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> Quali sono i valori creativi e costruttivi di Nietzsche?
Mauro
messagio May 1 2010, 07:00 AM
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[font="Verdana"][/font][size="4"][/size] Ho letto con grande piacere il topic sul nichilismo-dovreste pubblicarlo, è profondo e intenso per contenuti e lucidità-.
Volevo chiedere al qualche appassionato generoso,in sintesi: Quali sono i valoro creativi e costruttivi di Nietzsche, dopo la sua geniale analisi del nichilismo? Dice d'averlo superato ma non ho capito come...grazie.
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Sgubonius
messagio May 28 2010, 04:26 AM
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Carissimo Fulcinanelli (piuttosto loquace, derridianamente, cioè scrivendo!!), certo hai buttato un pezzo di carne al fuoco che rende complicate le manovre, bisognerebbe scindere i problemi e cercare la massima sintesi.

Riguardo il problema "spinoso" della forza reattiva, mi riferivo in verità ad una cosa un po' più radicale, la genealogia della morale la conosco ed è abbastanza semplice capire, su un piano come dicevo prima etico-socio-politico il perchè del risentimento. Il problema emerge se su questo piano vogliamo unificare anche il piano filosofico, che come anche l'alchemia professa, necessità di estrema semplicità e rigore nei concetti. Qui il problema è: se tutto è Volontà di Potenza (detto e ridetto da Nietzsche), la volontà di potenza sembrebbe commettere come un "errore di calcolo" nella reattività, ovvero un potenziamento "locale" (del risentito) a spese della potenza "globale" (uso termini matematici dato che anche Nietzsche si affida ad un approccio un po' termodinamico). Il problema qui è quello dell'emergere del "soggetto" che vuole la potenza nel magma caotico della Volontà di Potenza come unica sostanza (spinoziana?). Ovvero, se la volontà di potenza fosse una, perfettamente "comunicante", cioè immanente, non potrebbe "sbagliarsi" e snaturarsi nel risentimento, c'è quindi necessariamente l'emergere di una trascendenza (che sia anche un campo di trascendenza, cioè un trascendentale) da qualche parte, che crea le condizioni perché il risentito possa volere la PROPRIA potenza a spese della volontà di potenza globale. Non è più un problema di civiltà, di romani, greci, alessandrini o rinascimentali, è un problema di mondo, di vita, di volontà di potenza senza paese, nazionalità né soggetto fissato.
Spero sia chiaro, ho cercato di semplificare al massimo.
Ed è qui che viene sempre in aiuto Deleuze, che tratta diffusamente, nel suo Nietzsche, della genealogia della morale, e che poi ritornerà su queste questioni di continuo nei suoi lavori con Guattari (Anti-Edipo e Millepiani). E' sempre la formazione "territoriale" (il soggettivismo, il gruppo, il partito, la nazione, il popolo romantico-hegeliano) che tradisce la volontà di potenza immanente che di per sé sarebbe sprigionamento libero di potenze affettive spinoziane. Ma resta il problema: come si ripiegano questi strati? Come avviene questo tradimento del risentito? Quale Dio gliene dà la forza e la condizione di possibilità (il trascendentale)?
E così arrivo alla fine: la filosofia di Heidegger non è banale e non è in opposizione con quella di Nietzsche. Si può imparare da tutti, lo ha fatto Derrida per esempio, offrendo spunti tratti da entrambi. Quando Heidegger ad esempio propone l'essere come velantesi-svelantesi, siamo proprio nel campo dell'emergere misteroso del risentimento, seppur con linguaggi totalmente diversi. Heidegger si domanda "a che punto avremo (impersonale) sbagliato?" come e quanto Nietzsche. Lo stesso Nietzsche nella Gaia Scienza e nel contra Wagner parla chiaramente dell'importanza dei veli, del mistero, dei campi di trascendenza (soggetti) col loro egoismo.

La taglio proprio breve breve: è questo egoismo (a cui siamo arrivati così, come una necessità, una condicio sine qua non della volontà e quindi della volontà di potenza) e una certa condizione di IMpossibilità (leitmotiv di molti pensieri di Derrida) che costituiscono il problema. Essere egoisti sì, ma essendo contemporaneamente dei soggetti lacerati, dionisiaci, che differiscono da se stessi nel loro divenire, che quindi quando desiderano qualcosa per sé è sempre per un sé diverso, che continuamente si è superato e ha voluto ulteriore potenza. C'è altrettanto parassitarismo in Nietzsche dunque, quando predica l'eterno ritorno, il rischio maggiore, l'impossibilità stessa della vita e del divenire creativo, come casa (dell'essere?) da abitare con cautela, sempre pronti a traslare il cerchio fuori dal suo centro, dall'interno, come nel linguaggio si devono frequentare i suoi buchi, gli sbalzi poetici in cui la ripetizione biunivoca circolare meccanica del significante e del significato non coincidono più.

Insomma non è così banale il problema. Se si trattasse solo dei frustrati che si prendono delle rivincite con gli ideali religiosi e morali sarebbe molto più semplice, ma sotto c'è un problema molto più grosso, che riguarda la posizione filosofica di fondo in bilico fra immanenza e trascendenza (cioè per l'appunto divenire creativo intrinseco, differenza in sé, contro la distribuzione della differenza che si origina dall'uguale e dalle sue categorie logiche). Ovviamente dubito di essere stato chiaro ma sono sempre qua per andare più nel dettaglio e riprendere tutti i punti.


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