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> Nietzsche e Heidegger
Sgubonius
messagio May 4 2009, 08:49 PM
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Tento (con fatica) di riaprire qualche questione importante.
Probabilmente questi due sono i due filosofi più importanti, o comunque influenti, degli ultimi 150 anni, e nelle similitudini e differenze fra questi due si sono articolati molti dei pensieri originali del novecento (lasciando stare i neokantismi e gli analitici...). Dato che oltretutto Heidegger è l'unico pensatore che abbia seriamente inquadrato nietzsche, pensandolo profondamente e capendolo anche con spirito critico (anche con troppo spirito critico) è indubbiamente cruciale analizzare il confronto fra questi due.

Continuo con un parere personale, elaborato solo dalla lettura dei due e di altri filosofi che bazzicano questo genere di pensieri (Vattimo, Deleuze, ecc...) e che è per cui del tutto aperto e suscettibile di errori.
Mi pare che Heidegger parta subito con un forte distacco da Nietzsche, con una vera e propria ossessione di neutralizzarlo, di renderlo aproblematico accorpandolo alla "storia della metafisica". Sicuramente in questo gli viene in aiuto tutta la componente "positivista" che porta nietzsche dalla lettura di schopenhauer allo zarathustra, e soprattutto l'elaborazione del pensiero "tutto è volontà di potenza e niente altro" o più in genere l'enfasi per la "vita" come metro ultimo del porre valori.
Ma nell'ultimo nietzsche (parte dello zarathustra, ecce homo e i ditirambi dioniso) la questione della morale, del rovesciamento del platonismo ecc... passa decisamente in secondo piano a poco a poco, tanto che il superuomo che emerge non può essere più ricondotto soltanto alla "metafisica dei valori" (come heidegger chiama la filosofia di nietzsche). Una parte fondamentale è giocata dalla questione del soggetto che si tramuta in maschera. Tutta l'analisi della metafisica di Heidegger si basa fortemente sull'idea che un soggetto (teso da un'equivalente della volontà di potenza che varia tanti nomi) si appropri dell'ente, e Nietzsche porta così all'estremo quest'idea da distruggere del tutto il rimasuglio sistemico di soggetto/oggetto e con questo è del tutto inassimilabile alla domanda guida "che cosa è l'ente". Certo non ci sarà mai in Nietzsche la differenza ontologica, ma di fatto c'è l'intuizione di quel percorso incerto in un fondamento più radicale di tutte le parole della tradizione di fissazione dell'ente.

A riguardo si può prendere proprio un pezzo dai Contributi alla filosofia (dall'evento), di Heidegger:
<<Un possibile, anzi il possibile in generale, si apre solo al tentativo. Il tentativo deve essere permetato da una volontà anticipatrice. La volontà, inquanto porsi oltre se stessi sta in un essere oltre-di-sé. Questo stato è l'originaria concessione del gioco dello spazio-tempo in cui viene a ergersi l'Essere: l'esser-ci. Esso è essenzialmente come azzardo (Wagnis). E solo nell'azzardo l'uomo raggiunge l'ambito della de-cisione. E solo nell'azzardo egli è in grado di ponderare. Il fatto che l'essere sia e non diventi perciò un ente si esprime nella maniera più netta in quanto segue: l'Essere è possibilità, ciò che non è mai lì presente, eppure, nel rifiuto mediante l'evento-appropriazione, sempre concede e nega.>>

Ora senza entrare in questioni di ontologia fondamentale o di parole heideggeriane mi pare che questo passo trasudi del miglior nietzsche, cioè del nietzsche che realmente non si cura più delle genealogie morali e degli anticristi. Che poi al posto della volontà di volontà, del volere oltre se stessi, si usi la parola "Da-sein" o che si legga l'azzardo come essenziale velarsi dell'essere anzichè come falsità insita nella maschera... non vedo differenze così importanti. Addirittura azzardo da Ruhm und Ewigkeit:


<<Höchstes Gestirn des Seins!
Ewiger Bildwerke Tafel!
Du kommst zu mir? -
Was Keiner erschaut hat,
deine stumme Schönheit, -
wie? sie flieht vor meinen Blicken nicht?
[...]
Höchstes Gestirn des Seins!
- das kein Wunsch erreicht,
das kein Nein befleckt,
ewiges Ja des Sein's,
ewig bin ich dein Ja:
denn ich liebe dich, oh Ewigkeit! - ->>

<<Supremo astro dell’essere!
Tavola di eterne immagini!
Tu vieni a me? –
Ciò che nessuno ha scorto,
la tua muta bellezza, -
come? non fugge essa dinanzi ai miei sguardi?
[...]
Supremo astro dell’essere!
- che nessun desiderio raggiunge,
che nessuno imbratta,
eterno si dell’essere,
eternamente sono io il tuo si:
perché io ti amo, oh eternità! –>>


PS: aggiungo per completare il discorsetto che non c'è divergenza fra i due per quanto riguarda necessità/possibilità, infatti entrambe convergono nella locuzione che si trova in heidegger di "necessità dell'assenza di necessità" che traduce la possibilità in una necessità (negativa). Anche la necessità che appartiene al superuomo è di questo stampo, cioè una possibilità (potenza) necessitata nell'eterno ritorno e nell'Amor Fati. Deleuze riprende la cosa con la bella immagine del lancio dei dadi, ed eventualmente si può tirare dentro nel discorso anche il celebre detto di Eraclito sull'Aion regno di un fanciullo che gioca come elemento di transizione e contatto.


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Nachtlied
messagio Jul 1 2009, 10:56 PM
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CITAZIONE(Joseph de Silentio @ Jul 1 2009, 07:54 PM) *
Il problema che pone Nachtlied è legittimo, ma nasce dal presupposto che si possa interpretare l'eterno ritorno nietzscheano con le categorie di Deleuze.

E' proprio questo che non riesco a fare; cioè ad interpretare l'e.r. nietzscheano con le categorie di Deleuze.
Riconosco che Deleuze sia forse l'unico pensatore che ha capito a fondo cosa N. volesse dire, e non nego che il suo pensiero sia tra i pochi che hanno veramente centrato il problema e sono andati in fondo alla questione, ma non riesco a trovare coerenza con N. nell'interpretazione che fornisce.


CITAZIONE(Sgubonius @ Jul 1 2009, 10:42 PM) *
Tornando alla questione del ritorno (premesso che per l'appunto si parla di una interpretazione):
Il differente è colui che "fa la differenza", cioè colui che di fronte al ritorno dell'uguale fa prevalere ancora la differenza. Io non credo ci sia contraddizione se non "formale" fra i due concetti. Fare la differenza è anche redimere il proprio passato perchè è la contro-effettuazione dell'amor fati (e del così volli che fosse), cioè il piegare la propria coerenza, il proprio io fisso, facendo proliferare le possibilità e la potenza. Ho qui tralasciato un importante concetto, quello del tempo Aiòn, che nella logica del senso è fondamentale e che forse ora può aiutarci a capire meglio.
Nel tempo aiòn, il tempo lineare infinito degli eventi, non c'è presente che non sia un attimo puntiforme (porta carraia) sempre suddiviso in passati e futuri. L'essenza dell'eterno ritorno non è la chiusura delle combinazioni temporali in un certo numero di casi che si ripetono (dilatando un presente all'infinito, eternizzando un divenire come dice H.) ma è la riduzione di ogni presente e presenza al puro attimo puntiforme, e di ogni effettuazione ad evento, di ogni dominio metafisico a potenza virtuale. Il ritorno evidentemente non è allora una questione cronologica/fisica/effettiva, è un modus vivendi, è "un'esistenza" così come lo indica lo stesso Heidegger nel suo Nietzsche. Solo nell'affermazione della differenza, cioè dell'evento problematico e irrisolto (silenzio dell'essere e tutto quello che vogliamo buttarci dentro), si potrà essere nel tempo Aiòn dell'eterno ritorno, cioè in quel tempo che ha fatto fuori ogni "presenza/ousia".

In altri termini più banali: se io riesco a sopportare l'eterno ritorno significa che sono riuscito a scardinare il tempo (come dice Shakespeare nell'Amleto), cioè a far fiorire differenze anche nel piattume più totale. Questo può essere fatto solo nella libertà più assoluta da ogni "cardine", cioè da ogni centro attorno qui qualcosa possa ruotare. Il primo cardine è l'io che si vuole eternizzare.
Non so se ho risposto, io non vedo la contraddizione (mentre la vedo nella lettura di Heidegger che ignora del tutto svariati passi dello Zarathustra e non tocca nemmeno con le pinze i Ditirambi di Dioniso) e addirittura vedo molte connessioni con la filosfia dell'ultimo Heidegger, col pensiero poetante e via dicendo.

Si potrebbe allora dire che anche in Deleuze tutto torna, ma, scardinando il tempo, solo per colui che accetta la differenza (il differente, chi redime il passato, chiamiamolo come vogliamo) c'è appunto differenza, poiché è lui che la fa?

Considerando il ritorno nell'ottica del tempo Aiòn - cioè come modus vivendi - sembra chiaro in che senso ciò che torna è la differenza. Inoltre, ripeto, probabilmente questo è l'unico (o quasi) modo valido per poter pensare Nietzsche attualmente [terminologia un pò infelice per lui -mi scuso- blink.gif ]. Tuttavia continuo a vederla come un'interpretazione in sé coerente, ma che va molto oltre Nietzsche, che in FW 341 e nello Za mi sembra molto chiaro riguardo alle modalità dell'e.r., che tutti conosciamo bene.
Penso che tutta la problematica sia nata nel tentativo di difendere N dalle accuse heideggeriane; tentativo di cui oggi non abbiamo più bisogno.
Sicuramente Deleuze l'ha pensato davvero fino in fondo, ma forse è andato anche oltre - un pò come ha fatto N con tutti i filosofi, se vogliamo - e, perché no, l'ha liberato completamente dall'ultima parvenza di metafisico che ancora poteva sembrare di avere, però le sue non possono essere categorie nietzscheane propriamente dette.
Credo che sia un pò come voler pretendere che Plotino sia un vero platonico: lui crede di esserlo, ma il suo modo di ragionare è in realtà posteriore, e poggia sul tentativo di difendere il platonismo dall'aristotelismo, dimostrando che questo, senza il primo, non può avere senso; Deleuze, analogamente, propone una teoria per salvare il pensiero nietzascheano che però va ben oltre questo.


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