Dediche a Nietzsche |
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Dediche a Nietzsche |
Feb 10 2008, 07:05 PM
Messaggio
#1
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Old Member Gruppo: Members Messaggi: 128 Iscritto il: 21-November 07 Utente Nr.: 588 |
Qualsiasi pensiero (poesia, frase e altro) vogliamo condere al maggiore pensatore:
Nietzsche stanco del vasto antico detto, alla panchina pose fra fulve fanciulle celesti un novo respiro all'etterno. -------------------- I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
At nihilominus sentimus experimurque, nos aeternos esse. |
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Jun 20 2009, 03:34 PM
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#2
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Über Member Gruppo: Members Messaggi: 754 Iscritto il: 15-May 08 Utente Nr.: 2,728 |
Forse ho letto Lautreamont in un periodo di scarsa ispirazione e troppo di fretta, per cui magari tenterò di ridargli una passata quando avrò più affinità ad un certo stile che come ti dicevo mi è sembrato troppo espressionista, troppo vivo e forzatamente ripugnante e orrido (il francese si presta molto d'altronde). A me è arrivato dai canti di maldoror per lo più un grido disperato, d'orrore baconiano, più che una lucida fuoriuscita dal proprio mondo, ecco direi che è proprio la lucidità (insieme alla complessità, dato che solo la lucidità permette di com-plicare in uno tanti concetti e pennellate poetiche) che manca un po' nel delirio dei canti.
Riguardo la poesia in toto (proprio ieri ho cominciato a leggere La Scrittura e la Differenza di Derrida, in cui ho ritrovato ancora questo genere di considerazioni che condivido molto e curiosamente col tempismo giusto per questo topic) sicuramente qui siamo nel campo dell'interpretazione del pensiero di Nietzsche, e infatti è per questo che mi preme molto questo topic da cui prendo spunto, molto più che per la disquisizione estetica (pur interessante) su Leopardi o Lautreamont. Mi pare che esista un modo di leggere Nietzsche, probabilmente il più diffuso, che porta sostanzialmente al trionfo dell'arte, d'altronde si ritrova questo negli scritti suoi, e all'idea di artista come tipo superiore di uomo, portando così tutto il pensiero nietzschiano nell'ambito del dominio del reale, attraverso il gioco creativo (anche questo indubbiamente c'è). Heidegger secondo me è stato il più cristallino lettore di Nietzsche in questo senso, e nel suo saggio dedicato ripercorre proprio questa strada. Eppure c'è un lato "oscuro" che non considera, che è quello che traspare da brani come il "dei poeti", o altre professioni come dicevi giustamente tu di totale sfiducia nelle capacità intellettive (prettamente kantiane, tanto che Heidegger trascurando questo residuato totalmente dionisiaco riesce a ricondurre Nietzsche ai Cartesio, ai Kant, ai Leibniz, ai totalizzatori del dominio sull'ente). Per questo diventa fondamentale il discorso sull'eterno ritorno e sul tempo. Da una parte l'eterno ritorno come "imprimere al divenire il carattere dell'essere", cioè come chiusura delle possibilità (nel cerchio i casi sono un certo numero e si ripetono) e quindi possibilità di dominio del presente sugli altri tempi (soprattutto quello potenziale per eccellenza: il futuro). Dall'altro un eterno ritorno più sottile, quello di una ruota che gira, ma che girando si sposta (come tutte le ruote!), cosicchè a ritornare non sia l'uguale ma la Differenza (differance ecc...), in cui quindi a ritornare sia davvero un puro divenire, e il tempo si sfilacci fino a perdere spessore, lo spessore del presente. Ogni desiderio d'eternità rischia di essere metafisico e puramente possessivo (del possesso gnoseologico che il soggetto attua sull'oggetto), così ogni poesia che non ecceda se stessa sarà soltanto un abbellimento domestico della vita, un rafforzamento, un rendere eterno, ma non esiste tale possesso che sopravviva all'istinto di morte che Freud (da Schopenhauer) ha benissimo evidenziato e che Nietzsche aveva vissuto in prima persona, dove ogni possesso risulta in un nulla, ogni presente in un istante senza spessore e ogni azione in un fallimento. "Noi non ci apparteniamo" dice una bella poesia troppo moderna, perchè in prima istanza non siamo "noi stessi medesimi" (nè identità nè ipseità) e perciò non possiamo poetare ed essere autori di un bel niente in un tempo che ci sfuggirà sempre dalle mani, mai presente, sempre potenziale (diveniente-futuro-passato), cioè della volontà di potenza (che non è più il dominio, al contrario è il differire, la différance). Deve cadere la vanità del pavone, e prima di essa la soggettività stessa che ne è legata a doppio filo, l'io lirico soprattutto. Nel "dei poeti" nietzsche scimmiotta il Faust di Goethe, non è un caso. E' proprio dalla malattia del faust che bisogna guarire (cioè in parole molto povere del voler eternizzare questo misero soggetto che non siamo). Certo è una pedanteria, anche terribile, ma trovo troppo spesso (non penso che sia il tuo caso da quello che ho potuto leggere, ma è il caso di moltissimi altri lettori di nietzsche, io stesso per molto tempo) questa lettura di Nietzsche entusiasmante e energica ma in definitiva non completa, dove non si affrontano veramente le questioni più terribili dell'eterno ritorno, non si va davvero a fondo del nichilismo insomma (e così non lo si supera, d'altronde su questo Heidegger è molto coerente facendo seguire a tale interpretazione l'ineluttabile conseguenza). Aggiunta: mi sono imbattutto proprio ora in una nota del testo di Derrida, in uno dei saggi su Artaud, in cui fa proprio riferimento a Nietzsche e al "Dei Poeti" per mostrare la precursione nel filosofo tedesco dell'idea di arte-senza-opera e di morte dello spettacolo in quanto rappresentazione. -------------------- "Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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Jun 21 2009, 03:25 PM
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#3
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Old Member Gruppo: Members Messaggi: 128 Iscritto il: 21-November 07 Utente Nr.: 588 |
Forse ho letto Lautreamont in un periodo di scarsa ispirazione e troppo di fretta, per cui magari tenterò di ridargli una passata quando avrò più affinità ad un certo stile che come ti dicevo mi è sembrato troppo espressionista, troppo vivo e forzatamente ripugnante e orrido (il francese si presta molto d'altronde). A me è arrivato dai canti di maldoror per lo più un grido disperato, d'orrore baconiano, più che una lucida fuoriuscita dal proprio mondo, ecco direi che è proprio la lucidità (insieme alla complessità, dato che solo la lucidità permette di com-plicare in uno tanti concetti e pennellate poetiche) che manca un po' nel delirio dei canti. Riguardo la poesia in toto (proprio ieri ho cominciato a leggere La Scrittura e la Differenza di Derrida, in cui ho ritrovato ancora questo genere di considerazioni che condivido molto e curiosamente col tempismo giusto per questo topic) sicuramente qui siamo nel campo dell'interpretazione del pensiero di Nietzsche, e infatti è per questo che mi preme molto questo topic da cui prendo spunto, molto più che per la disquisizione estetica (pur interessante) su Leopardi o Lautreamont. Mi pare che esista un modo di leggere Nietzsche, probabilmente il più diffuso, che porta sostanzialmente al trionfo dell'arte, d'altronde si ritrova questo negli scritti suoi, e all'idea di artista come tipo superiore di uomo, portando così tutto il pensiero nietzschiano nell'ambito del dominio del reale, attraverso il gioco creativo (anche questo indubbiamente c'è). Heidegger secondo me è stato il più cristallino lettore di Nietzsche in questo senso, e nel suo saggio dedicato ripercorre proprio questa strada. Eppure c'è un lato "oscuro" che non considera, che è quello che traspare da brani come il "dei poeti", o altre professioni come dicevi giustamente tu di totale sfiducia nelle capacità intellettive (prettamente kantiane, tanto che Heidegger trascurando questo residuato totalmente dionisiaco riesce a ricondurre Nietzsche ai Cartesio, ai Kant, ai Leibniz, ai totalizzatori del dominio sull'ente). Per questo diventa fondamentale il discorso sull'eterno ritorno e sul tempo. Da una parte l'eterno ritorno come "imprimere al divenire il carattere dell'essere", cioè come chiusura delle possibilità (nel cerchio i casi sono un certo numero e si ripetono) e quindi possibilità di dominio del presente sugli altri tempi (soprattutto quello potenziale per eccellenza: il futuro). Dall'altro un eterno ritorno più sottile, quello di una ruota che gira, ma che girando si sposta (come tutte le ruote!), cosicchè a ritornare non sia l'uguale ma la Differenza (differance ecc...), in cui quindi a ritornare sia davvero un puro divenire, e il tempo si sfilacci fino a perdere spessore, lo spessore del presente. Ogni desiderio d'eternità rischia di essere metafisico e puramente possessivo (del possesso gnoseologico che il soggetto attua sull'oggetto), così ogni poesia che non ecceda se stessa sarà soltanto un abbellimento domestico della vita, un rafforzamento, un rendere eterno, ma non esiste tale possesso che sopravviva all'istinto di morte che Freud (da Schopenhauer) ha benissimo evidenziato e che Nietzsche aveva vissuto in prima persona, dove ogni possesso risulta in un nulla, ogni presente in un istante senza spessore e ogni azione in un fallimento. "Noi non ci apparteniamo" dice una bella poesia troppo moderna, perchè in prima istanza non siamo "noi stessi medesimi" (nè identità nè ipseità) e perciò non possiamo poetare ed essere autori di un bel niente in un tempo che ci sfuggirà sempre dalle mani, mai presente, sempre potenziale (diveniente-futuro-passato), cioè della volontà di potenza (che non è più il dominio, al contrario è il differire, la différance). Deve cadere la vanità del pavone, e prima di essa la soggettività stessa che ne è legata a doppio filo, l'io lirico soprattutto. Nel "dei poeti" nietzsche scimmiotta il Faust di Goethe, non è un caso. E' proprio dalla malattia del faust che bisogna guarire (cioè in parole molto povere del voler eternizzare questo misero soggetto che non siamo). Certo è una pedanteria, anche terribile, ma trovo troppo spesso (non penso che sia il tuo caso da quello che ho potuto leggere, ma è il caso di moltissimi altri lettori di nietzsche, io stesso per molto tempo) questa lettura di Nietzsche entusiasmante e energica ma in definitiva non completa, dove non si affrontano veramente le questioni più terribili dell'eterno ritorno, non si va davvero a fondo del nichilismo insomma (e così non lo si supera, d'altronde su questo Heidegger è molto coerente facendo seguire a tale interpretazione l'ineluttabile conseguenza). Aggiunta: mi sono imbattutto proprio ora in una nota del testo di Derrida, in uno dei saggi su Artaud, in cui fa proprio riferimento a Nietzsche e al "Dei Poeti" per mostrare la precursione nel filosofo tedesco dell'idea di arte-senza-opera e di morte dello spettacolo in quanto rappresentazione. Quest'idea che una ruota muovendosi si sposta, in qualche modo, è particolarissima però Nietzsche esprime proprio la forza dell'uguale, non già della somiglianza. L'idea della ruota temporale mi fa venire in mente la critica di Godel ad Einstein riguardo al tempo che sarebbe una pura idealità, non so se conosci... in pratica si sostiene che potendo tornare 'indietro' ne tempo, perché esso si muove come se avesse un punto, come una ruota, il tempo-non-passa, dunque veramente non esiste o meglio esiste solo come idealità... per altro l'argomento è molto interessante, ma questo periodo sto rileggendo il Tractatus. Prometto che appena ho tempo riprenderò 'seriamente' Nietzsche. Una curiosità però me la devi levare: l'eterno ritorno lo senti come fatto 'personale' o come argomento speculativo? -------------------- I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
At nihilominus sentimus experimurque, nos aeternos esse. |
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Jun 21 2009, 05:26 PM
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#4
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Über Member Gruppo: Members Messaggi: 754 Iscritto il: 15-May 08 Utente Nr.: 2,728 |
per altro l'argomento è molto interessante, ma questo periodo sto rileggendo il Tractatus. Prometto che appena ho tempo riprenderò 'seriamente' Nietzsche. Una curiosità però me la devi levare: l'eterno ritorno lo senti come fatto 'personale' o come argomento speculativo? Il tempo è indubbiamente ideale, meglio ancora bisognerebbe dire trascendentale, se poi vogliamo andare oltre si potrebbe inserirlo in un ottica ulteriormente complessa (da Bergson ad Heidegger) e renderlo esistenziale e storico in un senso tutto nuovo. L'eterno ritorno diventa egualmente un fatto contemporaneamente personale (esistenziale) quanto speculativo (esistenziale ancora nella misura in cui ci dice "come si struttura l'esistente"). E' a tutti gli effetti un meccanismo selettivo, come si dice nella Gaia Scienza, che fa tornare soltanto ciò che danza, cioè ciò che è sempre spostantesi, sempre s-catenato, libero dal sistema dell'uguale. Per questo trovo arduo leggere Nietzsche coerentemente coll'ottica dell'eterno (ritorno dell') uguale, perchè in tal caso sarebbe solo una riedizione di Hegel e indietro fino a Platone. La ruota e la danza sono quindi affini, e non possono essere "sur place", altrimenti sarebbe un falso movimento del tutto identico a quello dialettico (vado nella differenza/alterità ma poi torno a me stesso medesimo, spirito assoluto, totalità). Il problema è che in Nietzsche è tutto molto ambiguo, tanto si legge che l'essere si deve imprimere sul divenire, quanto si legge che l'uomo deve tramontare. Per questo sono molto interessato alla questione, perchè in qualche modo è in sospeso (anche se i maggiori studiosi di nietzsche nel 900 tendono a propendere per una interpretazione "della differenza"). -------------------- "Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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Dec 2 2009, 01:37 AM
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#5
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Il tempo è indubbiamente ideale, meglio ancora bisognerebbe dire trascendentale, se poi vogliamo andare oltre si potrebbe inserirlo in un ottica ulteriormente complessa (da Bergson ad Heidegger) e renderlo esistenziale e storico in un senso tutto nuovo. L'eterno ritorno diventa egualmente un fatto contemporaneamente personale (esistenziale) quanto speculativo (esistenziale ancora nella misura in cui ci dice "come si struttura l'esistente"). E' a tutti gli effetti un meccanismo selettivo, come si dice nella Gaia Scienza, che fa tornare soltanto ciò che danza, cioè ciò che è sempre spostantesi, sempre s-catenato, libero dal sistema dell'uguale. Per questo trovo arduo leggere Nietzsche coerentemente coll'ottica dell'eterno (ritorno dell') uguale, perchè in tal caso sarebbe solo una riedizione di Hegel e indietro fino a Platone. La ruota e la danza sono quindi affini, e non possono essere "sur place", altrimenti sarebbe un falso movimento del tutto identico a quello dialettico (vado nella differenza/alterità ma poi torno a me stesso medesimo, spirito assoluto, totalità). Il problema è che in Nietzsche è tutto molto ambiguo, tanto si legge che l'essere si deve imprimere sul divenire, quanto si legge che l'uomo deve tramontare. Per questo sono molto interessato alla questione, perchè in qualche modo è in sospeso (anche se i maggiori studiosi di nietzsche nel 900 tendono a propendere per una interpretazione "della differenza"). Non a caso si definiva 'il primo filosofo tragico'. ritornardo a Lautréamont, come fai a dire che qui non vi sono pensieri: I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo. (Wittgenstein) "Scendendo dal grande al piccolo, ogni uomo vive come un selvaggio nella sua tana, e ne esce di rado per visitare il suo simile, del pari accosciato in un'altra tana. La grande famiglia universale degli uomini è un’utopia degna della logica più mediocre." contro Feuberbach... "Ahimé! Che sono dunque il bene e il male! Non forse la stessa cosa, attraverso la quale attestiamo con rabbia la nostra impotenza, e la brama di raggiungere l’infinito attraverso anche i mezzi più insensati? Oppure son due cose differenti? Sì… che si tratti piuttosto di una medesima cosa… altrimenti, che sarà di me nel giorno del giudizio." l'idea che bene e male possano essere solo mezzi per esprimere altro... "Si scrutano l'un l'altro, mentre l'angelo sale verso le altezze serene del bene, e lui, Maldoror, scende invece verso gli abissi vertiginosi del male... Che sguardo! Tutto ciò che l'umanità ha pensato da sessanta secoli, e ciò che ancora penserà nei secoli successivi, potrebbe agevolmente esservi contenuto, tante furono le cose che si dissero in quel supremo addio! Ma si trattava, è evidente, di pensieri più elevati di quelli che scaturiscono dall'intelligenza umana; innanzitutto a causa dei due personaggi, e poi della circostanza. Quello sguardo li unì in un'amicizia eterna." "Il tuo ragionamento si fonda su questa considerazione, che soltanto una divinità di una potenza estrema può mostrare tanto disprezzo verso i fedeli che obbediscono alla sua religione." che dio 'deve' esistere perché, invece che come Hegel è il garante della giustizia, è qui il garante dell'indifferenza... -------------------- I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
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