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Messaggio
#1
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Über Member ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Gruppo: Members Messaggi: 754 Iscritto il: 15-May 08 Utente Nr.: 2,728 ![]() |
Tento (con fatica) di riaprire qualche questione importante.
Probabilmente questi due sono i due filosofi più importanti, o comunque influenti, degli ultimi 150 anni, e nelle similitudini e differenze fra questi due si sono articolati molti dei pensieri originali del novecento (lasciando stare i neokantismi e gli analitici...). Dato che oltretutto Heidegger è l'unico pensatore che abbia seriamente inquadrato nietzsche, pensandolo profondamente e capendolo anche con spirito critico (anche con troppo spirito critico) è indubbiamente cruciale analizzare il confronto fra questi due. Continuo con un parere personale, elaborato solo dalla lettura dei due e di altri filosofi che bazzicano questo genere di pensieri (Vattimo, Deleuze, ecc...) e che è per cui del tutto aperto e suscettibile di errori. Mi pare che Heidegger parta subito con un forte distacco da Nietzsche, con una vera e propria ossessione di neutralizzarlo, di renderlo aproblematico accorpandolo alla "storia della metafisica". Sicuramente in questo gli viene in aiuto tutta la componente "positivista" che porta nietzsche dalla lettura di schopenhauer allo zarathustra, e soprattutto l'elaborazione del pensiero "tutto è volontà di potenza e niente altro" o più in genere l'enfasi per la "vita" come metro ultimo del porre valori. Ma nell'ultimo nietzsche (parte dello zarathustra, ecce homo e i ditirambi dioniso) la questione della morale, del rovesciamento del platonismo ecc... passa decisamente in secondo piano a poco a poco, tanto che il superuomo che emerge non può essere più ricondotto soltanto alla "metafisica dei valori" (come heidegger chiama la filosofia di nietzsche). Una parte fondamentale è giocata dalla questione del soggetto che si tramuta in maschera. Tutta l'analisi della metafisica di Heidegger si basa fortemente sull'idea che un soggetto (teso da un'equivalente della volontà di potenza che varia tanti nomi) si appropri dell'ente, e Nietzsche porta così all'estremo quest'idea da distruggere del tutto il rimasuglio sistemico di soggetto/oggetto e con questo è del tutto inassimilabile alla domanda guida "che cosa è l'ente". Certo non ci sarà mai in Nietzsche la differenza ontologica, ma di fatto c'è l'intuizione di quel percorso incerto in un fondamento più radicale di tutte le parole della tradizione di fissazione dell'ente. A riguardo si può prendere proprio un pezzo dai Contributi alla filosofia (dall'evento), di Heidegger: <<Un possibile, anzi il possibile in generale, si apre solo al tentativo. Il tentativo deve essere permetato da una volontà anticipatrice. La volontà, inquanto porsi oltre se stessi sta in un essere oltre-di-sé. Questo stato è l'originaria concessione del gioco dello spazio-tempo in cui viene a ergersi l'Essere: l'esser-ci. Esso è essenzialmente come azzardo (Wagnis). E solo nell'azzardo l'uomo raggiunge l'ambito della de-cisione. E solo nell'azzardo egli è in grado di ponderare. Il fatto che l'essere sia e non diventi perciò un ente si esprime nella maniera più netta in quanto segue: l'Essere è possibilità, ciò che non è mai lì presente, eppure, nel rifiuto mediante l'evento-appropriazione, sempre concede e nega.>> Ora senza entrare in questioni di ontologia fondamentale o di parole heideggeriane mi pare che questo passo trasudi del miglior nietzsche, cioè del nietzsche che realmente non si cura più delle genealogie morali e degli anticristi. Che poi al posto della volontà di volontà, del volere oltre se stessi, si usi la parola "Da-sein" o che si legga l'azzardo come essenziale velarsi dell'essere anzichè come falsità insita nella maschera... non vedo differenze così importanti. Addirittura azzardo da Ruhm und Ewigkeit: <<Höchstes Gestirn des Seins! Ewiger Bildwerke Tafel! Du kommst zu mir? - Was Keiner erschaut hat, deine stumme Schönheit, - wie? sie flieht vor meinen Blicken nicht? [...] Höchstes Gestirn des Seins! - das kein Wunsch erreicht, das kein Nein befleckt, ewiges Ja des Sein's, ewig bin ich dein Ja: denn ich liebe dich, oh Ewigkeit! - ->> <<Supremo astro dell’essere! Tavola di eterne immagini! Tu vieni a me? – Ciò che nessuno ha scorto, la tua muta bellezza, - come? non fugge essa dinanzi ai miei sguardi? [...] Supremo astro dell’essere! - che nessun desiderio raggiunge, che nessuno imbratta, eterno si dell’essere, eternamente sono io il tuo si: perché io ti amo, oh eternità! –>> PS: aggiungo per completare il discorsetto che non c'è divergenza fra i due per quanto riguarda necessità/possibilità, infatti entrambe convergono nella locuzione che si trova in heidegger di "necessità dell'assenza di necessità" che traduce la possibilità in una necessità (negativa). Anche la necessità che appartiene al superuomo è di questo stampo, cioè una possibilità (potenza) necessitata nell'eterno ritorno e nell'Amor Fati. Deleuze riprende la cosa con la bella immagine del lancio dei dadi, ed eventualmente si può tirare dentro nel discorso anche il celebre detto di Eraclito sull'Aion regno di un fanciullo che gioca come elemento di transizione e contatto. -------------------- "Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì"
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Messaggio
#2
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![]() Old Member ![]() ![]() ![]() ![]() Gruppo: Members Messaggi: 115 Iscritto il: 18-January 09 Utente Nr.: 10,580 ![]() |
Sicuramente si può creare una dicotomia fra buio-notte-dioniaco e luce-giorno-apollineo (non mi azzardo ad inserire anche differenza e ripetizione nel computo al momento) come sicuramente la spinta da "spirito libero" in Nietzsche è sempre stata fortissima ed è quanto lo ha portato a fare piazza pulita di tante cose (infine della ragione stessa come giudice del tribunale categorico kantiano). Ma c'è mi pare una ambiguità alla fine molto particolare di cui vorrei andare a fondo. La luce del meriggio è la conoscenza perfetta, senza ombra, che però si traduce nel conoscere anche la vanità di ogni conoscenza fondante. Se l'eterno ritorno (ripetizione) è l'ultima forma dell'apollineo, è vero anche che a ritornare è la volontà di potenza (differenza), cioè il buio irrimediabile, il buco nero che non si potrà mai illuminare per quanto forte e a picco sia il sole. Allora la luce sarà un mezzo solo negativo, cioè solo un mezzo per "certificare" l'unica certezza: l'assenza di certezze, sotto metafora è come se la luce senza ombre servisse a mostrare per via negativa che quel buio che le sopravvive è essenziale. In altri termini l'eterno ritorno è l'unica conoscenza che non soffoca la differenza (e qui si gioca la battaglia con Heidegger, che lascia intendere il contrario) ma che anzi la afferma pienamente. Non esiste differenza senza ripetizione, come non esiste vero dionisiaco senza un apollineo che lo definisca negativamente. Il problema è che la dicotomia che hai evidenziato non è totalmente costante in N, perché in un primo momento il dionisiaco ha valore metafisico -e dunque 'notturno'- mentre poi, venendo meno la metafisica stessa, anche il dionisiaco si risolve nella luminosità dell'apparenza e, in un certo senso, non esiste più la distinzione rispetto all'apollineo (che è nell'ultimo periodo, come avevamo già detto, solo necessario, ma non più fondante, non più principio, e si può pertanto affermare che rientri nel dionisiaco stesso). Anzi, il simbolo del dionisiaco per eccellenza è proprio il sole. E a tal proposito hai ragione ad affermare che non è il meriggio (o la mezzanotte) in sé che conta, ma la totalità dell'essere, e infatti si vede benissimo dalla scelta del sole che, con la sua mobilità e le sue fasi, rappresenta al meglio questa situazione. Cioè, nel suo percorso (un libro che parla del percorso del sole è Versions du soleil, Bernard Pautrat) il sole dionisiaco si porta costantemente dietro la totalità della luce o quella del buio, se pur con fasi intermedie (che hanno significato a sé, quali aurora e tramonto, che per ora possiamo tralasciare), e dunque riflette la conoscenza 'apollinea' della più scientifica delle ipotesi, che è però inevitabilmente connessa -e si può dire che sono appunto due lati della stessa medaglia- ad un fondo di buio e notte. Già nel viandante e la sua ombra N scriveva che ombra e luce non sono nemiche, ma che anzi "si tengono amorevolmente la mano", e se la luce tramonta "l'ombra le guizza dietro". In questo periodo certo l'e.r. ancora non è pensato, e il contesto specifico è quello del diffidare da ogni 'conoscenza vera, dogmatica, certa', però si può senza alcun dubbio ricollegare a quanto scritto sopra. Su Heidegger sì, il discorso è più complesso (e completo), ma intanto può essere sufficiente abbozzarlo come abbiamo fatto noi per avere un punto fisso dal quale partire. Se vuoi iniziare a leggere Nietzsche heideggerianamente o viceversa comincia pure, vedrò poi di intervenire anch'io. Comunque questo confronto tra i due sul tema della Licht potremmo anche pubblicarlo, magari in futuro! -------------------- Luce io sono: ah, fossi notte!
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