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> Nietzsche e l'esistenzialismo
Sgubonius
messagio Sep 24 2008, 06:57 PM
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Non pago apro un altro ambito di discussione che è peraltro uno dei classici che vengono fatti in relazione a Friedrich.
Non servono introduzioni, non serve specificare un indirizzo, mi interessa soprattutto (visto che subisco il fascino di entrambe le cose) sapere da voi cosa si può spizzicare e condire magari insieme, e cosa invece è assolutamente incompatibile.

Inizio io con un breve riassunto di quanto dice Heidegger (che proprio esistenzialista non è, ma la direzione è quella) riguardo al celeberrimo passo "la visione e l'enigma". L'eterno ritorno dell'uguale che viene qui presentato in tutta la sua dirompenza viene infatti visto non da un punto qualsiasi della catena ma dalla "porta dell'attimo", dove in qualche modo l'uomo è gettato e deve decidere, e ciò che decide sarà per sempre (anche la metafora dell'anello nuziale). Certamente questa responsabilità somma (pure nell'ambito di un destino, di questa ambivalenza avevamo già parlato riguardo al libero arbitrio) ricollega Nietzsche alle questioni che l'esistenzialismo più tardi si porrà. La risposta affermativa al demone dell'eterno ritorno (<<Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso. Per cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un Dio, e mai intesi cosa più divina”>>) non può essere anche una risposta ai grandi dubbi di Sartre e Camus?


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"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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Joseph de Sil...
messagio May 8 2009, 09:21 PM
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"Capolavoro" è un termine che ricorre più volte negli scritti nietzscheani, spesso in riferimento a questioni di estetica (in particolare di musica). Il senso più vicino a quello cui fa riferimento Arsenio, inerente cioè un modo di essere o di sentirsi dell'uomo, è presente - anche qui tuttavia in analogia con la musica - in apertura de "Il caso Wagner". Qui, a proposito della Carmen di Bizet, che definisce un "capolavoro", Nietzsche infatti scrive: "Come rende perfetti una tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un 'capolavoro' " (WA I, in OFN, vol. VI, t. III, p. 7)
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BlackSmith
messagio May 9 2009, 07:25 AM
Messaggio #3


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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ May 8 2009, 10:21 PM) *
"Capolavoro" è un termine che ricorre più volte negli scritti nietzscheani, spesso in riferimento a questioni di estetica (in particolare di musica). Il senso più vicino a quello cui fa riferimento Arsenio, inerente cioè un modo di essere o di sentirsi dell'uomo, è presente - anche qui tuttavia in analogia con la musica - in apertura de "Il caso Wagner". Qui, a proposito della Carmen di Bizet, che definisce un "capolavoro", Nietzsche infatti scrive: "Come rende perfetti una tale opera! Nell'udirla si diventa noi stessi un 'capolavoro' " (WA I, in OFN, vol. VI, t. III, p. 7)


Certo, certo!
Credo cmq che per spiegare quel concetto, bisogna partire dal pensiero post-schopenaureiano di Nietzsche.
Non più, perciò, contemplazione dell'opera d'arte, ma opera d'arte stessa. In buona sostanza una filosofia della sofferenza e del fare e non della sola sofferenza e dell'osservare.
Una vita vissuta come un romanzo. Dove l'autore di un racconto fantastico è il protagonista stesso.
Tutti quelli che insomma hanno fatto della propria vita un'opera d'arte, un capolavoro, grande o piccola che sia, nel bene o nel male.
Una tematica assai rischiosa, ma se dobbiamo dirLa tutta, quello che voleva dire Nietzsche è proprio questo.
Nietzsche non ha soltanto scritto dei capolavori, ma egli stesso, è stato un capolavoro. Zarathusta e Nietzsche insieme sono stati un capolavoro. Dostojevski e Raskolnikov, insieme sono stati un capolavoro, Pollock e le sue gocciolature insieme, Mozart e il suo requiem insieme sono un capolavoro, Einstein e la relatività insieme, etc. etc...
Potremmo citare poi dittatori e statisti, ma qui sorvoliamo.
Una completa fusione tra l'uomo e la sua produzione artistica.


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Agli uomini dei quali mi importa qualcosa io auguro sofferenze, abbandono, malattie, maltrattamenti, disprezzo..., io desidero che non restino loro sconosciuti il profondo disprezzo di sé, il martirio della diffidenza di sé, la miseria del vinto
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Sgubonius
messagio May 9 2009, 02:36 PM
Messaggio #4


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CITAZIONE(BlackSmith @ May 9 2009, 08:25 AM) *
Certo, certo!
Credo cmq che per spiegare quel concetto, bisogna partire dal pensiero post-schopenaureiano di Nietzsche.
Non più, perciò, contemplazione dell'opera d'arte, ma opera d'arte stessa. In buona sostanza una filosofia della sofferenza e del fare e non della sola sofferenza e dell'osservare.
Una vita vissuta come un romanzo. Dove l'autore di un racconto fantastico è il protagonista stesso.
Tutti quelli che insomma hanno fatto della propria vita un'opera d'arte, un capolavoro, grande o piccola che sia, nel bene o nel male.
Una tematica assai rischiosa, ma se dobbiamo dirLa tutta, quello che voleva dire Nietzsche è proprio questo.
Nietzsche non ha soltanto scritto dei capolavori, ma egli stesso, è stato un capolavoro. Zarathusta e Nietzsche insieme sono stati un capolavoro. Dostojevski e Raskolnikov, insieme sono stati un capolavoro, Pollock e le sue gocciolature insieme, Mozart e il suo requiem insieme sono un capolavoro, Einstein e la relatività insieme, etc. etc...
Potremmo citare poi dittatori e statisti, ma qui sorvoliamo.
Una completa fusione tra l'uomo e la sua produzione artistica.


Questo è in sostanza quanto sostiene Sartre ne "la Nausea", riprendendo proprio l'idea del "raccontarsi" che in Nietzsche ritrovi in Ecce Homo se vuoi. Non sarei però d'accordo però sulla filosofia "del fare", avevamo discusso sempre nell'ambito dell'apollineo nel tardo Nietzsche di come scompaia del tutto il dualismo alla base di ogni metafisica. Fra osservare e fare non c'è differenza, nessuno è padrone/responsabile delle proprie azioni (e nemmeno dei propri pensieri, si veda il celebre "Es denkt..."). In questo quadro di nichilismo compiuto si pone il "diventa ciò che sei" del capolavoro.
Da questo punto di vista, Holderlin e Nietzsche possono esser stati "capolavori" più nella loro follia che nel loro periodo di massima produzione artistica. L'opera è solo una mollica lasciata che chi è in cammino può utilizzare come segnavia. Ma oltre certi limiti non c'è opera/segnavia che possa condurre, dove l'arte eccede se stessa si può essere solo nella settima solitudine.


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