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> Quali sono i valori creativi e costruttivi di Nietzsche?
Mauro
messagio May 1 2010, 07:00 AM
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[font="Verdana"][/font][size="4"][/size] Ho letto con grande piacere il topic sul nichilismo-dovreste pubblicarlo, è profondo e intenso per contenuti e lucidità-.
Volevo chiedere al qualche appassionato generoso,in sintesi: Quali sono i valoro creativi e costruttivi di Nietzsche, dopo la sua geniale analisi del nichilismo? Dice d'averlo superato ma non ho capito come...grazie.
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Sgubonius
messagio May 27 2010, 01:51 PM
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Vale ovviamente anche tutto quanto detto da Fulcanelli, sul piano più etico-socio-politico (che comunque è un tuttuno in Nietzsche col piano filosofico che ho tentato di tratteggiare in apertura). Poi ci sarebbe da affrontare una questione molto spinosa qua, che magari rinvio per ora, riguardante i meccanismi interni della volontà di potenza (ovvero: come è possibile che la volontà di potenza diventi debolezza?), è forse il punto più controverso nella filosofia di Nietzsche (se approfondita fino alla sua "posizione di base").

Concludendo invece (nella misura in cui si può concludere qualcosa sotto il regime dell'eterno ritorno, cioè sempre e tuttavia mai "del Tutto") la questione di Eterno Ritorno e Volontà di Potenza, che è comunque stata affrontata penso in un topic che puoi trovare facilmente, penso che si tratti di continuare su quella strada che ho accennato prima. Ovvero: il tempo ciclico come sigillo anulare (questa è la simbologia dello Zarathustra), come prova, come test per saggiare la flessibilità di un soggetto, di una volontà che sia sufficientemente oltre-umana da diventare "volontà di volontà" (sinonimo in Nietzsche di VdPotenza) e quindi proprio volontà circolare. Non parlerei però di "cogliere l'attimo", è una banalizzazione pericolosa del pensiero di Nietzsche, che fa perno proprio su quella frase apparentemente innocua che citavi: "imprimere il carattere dell'essere al divenire" (oltre che sulla "porta dell'adesso" in La visione e l'enigma). Questa frase, di cui parla diffusamente Heidegger (e ci basa quasi la sua critica di Nietzsche come metafisico), è ambigua proprio perché va al nocciolo di tutto il caos nietzschiano. Su questo punto penso che tu possa trovare molto in giro nel forum, c'è un topic su Nietzsche e Heidegger che ruota attorno a questo. Non è esistenzialismo e non è carpe diem (il dies ha sempre l'etimologia del deus), è piuttosto l'opposto, la fuga dall'istante sovrano, dal pensare il tempo come uno spazio, fatto di somme di punti integrabili, verso l'Aiòn eracliteo, che è il regno di un fanciullo.

Provo a fare comunque un sunto estremo:
L'eterno ritorno è una nozione che circola (!) in filosofia da sempre. E' il modo più semplice per risolvere ogni "regressum ad infinitum" e l'alternativa più credibile al motore primo immobile aristotelico. C'è eterno ritorno in Platone, c'è eterno ritorno presso gli stoici, presso lo zoroastrismo, eccetera. Qual'è la differenza qui? Se è vero che l'ER imprime una condizione di staticità ad un divenire, esaurendo i casi possibili e riducendo il movimento ad una variazione localizzata (il circolo è il paradigma delle figure geometriche differenziabili e finite, con conseguente integrabilità e rapido calcolo dell'area, nonché il modello dell'insiemistica a cui si riduce il 90% della matematica), è vero anche che questo non esaurisce tutto il pensiero Nietzschiano (mentre esaurisce gran parte di quello stoico e platonico, con funzione puramente "distributiva", c'è un topic anche sul confronto fra stoicismo e nietzsche se vuoi). Cosa c'è di più? C'è la volontà di potenza. Se la volontà di potenza è creazione di valori, è volontà di volontà, è divenire, è differenza, non potrà mai chiudersi in un circolo "perfetto" (nell'etimo: perficiere = completare) che ne distribuisca la fenomenologia allocando tutti i casi in una casellina di tempo. Piuttosto l'eterno ritorno resterà un pensiero limite, una prova estrema per il pensatore del divenire, che chiama all'affermazione di un divenire che superi l'allocazione circolare prestabilità da e per sempre, che sia quindi creativo intrinsecamente ed eternamente. Gilles Deleuze ha diffusamente esposto le differenze fra un ritorno "dell'uguale" e un ritorno "della differenza" (cioè della creazione, della volontà, della potenza), e lo troverai come riferimento in quei topic. L'opera d'arte, e qui arriviamo al fulcro di caos e ambiguità, è proprio questa sintesi antihegeliana di Essere e Divenire. Mi appoggio necessariamente a Deleuze e a Derrida: se io ripeto la "differenza in sé", io ottengo sempre delle differenze, perché è proprio della "differenza in sé" di cambiare ripetendosi, di differire da se medesima, quindi non vigerà mai un rapporto biunivoco (insiemistico) e allocativo/distributivo fra essere e divenire, ma piuttosto ci sarà come un limbo, una membrana sottile, che separa-unendo i due mondi platonici. E' in questa logica antiplatonica e antihegeliana che si compie il pensiero di Nietzsche: l'opera d'arte non è mai un testo informativo, una ripetizione morta, rigida, significante un (solo) significato, ma è sempre una differenza in sé, una creazione permanente, che prolifera anche nella forma-morta (ma non vigono più distinzioni fra vivo e morto come non vigono fra essere e divenire: tutto è vivo e diveniente, tutto è VdP) dell'opera fissata. All'opera d'arte, come alla vita, manca sempre di essere un Tutto (contra Hegel), di essere insomma opera d'arte totale (contra Wagner): perché banalmente il Tutto non può "volere", non gli manca nulla, non ha nulla da desiderare (per lo stesso motivo per cui il vivente non può volere la vita, ma deve volere la potenza, contra Schopenhauer). E' fondamentale qui la lettura del capitoletto "Della Redenzione" dello Zarathustra (il redentore, oltre che Cristo è Wagner-Schopenhauer). L'opera d'arte, modello (non platonico) del superuomo, pur non essendo un fatto compiuto, è quanto emerge, attraverso la prova della fissazione "scritta" dell'eterno ritorno, dal mare di "frammenti e membra". Cito che si fa prima:

E il senso di tutto il mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga in uno ciò che è frammento ed enigma e orrida casualità.
E come potrei sopportare di essere uomo, se l’uomo non fosse anche poeta e solutore di enigmi e redentore della casualità!
Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni ‘così fu’ in un ‘così volli che fosse!’ – solo questo può essere per me redenzione!


Ecco penso che qui si possa enucleare tutto il discorso. Redimere quindi non più nella nullificazione o totalizzazione (scontata la coincidientia oppositorum fra Schopenhauer-Wagner ed Hegel), ma nell'affermazione dell'orrida casualità a posteriori, in "après coup" dicevo prima citando Blanchot: "così volli che fosse" (una struttura che la grammatica non contempla, ma la grammatologia sì). Ma non si è redento il divenire nell'essere (sempre modellato sul tutto/nulla), lo si è redento nella creazione, nella santificazione del suo divenire stesso, nel suo mancare ed essere frammentario ed enigmatico, santificazione che passa dall'artista, dalla fissazione "scritta" (sottointendo qui tutto il discorso di Derrida sulla scrittura) di qualcosa di aleatorio di enigmatico, di "differente in sé" (l'esempio tipico, per consapevolezza, è Mallarmé).



Non so se è chiaro, non sono cose banalissime, ho cercato di renderle più semplici possibili senza sminuirle, evitando il più possibile le divagazioni che mi tentano. Le letture chiave in questo dibattito credo siano il "Nietzsche" di Heidegger (che mostra come si possa ridurre Nietzsche ad un filosofo metafisico interessato a farla finita col divenire e il differenziale, integrandolo nel grande cerchio degli istanti consecutivi) e "Differenza e Ripetizione" di Deleuze che libera di nuovo Nietzsche da questa interpretazione claustrale. Il discorso si articola quindi su questo nuovo modo di pensare i dualismi, né platonico, né hegeliano (le due grandi dialettiche), ma forse eracliteo (in uno dei frammenti si dice: "Dio è giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace, fame e sazietà. Se prende nomi diversi, lo fa come il fuoco quando, mescolato a spezie, prende nome dall'aroma di esse").


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"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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