubonius (errore per la verità piuttosto comune, dovuto anche alla maniera dello stesso Schopenhauer di utilizzare i termini) consiste piuttosto nel prendere la locuzione “mondo come rappresentazione” nel senso di “realtà”, e intendere dunque che esistano o due realtà (mondo della rappresentazione e mondo della volontà) oppure una realtà unica ma per così dire “sdoppiata” (mondo che è a un tempo volontà e rappresentazione). In verità quando Schopenhauer parla di “mondo come rappresentazione” non intende una realtà altra rispetto alla Volontà, ma solo il modo in cui questa si individua, si oggettiva, insomma si esplicita fenomenicamente. Non a caso egli sottolinea di continuo che il mondo come rappresentazione è mera apparenza: ma allora, se così è, “realtà” è solo il mondo come Volontà: e questo non è altro che un tipo di monismo ontologico. E’ qui che cade la critica di Nietzsche: in primis, e ciò è noto, Schopenhauer continua a pensare secondo il modello nichilistico platonico-cristiano, per il quale il mondo sensibile è qualcosa di negativo e dunque dobbiamo liberarcene; in secondo luogo, e qui sta l’aporia denunciata da Nietzsche, mentre nel platonismo e nel cristianesimo la soppressione del mondo sensibile non comporta una revoca della realtà, poiché proprio in virtù del dualismo implicito in tali sistemi il mondo intelligibile rimane (almeno dal loro punto di vista), per il monista Schopenhauer la soppressione del solo mondo sensibile non è semplicemente pensabile, visto il suo mero statuto di apparenza (e del resto se anche questa fosse possibile non sarebbe con ciò soppressa la negatività, che in senso proprio è specifica dell’unica realtà, cioè della Volontà stessa): non resta dunque che una paradossale possibilità: l’ “autosoppressione” del reale.


Purtroppo su schopenhauer non sono molto ferrato perchè ho sempre nutrito troppi sospetti per addentrarmi nel suo pensiero, però capisco cosa intendi (prima avevo frainteso).
Resta però l'idea che ho tentato goffamente di esprimere contro la condizione di impossibilità di pensare l'autosoppressione del reale (in termini strettamente logici/filosofici). Se, semplificando, il reale è un'unica volontà di vivere di cui noi siamo parte e ne soffriamo, possiamo annullare il dolore annullando la volontà stessa, il che significa semplicemente rimuovere completamente il velo di maya e con esso la contraddizione colla rappresentazione (poichè è essa che porta alla sofferenza attraverso la delusione dei desideri). Insomma non vedo un ostacolo logico all'autosoppressione del reale se intendiamo per reale non tanto la volontà in sè ma la differenza fra volontà e rappresentazione, nella misura in cui senza qualcosa di irreale/illusorio non c'è neanche qualcosa di reale. Insomma il reale scompare quando scompare l'irreale, e così scompaiono dolore, libertà, desiderio, distinzioni, lotta, vita, morte... certo ontologicamente la cosa è un po' discutibile ma credo che Schopenhauer coll'ontologia non faccia mai tornare i conti.

Quello che soprattutto criticherei a Schopenhauer è la sua concezione del dolore e del desiderio frustrato come da eliminare che è sostanzialmente immotivata e porta alla peggior specie di nichilismo.
Credo che Nietzsche abbia cercato per metà della sua vita di criticarlo in ogni modo, soprattutto cogli scritti del "secondo periodo" fino a quando non lo ha veramente superato attraverso l'eterno ritorno e da allora non si è nemmeno più posto il problema di farlo.


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AndreaF.
messagio Sep 27 2008, 09:19 PM
Messaggio #17


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CITAZIONE(Sgubonius @ Sep 27 2008, 08:02 PM) *
Purtroppo su schopenhauer non sono molto ferrato perchè ho sempre nutrito troppi sospetti per addentrarmi nel suo pensiero, però capisco cosa intendi (prima avevo frainteso).
Resta però l'idea che ho tentato goffamente di esprimere contro la condizione di impossibilità di pensare l'autosoppressione del reale (in termini strettamente logici/filosofici). Se, semplificando, il reale è un'unica volontà di vivere di cui noi siamo parte e ne soffriamo, possiamo annullare il dolore annullando la volontà stessa, il che significa semplicemente rimuovere completamente il velo di maya e con esso la contraddizione colla rappresentazione (poichè è essa che porta alla sofferenza attraverso la delusione dei desideri). Insomma non vedo un ostacolo logico all'autosoppressione del reale se intendiamo per reale non tanto la volontà in sè ma la differenza fra volontà e rappresentazione, nella misura in cui senza qualcosa di irreale/illusorio non c'è neanche qualcosa di reale. Insomma il reale scompare quando scompare l'irreale, e così scompaiono dolore, libertà, desiderio, distinzioni, lotta, vita, morte... certo ontologicamente la cosa è un po' discutibile ma credo che Schopenhauer coll'ontologia non faccia mai tornare i conti.

Quello che soprattutto criticherei a Schopenhauer è la sua concezione del dolore e del desiderio frustrato come da eliminare che è sostanzialmente immotivata e porta alla peggior specie di nichilismo.
Credo che Nietzsche abbia cercato per metà della sua vita di criticarlo in ogni modo, soprattutto cogli scritti del "secondo periodo" fino a quando non lo ha veramente superato attraverso l'eterno ritorno e da allora non si è nemmeno più posto il problema di farlo.


Mi scuso se irrompo improvvisamente nella discussione senza dire la mia con completezza, ma penso che avete già esposto la questione meglio di come potrei fare. A Sgubonius volevo suggerire di provare a pensare quel rapporto tra rappresentazione e Volontà, che Joseph tanto bene illustrava, a partire dalla famosa distinzione Kantiana fenomeno/noumeno nella C.R.Pura. In effetti, se non erro, lo stesso Schopenhauer scrisse di avere individuato la "via d'accesso al noumeno kantiano" e da qui viene quell'interpretazione che tu, a mio avviso erroneamente, definisci ontologica. D'altronde nello stesso Kant la volontà è ciò che fà venire all'essere (lo so, non sono termini kantiani ma è per intendersi) e ben si comprende come in S. la soppressione dell'essere non possa che figurarsi come Non-Volontà. Nella parte finale della C.R.Pura, quando formula la famosa critica alla prova ontologica di Dio, Kant sottolinea come in realtà ciò che distingua un'idea pensata da un'idea pensata e reale è la presenza di un qualcosa ("inizio") che la renda reale. E un inizio che la renda reale non è pensabile se non attraverso una Volontà che lo vuole reale. Da qui tutta la problematica di come pensare un inizio libero, quindi una volontà libera e lo sfogo nell'etica. Ora, ammetto di aver divagato un po' dal nostro dialogo, ma è per richiamare il rapporto con Kant, che spesso viene tralasciato in virtù della presenza degli elementi orientali. In Kant quel monismo a cui Joseph faceva riferimento è ben evidente nonostante possa sembrare che il mondo si "sdoppi" in mondo fenomenico/noumeno e similmente è per Schopenhauer.


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Sgubonius
messagio Sep 27 2008, 11:14 PM
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CITAZIONE(AndreaF. @ Sep 27 2008, 10:19 PM) *
E un inizio che la renda reale non è pensabile se non attraverso una Volontà che lo vuole reale.


Cerco di muovermi in un filosofo che conosco pochissimo, quindi perdonate l'ambiguità...
Questo che tu dici radica nella Volontà l'ontologia e confuta molto bene quanto dicevo riguardo
alla difficoltà di collocare S. in questa categoria. Però ancora non vedo perchè non dovrebbe essere
possibile e logico (secondo la logica di Schopenhauer) un autoanullamento del reale. Insomma sarà
sbagliato secondo un punto di vista di superamento del nichilismo, ma assurdo o paradossale non sembra.

Qualcuno di recente aveva citato questo dalal Genealogia della Morale mi pare (uno scritto tardo quindi):
"L'uomo preferisce ancora volere il nulla piuttosto che non volere"
Qui l'idea è di una preferenza, non di una impossibilità del non volere.


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