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> "Cosi' parlo' Zarathustra" di Friedrich Nietzsche
rasema74
messagio Mar 28 2007, 03:52 PM
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Questa volta facciamo le cose per bene eh?
Allora, perche' Federico scelse questo titolo?
O meglio, perche' non poteva esserci altro titolo?

Mi ricorda un po' i Vangeli, un po' Platone-Socrate, Omero...
C'e' qualcuno che parla e altri che ascoltano e tra
questi qualcuno che, a un certo punto, comincia a scrivere.
Ma Federico non conobbe di persona Zarathustra,
come avrebbe potuto?

Idea:
E se Nietzsche avesse scritto in uno stato di ispirazione tale
da avere l'impressione che, come dire, qualcuno gli stesse
parlando? Non sarebbe certo il primo nella storia... anche Maometto
scrisse il Corano come parola di Dio, anche se solo dopo alcuni anni
dal momento della rivelazione...

Quindi:
Gesu' >>Matteo, Marco, Luca, Giovanni...>>Vangeli
Allah >>Maometto >>Corano
Zarathustra >>Nietzsche >>Cosi' parlo' Zarathustra

Che ne pensate?
Non vedete una certa convergenza?
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Sgubonius
messagio Jan 25 2009, 02:35 PM
Messaggio #2


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Penso che in Deleuze la ripetizione come eterno ritorno sia pensata in maniera ancor più radicale e come componente fondamentale dell'esistenza (anzi in Heidegger l'eterno ritorno è proprio definizione stessa di existentia mentre la VdP è l'essentia che in D. è invece la differenza), per cui non è tanto l'idea che ritornino solo alcune cose, quando più che ritorni come ripetizione creativa solo il differente e che di conseguenza l'ipotetico superuomo deve essere in grado di "fare la differenza". La questione si lega indissolubilmente col concetto di tempo che da chrònos passa ad aiòn, tempo puro, e con la dissoluzione del sistema platonico morale di uguaglianza e somiglianza e quindi di ripetizione dell'uguale in copie.

In questo senso certamente lo Zarathustra è infinitamente greco e dionisiaco, vicino forse ad un solo filosofo del passato, Eraclito, che aveva liberato il Tempo dal bene e dal male («Aion è un bambino che gioca a dadi») e che aveva visto la sostanza come un fuoco, un calderone in ebollizione, il fuoco infatti è sempre vivo, in continuo movimento, e in ogni momento diverso dal momento precedente, ma allo stesso tempo sempre uguale a se stesso. Credo quindi che di scientifico in senso stretto ci sia poco.


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"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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roberto.borghesi
messagio Jan 25 2009, 11:06 PM
Messaggio #3


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jan 25 2009, 02:35 PM) *
Penso che in Deleuze la ripetizione come eterno ritorno sia pensata in maniera ancor più radicale e come componente fondamentale dell'esistenza (anzi in Heidegger l'eterno ritorno è proprio definizione stessa di existentia mentre la VdP è l'essentia che in D. è invece la differenza), per cui non è tanto l'idea che ritornino solo alcune cose, quando più che ritorni come ripetizione creativa solo il differente e che di conseguenza l'ipotetico superuomo deve essere in grado di "fare la differenza". La questione si lega indissolubilmente col concetto di tempo che da chrònos passa ad aiòn, tempo puro, e con la dissoluzione del sistema platonico morale di uguaglianza e somiglianza e quindi di ripetizione dell'uguale in copie.

In questo senso certamente lo Zarathustra è infinitamente greco e dionisiaco, vicino forse ad un solo filosofo del passato, Eraclito, che aveva liberato il Tempo dal bene e dal male («Aion è un bambino che gioca a dadi») e che aveva visto la sostanza come un fuoco, un calderone in ebollizione, il fuoco infatti è sempre vivo, in continuo movimento, e in ogni momento diverso dal momento precedente, ma allo stesso tempo sempre uguale a se stesso. Credo quindi che di scientifico in senso stretto ci sia poco.



"eterno ritorno delle medesime cose" significa che nel ritorno, nella ripetizione, non c'è nessuna differenza, ma non significa che a ritornare non siano le differenze. e non è un gioco di parole. resta valido, tuttavia, il fatto che a ritornare sia, sempre, il tutto; il grande e il piccolo, per semplificare. è questo il terribile dell'"amor fati". ma che "uno" si ripeta "grande" o "piccolo", dipende dall'ora in cui è. il presente è il punto della ripetizione, ma non per questo esso va accolto passivamente, acriticamente, come il migliore dei mondi possibili. proprio la consapevolezza della ripetizione identica deve spingere, ora, a una tensione verso un mondo il migliore possibile. dire sì al presente, non vuole dire sì ad esso così come è. nietzsche ha dato l'esempio, con la sua vita, di essere un "contestatore" del suo presente, nonostante avesse intuito questo pensiero. se si legge attentamente il nietzsche di heidegger si legge con chiarezza come è su questo punto che egli fraintese completamente nietzsche proprio lì dove lo sfiorò maggiormente; sul senso del presente. per lui il presente non andò la di là del nazionalsocialismo, anzi egli lo "eternizza":"una risposta- grosso modo è quella di parmenide-dice:l'ente è...........anche per nietzsche, che cosa signifcano "è" ed "essere": stabilità e presenza, eterno presente" (nietzsche, adelphi, milano, 1994, pg 386).(mi baso sulla traduzione). la parola chiave è per me "stabilità". consierare il presente come immobile, come stabile, significa negare la possibilità di un suo cambiamento, significa abbandonarsi allo status quo, addirittura considerare il presente coem eterno- il reich millenario-. è come se noi oggi volessimo considerare eterno berlusconi! Ma, tutto ritorna, per fortuna anche il riso e la gioia e anche noi qui a pensare con nietzsche. salute.
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