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> LO STRANO TIPO DELL'EUROSTAR 1187, Prose brevi ispirate dalla filosofia di Nietzsche
Mauro
messagio Aug 30 2009, 07:01 PM
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Ciao a tutti,mi chiamo Mauro. Voglio proporvi delle prose brevi ispirate dalla filosofia di Nietzsche. Di solito le propongo dal punto di vista letterario, ma come insegna
il Nostro, dato che la vita è un esperimento continuo,ve le sottongo per una prospettiva critica FILOSOFICA.Vediamo che succede.Grazie per l'ascolto.

LO STRANO TIPO DELL’EUROSTAR 1187

Un primo agosto qualunque, in un’estate qualsiasi.
Sull’Eurostar 1187 delle 12.00, da Bologna a Napoli, tutto è tranquillo.
C’è chi legge una rivista o un libro, chi si spara nelle cuffiette dall’i-pod o dal pc, musica a tutto volume o un bel thriller da cardiopalmo.
Ognuno è sprofondato, mediante supporti audiovisivi, nel suo mondo immaginale interiore, tranne lo strano tipo qui in fronte a me, nel posto vicino al finestrino.
Un soggetto di mezz’età, pelato con chierica socratica e un grosso naso con la gobbetta; una persona anonima se non fosse per i suoi grandi occhi azzurri, metallici, magnetici.
E’ da Bologna che guarda fuori dal finestrino e contempla i paesaggi che scorrono a forte velocità.
Ogni tanto fischietta una melodia, e poi annota s’un piccolo quaderno dei versi di canzone.
Butta un’occhiata distratta a noi passeggeri e torna a mirare le verdi colline toscane che allietano il cuore…
Deciso. Chiudo questo pesante quanto palloso saggio e…voglio fare due chiacchiere con questo individuo fuori dalla norma.
- Scusi…
- Dammi pure del tu, oltre tutto non sono femmina!
- Bè, mi presento, mi chiamo Giacomo.
- E io no, ho un altro nome. – replica sorridendo.
- Certo che sei un simpaticone. Volevo chiederti una cosa…
- Basta che non mi chiedi un prestito…
- No, tranquillo. Ho notato che non t’interessa per niente quello che avviene dentro il nostro vagone. Se non sono indiscreto, come mai?
- Guarda, poche persone e poche cose m’interessano, ma se c’è una cosa che mi lascia indifferente, quella è proprio me stesso! – ed esplode in una risata contagiosa -.
- Capisco. Allora, la seconda riflessione spiega la prima?
- Potrebbe essere, ma voglio spiegarmi meglio con te, gentile amico. Vedi, sono arrivato a questo stato d’animo per gradi: vivendo e osservando con intensa partecipazione gli esseri umani, il tuo cuore O SI SPEZZA O DIVENTA DI METALLO. Capisci quello che intendo?

Detto questo, sorridendo, si gira verso il finestrino e i suoi occhi turchesi riprendono a divorare le immagini della natura circostante.
- Scusami ancora…
- Qual è il problema?
- Sono un po’ imbarazzato, è anni che non faccio una domanda simile…Qual’ è, secondo te, la via per la felicità?
- Diventa e FAI QUELLO CHE SEI e non quello che sembra giusto al Gregge dei consumi. Ammira quello che fai per essere e poi VIVI PER LE STRADE!
- Basta, ti prego, tu pretendi troppo: fare quello che si è! Accidenti, già questo compito è quasi impossibile! Anche vivere come zingari, non avere casa, non avere nome, non avere il potere su niente!
- Ma come puoi diventare quello che sei, se non distogli lo sguardo da quello che non ti fa essere!

Rimasi in silenzio, ammirato, fino a quando quell’uomo non scese a Napoli.
Mi salutò con una strizzatina d’occhio e un cenno del capo.
M’indicò, con la sua stupenda sbirciata acquamarina, le nuvole, le cangianti nubi del terso cielo napoletano.
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Sgubonius
messagio Sep 5 2009, 12:25 AM
Messaggio #2


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Diciamo che sono un pignolone e siccome su queste robe mi ci spacco il cervello non resisto alla tentazione di pignolare, ma sostanzialmente si tratta di sfumature perchè evidentemente il pensiero di nietzsche panoramicamente è il medesimo! Quindi considera sempre che siamo sul filo di un rasoio...

Quanto dici della caduta della verità è sicuramente la base per partire, citavi anche la corrente debole di Vattimo e amici, che è un punto interessante di incontro con la critica di Heidegger ma credo ancora non del tutto disvelante il vero gap che Nietzsche instaura nella storia del pensiero... il gap è proprio il passaggio da un mondo delle essenze (dell'essere, dell'identità, dei sistemi stabili termodinamici e via dicendo) a quello del divenire (differenza, variazione continua, inafferrabilità, ecc).
La beatitudine dell'abbandono del sè (già schopenhaueriana, e ancor prima presente in quasi tutti i filosofi) rientrerebbe a logica ancora nell'ambito di uno "stato", di uno scopo, di un raggiungimento. Distrutta la verità imposta (morale) per regolarsi da sè, non si è ancora liberi della verità purtroppo, si è solo ricondotto tutto ad un certo idealismo celato (il soggetto autoimpone la propria legge sul mondo). Il problema è in qualche modo proprio l'appagamento e la felicità che sono stati, e in quanto tale sono sinonimi della morte (qui viene ancora in aiuto schopenhauer). La vita che è volontà di potenza è invece l'opposto di questo irrigidimento ascetico e compiaciuto. La liberazione dalle morali, la vita "attiva" è sicuramente una componente di tutto il quadro quindi, ma mi piace pensare che ci sia ancora da scavare sotto, che ci siano ancora delle fortezze (degli "stati" nel duplice significato) da assaltare e distruggere per poi lasciarle al libero gioco della creazione che è l'unico vero regime del divenire. La strada citata anche nella Gaia Scienza è quindi un concetto del tutto "virtuale", nel senso che non è prendendo un fagotto e andando in strada che si è un "divenire" (quando si diviene si diviene sempre "ciò che si è", perchè alla radice siamo VdP cioè energia dinamica), ma si diviene sul posto, nel pensiero e nel flusso di coscienza-materia. E' un'etica straordinaria in cui non v'è azione, o dove l'azione specifica attualizzata è del tutto indifferente (tanto non ci sarà mai un'azione "giustificata", perchè banalmente nessuno può giustificarmi, come si faceva a scuola!).

Tutto sto sproloquio solo per dire che il cammino è davvero infinito e circolare, e non può che tornare su sè stesso, ma proprio per questo non ci può mai essere meta raggiunta ma si è sempre "in cammino" (anche quando si è fermi fisicamente). Arriverei quasi a dire che lo "stare bene con se stessi" (tanto morale che immorale) è l'uccisione stessa della potenza, perchè chi sta bene non ha nessuna intenzione di muoversi per stare meglio, non c'è energia potenziale, non c'è cogenza di pensiero, non c'è stimolo vitale di nessun genere. Ecco anche la creazione che ne scaturisce (e che è l'unica possibilità di attualizzazione che non distrugga il virtuale/potenziale ma lo rinforzi nella ripetizione come potenza della differenza) deve di conseguenza avere quelle caratteristiche di "divenire" di cui parlavo e che ne liberano la problematicità e la vitalità anche nella rigidità della forma (uno scritto rimane se stesso in eterno purtroppo). Il linguaggio per esempio è una gran fregatura e deve cominciare a slittare e a partire per la tangente, così la sintassi e la narrazione. Non per un vezzo sperimentale, ma proprio per evitare di ricadere nella morte che trascina con sè ogni stasi (linguistica, esistenziale, ecc...)

Non so se è chiaro, anche perchè paradossalemente sarebbe preoccupante se lo fosse, il gioco del divenire è tremendo proprio perchè richiede l'assoluta assenza di convinzioni particolari e di concettualizzazioni che pretendano il vero (eccoci tornati all'inizio nel cammino circolare). L'importante insomma, banalmente, è non accontentarsi!


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"Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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