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> determinismo caotico quantistico
adopoeta
messagio Jul 3 2010, 01:06 AM
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"Bisogna avere il caos dentro di sè per generare una stella danzante..."
"causa ed effetto sono mere interpretazioni (non fatti)"
Le critiche di Nietzsche alla causalità e al determinismo di Laplace, nonché l'illuminante ed ispirata celebre frase sul caos e la stella danzante, ben si conciliano con la nuova scuola di pensiero del determinismo caotico quantistico.
Per saperne di più:
http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/...quantistica.php
Per gli attenti conoscitori del Nietzsche - pensiero la domanda è quindi questa:
che cosa avrebbe detto Nietzsche a proposito del determinismo caotico-quantistico?
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Sgubonius
messagio Jul 26 2010, 04:48 PM
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Infatti è innegabile che Nietzsche parta da un'idea di mondo caotico.

Quello che mi sembra differente è l'arrivo e l'intenzione: cosa si vuole tirare fuori da questo caos (che di per sé è una parola abbastanza ambigua!). Nietzsche arriva sicuramente anche lui ad una armonizzazione (l'eterno ritorno), perché è inevitabile (il nichilismo è inevitabile, la tecnica è inevitabile, il linguaggio è inevitabile), ma, ben conscio di queste necessità, piega il residuo apollineo il più possibile al servizio del dionisiaco (che è il caos di partenza). Alla fine, banalizzando, il meglio che trova è l'amor fati: una accettazione (che non è lo J-A dell'asino tuttavia) di questo dionisismo.
Una teoria del caos, proprio per come si imposta, senza guardare i dettagli, fa invece l'opposto, arriva (è sempre inevitabile) ad una armonizzazione, che però è tutt'altro che ripiegata sul proprio caos, ma lo neutralizza a tutti i costi, lo prende come nuova base (in verità il meccanismo è la negazione antitetica della base tetica precedente: il solito cogito) solo per estendere (dialetticamente) il dominio anche su di esso.

In Nietzsche il caos non è solo complessità, è piuttosto la disarmonia prestabilita, l'impossibilità della potenza a raggiungere uno stato fisso di quiete autoconoscitiva, in linguaggio novecentesco si direbbe "la Differenza" o di Apertura (d'altronde "chaos" significa sbadiglio). C'è una citazione di Nietzsche che io penso sia sempre importante tenere a mente quando lo si legge (anche per mitigare l'aria da profeta che si dà): "Chi pensa profondamente sa che ha sempre torto comunque agisca e giudichi". Questo nega a priori qualunque arrivo in porto, qualunque accordo fra le parti, qualunque riconoscimento reciproco, qualunque com-prensione (del caos), qualunque teoria (la radice è la stessa di theos), qualunque armonizzazione definitiva (che non abbia i caratteri della predicazione di morte, o della morte tout court).

Citando la Gaia Scienza ("si può dire effettivamente qualcosa a favore dell'eccezione, supposto che non voglia mai diventare regola") si potrebbe dire: "si può dire qualcosa a favore del caos (si può dirgli sì, accettarlo), supposto che non si voglia mai farlo diventare una regola, una teoria".


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adopoeta
messagio Jul 27 2010, 01:05 PM
Messaggio #3


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CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 26 2010, 05:48 PM) *
Infatti è innegabile che Nietzsche parta da un'idea di mondo caotico.
Quello che mi sembra differente è l'arrivo e l'intenzione: cosa si vuole tirare fuori da questo caos (che di per sé è una parola abbastanza ambigua!).
Citando la Gaia Scienza ("si può dire effettivamente qualcosa a favore dell'eccezione, supposto che non voglia mai diventare regola") si potrebbe dire: "si può dire qualcosa a favore del caos (si può dirgli sì, accettarlo), supposto che non si voglia mai farlo diventare una regola, una teoria".


Dipende infatti da che domanda o da che domande ci poniamo.
Se qualcuno osserva un certo comportamento che gli appare complicato, disordinato e confuso, e poi arriva qualcun'altro che gli dice: quel comportamento non è disordinato, il dis-ordine non esiste, si tratta invece di un ordine di grado superiore, complesso, in tale complessità c'è struttura, c'è informazione qualitativamente significativa, c'è armonia, allora in questo senso il caos giunge come un supporto, come un aiuto, senza per questo creare alcun 'ismo'. Non ho ricordi di altre scoperte che abbiamo avuto un significativo impatto come lo sta avendo il caos deterministico negli ultimi 3 decenni in numerosissime discipline. Su questa scia si scopre ad esempio la natura frattalica del genoma e la struttura complessa e caotica dell'elettrone. C'è forse da chiedersi quale sia la natura del caos, una volta avendolo ben definito ed avendone colto il significato.
Se invece ci si interroga su altre cose, è significativo pure il contributo di Jiddu Krishnamurti che suggerisce di liberarci da tutto il conosciuto: scienze, filosofie, religioni, da tutto ciò che ha prodotto nei millenni la cultura, in una parola di spogliarci del pensiero stesso e di tutta la struttura di cui siamo intrisi. Una volta fatto questo, dovremmo essere sulla buona strada, se avrà ancora un senso parlare di "essere" e di "strada".
Lo stesso linguaggio con cui comunichiamo è insufficiente, inadatto, limitante e limitato, un insieme di concetti, essi stessi da mettere in discussione, falsificare, distruggere.
Se invece vogliamo divertirci a parlare ad esempio di concezione olistica ed olografica dell'universo, di ordine implicato ed esplicato e di monadi per come le intende Bohm, non come entità permanenti e fisse, ma come momenti, impermanenti, dove in ognuno di essi si esplica e schiude o si implica e chiude in un incessante processo di apertura e chiusura tutta l'informazione dell'universo, possiamo farlo. E' suggestivo. E' suggestivo pensare (ma è sempre la mente limitata che pensa, in questo senso non ci siamo ancora spogliati, siamo ancora dentro la contaminazione del pensiero) che esistano ordini nascosti, implicati, che esista un'energia incommensurabile dietro a tutte le cose visibili, proiezioni di mondi invisibili, energia potenziale che diventa attualità, e poi torna potenza, e poi torna attualità, per cui tutto ciò che percepiamo è solo una proiezione di quest'energia che addensandosi (una specie di etere che si concentra) dà luogo a relazioni e processi e relazioni talmente fitti che noi interpretiamo con il concetto di materia.
Se invece vogliamo andare oltre, diventa alquanto difficile continuare ad usare il linguaggio, e tutti i concetti di cui si compone (siano essi scientifici, filosofici, religiosi, ecc.) senza andare incontro a contraddizioni e paradossi (siano essi pure apparenti). Diventerebbe difficile oltretutto la comunicazione, il dialogo, la comprensione, suffragando forse l'ipotesi che in tale direzione siamo destinati ad essere soli, soltanto noi e la nostra ricerca, che mai dovrebbe fermarsi.

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Sgubonius
messagio Aug 14 2010, 09:46 PM
Messaggio #4


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CITAZIONE(adopoeta @ Jul 27 2010, 02:05 PM) *
Dipende infatti da che domanda o da che domande ci poniamo.
Se qualcuno osserva un certo comportamento che gli appare complicato, disordinato e confuso, e poi arriva qualcun'altro che gli dice: quel comportamento non è disordinato, il dis-ordine non esiste, si tratta invece di un ordine di grado superiore


E' appunto questa idea del caos (che è l'unica che possa sostenere dei progressi quali quelli da te descritti, cioè scientifici o teorici e pratici di ogni genere) che stride con quella frase che citavo dalla Gaia Scienza. Finiamo per rifare dell'eccezione una regola, del differente una forma dell'uguale. Poi non stupisce che si finisce per parlare di "purificazione" o "spogliazione" del pensiero in quanto contaminato. Lo sapeva Nietzsche e lo sapeva Heidegger che si finisce così (nichilismo). Dal punto di vista di Nietzsche la questione è totalmente diversa, il caos restai semmai un concetto negativo (come il Dio della teologia negativa, sarebbe poi interessante vedere le affinità e le differenze fra N. e la teologia negativa), che vige come limite e resistenza assoluta alla volontà di potenza (ovviamente il caos è la VdP, la resistenza è interna, una VdP senza un culmine, uno stato finale, è caotica necessariamente, ed è questo genere di necessità, di fato per l'amor fati, che vige nel caos nietzschiano).

Sono proprio due sponde diverse del fiume. Nietzsche non fa un gran uso della parola caos, non è fondamentale per lui, non è definito mai, non deve esserlo, è un concetto limite accessorio. Non ci si fa nulla, per definizione non è utilizzabile (cfr tutto il discorso di Heidegger sull'utilizzabile, il mondo e il Be-griff, il concetto), e proprio per questo impedisce alla Volontà di Potenza di totalizzarsi e concludersi. Per questo poi rimane solo un'etica dell'accettazione, che è l'unica logica funzionale alla differenza, all'Altro (al totalmente altro, che si chiami Caos o Dio come nella teologia negativa). Non c'è da liberarsi di nulla, se non dalla libertà stessa. Ci sono quei versi nei ditirambi di Dioniso:

Stemma della necessità!
Tavola di eterne figure!
- ma tu già lo sai:
ciò che tutti odiano,
ciò che solo io amo,
che tu sei eterno!
che tu sei necessario!

Il mio amore si accende
in eterno solo della necessità.

Stemma della necessità!
Supremo astro dell'essere!
- mai raggiunto da desiderio, mai macchiato da no,
eterno sì dell'essere,
sono il tuo sì in eterno:
perché io ti amo, o eternità!

Diventa evidente anche il ruolo dell'eterno ritorno (del sigillo anulare dell'eternità) in questa etica (che diventa tremendamente spinoziana). Alla teologia negativa bisognerebbe ancora levare il "no", più in generale è l'opposizione dualista (dialettica) fra sì e no che rovina tutto, bisogna portare l'Altro nell'Io, concepire un Dio incarnato e morto, un supplemento d'origine, un non-senso così inespugnabile che diventa la fabbrica inesauribile del senso, un caos come stella danzante ma anche astro della necessità, che traccia nel nulla le sue costellazioni (cfr in Mallarmé il lancio di dadi). Nell'eternità (nell'Aiòn eracliteo) non c'è più molto da fare, c'è solo il gioco del bambino coi mucchi di sabbia.

PS: il linguaggio è proprio questa costellazione, questa "espressione" dell'essere. Non c'è da sfuggirgli, non è una condanna babelica il non capirsi, il non capire, la differenza linguistica, la disseminazione, la costellazione, il caos. In principio era il caos dice Esiodo, o il verbo, dice Giovanni, ma forse è lo stesso! Nell'eterno ritorno non c'è principio né fine che non sia anche un presente, non c'è teogonia né apocalisse. Non si è mai iniziato e mai si finirà, c'è sempre stata una differenziazione, una incompossibilità, un irrisolto, che continua a sintetizzare il reale in tutte le sue forme viventi (che non sono mancanze, negatività, ma sono eccessi, eccezioni, differenze, "dépense" come direbbe Bataille).


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