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> James Joyce, quanto c'è di nietzschiano?
Sgubonius
messagio Jun 10 2009, 09:16 PM
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Per chi c'è, il tema sarebbe interessantissimo!

Iniziamo con una connessione storica: Joyce vive nell'epoca in qui nietzsche comincia a circolare fra gli intellettuali d'europa, leggo su internet che dovrebbe aver conosciuto già parte della sua filosofia nel 1902 (per intenderci l'ulisse è del 1914-1922 e finnegans' wake viene scritto dal 22 al 39, 35 anni per due libri!!) tramite Yeats, mentre tre anni dopo in un raccontino (A Painful Case) il protagonista ha sulla scrivania lo Zarathustra e la Gaia scienza. Sicuramente dunque lo ha letto e direi studiato, e credo anche che ne abbia condiviso i pensieri (in una lettera si firma curiosamente "Overman", superuomo). Un paio di riferimenti puramente "semantici" si trovano anche in Finnegans Wake ("...in the Nichtian glossary..." o "Der Rasche Ver Lasse Mitsch Nitscht" o ancora "nitshnykopfgoknob").

A parte queste note introduttive, interessante è andare a vedere come traspaiono effettivamente forme del pensiero nietzschiano in Joyce. Fin dai primi scritti mi pare che l'idea dell'epifania che sottrae i personaggi dalla paralisi morale di dublino sia enormemente in linea con tutto il discorso di nietzsche sulla genealogia della morale, in entrambi i casi c'è un energia vitale intrappolata in cerimoniali e inibizioni per lo più derivanti dall'etica cristiana/cattolica. Penso soprattutto a "i morti", ultimo racconto dei "Dubliners" dal titolo già eloquente (i morti sono i viventi!) in cui l'attimo straordinario (quello famoso di cui Nietzsche parla nella gaia scienza in merito all'eterno ritorno in qualche modo) emerge grazie ad una canzone che riporta al sacrificio passato di un amante per amore. Eccoi n questo attimo dionisiaco si scatena una forza immaginativa e poetica, l'unica vivente, che è la medesima di cui nietzsche parla in tanti scritti.
Se passiamo poi all'Ulisse (passando attraverso il Dedalus che non ho letto), troviamo dei riferimenti diretti nell'episodio di Telemaco e nel personaggio di Buck Mulligan, prima usa la parola "hyperborean", tipico uso nietzschiano per indicare (noi iperborei..) il superuomo e affini, poi va direttamente per "Ubermensch" e "supermen" arrivando infine ad un inequivocabile "Thus spake Zarathustra". Mulligan è un personaggio secondario, che compare solo all'inizio come contraltare dell'ater-ego Dedalus, e per lo più i riferimenti poi diventano concettuali anzichè diretti, anche perchè per lo più il libro si concentra su Bloom che è tutto fuorchè un superuomo!! Bloom è un ebreo, ora, andando oltre l'uso nazista della cosa, sappiamo che nietzche riconosce in questa razza l'origine della morale (ebraismo) e del risentimento, e in effetti Bloom appare proprio come un risentito che ributta tutto dentro di sè, non agisce pressochè mai, subisce e rimugina. La moglie lo tradisce e lascia fare, poi quando è lui a "tradirla" è preso da rimorsi, un nazionalista lo insulta e lui riesce solo a rispondergli verbalmente prima di fuggire, senza tirare in ballo il padre suicida (il dio padre?) e via dicendo. Dell'ebraismo (come campo semantico si intende, non si fa del razzismo!) Bloom porta con sè in qualche modo il sistema di valori, cioè quella relazione debitore-creditore su cui nietzsche ha con sagacia fondato tutta la morale del senso di colpa e del dovere, è rinomato d'altronde che gli ebrei sono commercianti e anche bloom lo è praticamente (quando cerca i soldi per l'annuncio ecc), che rimanda anche a tutta la questione del capitalismo e della schizofrenia (o più banalmente al sadomasochismo dei rapporti di potere) caro a tanti autori (due per tutti: Pasolini e Deleuze).
All'opposto c'è il mito greco, ovviamente rappresentato dalla base omerica (ulisse, l'astuzia, declinazione attiva della passività del rimuginatore) e da figure come quelle di Mulligan, se vogliamo usare altre parole nietzschiane è una sfida fra apollineo (ebraismo/cristianesimo/morale/commercio) e dionisaco (ellenismo/arte). Una immersione nel dionisiaco in particolare è il lungo capitolo di Circe, del bordello, dove succede di tutto e in qualche modo si svolge un passaggio fondamentale verso il "divenire ulisse" di bloom, dopo questo culmine del viaggio resta solo in nostos, il ritorno a casa, e la chiusura della giornata col monologo "della rassegnazione" della moglie che si conclude in un reiterarsi di affermazioni: "yes", sorta di Amor Fati del ritorno/nostos, dell'eterno ritorno.
Insomma tirando un po' di fila e senza farla lunga, è un percorso, un percorso tanto giornaliero e ordinario quanto straordinario, che si allude si ripete ogni giorno, ogni anno, ogni vita. Lo stesso Joyce ha infatti anche fatto circolare delle tabelle in cui ogni capitolo rimanda ad un organo, una disciplina, un colore, uno stile. E qui viene forse la parte più interessante, che è anche il trait d'union con il successivo Finnegans' Wake. L'intero libro infatti si presenta mi pare come un corpo, un vivente, un corpo ancora con degli organi (i capitoli, la sintassi), emerge quindi al di sopra dei personaggi, delle storielle, dei contenuti, delle filosofie, un vero e proprio mondo organico, e una realtà pre-individuale di forze, carne e pensieri, conscio e inconscio. Quello che conta è il processo, il viaggio, la vita come "macchina desiderante", come caosmos dionisiaco.

Da qui a Finnegans' Wake il passo è breve, c'è solo da sciogliere ulteriormente nel destrutturato inconscio e carnale, della sensazione, la storiella. Fondamentale diventa allora il significante, più che il significato che manca sempre, è sempre "mancante" e fa pesare la sua assenza che è in verità una ridondanza, un eccesso: di significati ce nè in verità troppi, ogni significante (parola, serie di parole) rimanda ad un proliferare di interpretazioni e di rimandi semantici, dove viene a mancare proprio il "rapporto di potere" che li domini, anche sintattico, della lingua, non c'è più frase col suo verbo, soggetto, predicati, non c'è più personaggio con la sua personalità, mancano le appartenenze, manca ogni potere di possesso nel senso più vasto del problema. E' un'anarchia incoronata e un nomadismo delle singolarità preindividuali (delle parole-eventi prima della loro designazione strutturale) quale lo ha tratteggiato Gilles Deleuze in tanti saggi, una filosofia del divenire più puro, insensato, mai uguale a se stesso o ad altro (idea/modello). Ora sì siamo al corpo senza organi, al libro senza capitoli, immanenza totale dove non c'è barlume di apollineo, di forma possibile. Ma non è nemmeno il caso brutale, l'irrazionale romantico o schopenhaueriano, è invece un microcosmo caotico e diveniente, di intensità differenziali distribuite in maniere sempre cangiante. Nell'ulisse questo era già presagito nell'ultimo capitolo, che nello schema rappresenta "il grasso" (come non pensare a Bacon, alla carne che si libera dalla struttura scheletrica e dalla sua funzione fisiologica), nello stile è un monologo unico senza punteggiatura. Rimane la possibilità solo artistica di cogliere la Differenza che è alla base di ogni caosmo come distribuzione di singolarità a partire da un "problematico" e quindi di ogni funzione vitale (e di ogni organo differenziato e differenziante), come Joyce ha fatto con questa lingua tutta sfumature a sensi multipli, dove ogni parola riafferma la differenza delle possibili interpretazioni, senza chiudere mai la porta ai pretendenti proci per validare solo l'unico vero pretendente ulisse, riaffermando la mancanza come intensità e sorgente del problema e quindi riaffermando la vita come processo del puro divenire.

Ecco penso che qui Joyce traduca il miglior nietzsche, che non è quello della genealogia della morale, dell'anticristo troppo umano, delle invettive contro il debole e del filosofare a martellate, ma del nietzsche dei ditirambi di dioniso e dello zarathustra, il nietzsche che si è depurato di tutta l'infatuazione illuminista e si è fatto veramente oltre il moderno: postumo. L'eterno ritorno e la volontà di potenza sono qui espressi nella loro essenza più cristallina e attiva, veramente al di là del bene e del male, come metafore di un mondo della ripetizione e della differenza.
Ho finito!


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"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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