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> Che ne è dell'Apollineo nel tardo Nietzsche?
Sgubonius
messagio Mar 17 2009, 06:26 PM
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?

Allora vediamo come porre questo quesito su cui mi muovo un po' come in sabbie mobili, perchè non avendo letto (me ne rammarico) La Nascita della Tragedia non ho padronanza effettiva sulle origini di questo concetto, ma ho comunque molti dubbi sul fatto che il dualismo presente in quell'opera permanga nell'estetica (che è da legarsi a doppio filo coll'etica) degli scritti della maturità di Nietzsche (diciamo per intenderci dalla Gaia Scienza in poi).

Nello specifico ritengo del tutto scomparso lo spirito apollineo che predica la bella forma e l'ordine (kosmos). Dobbiamo tentare di depurare Nietzsche da ogni tensione verso l'essere, verso la fissazione cristallizzata, ferso l'uguale, verso l'ideale per poterlo sottrarre del tutto alle critiche heideggeriane che vedono in lui l'ennesimo (e ultimo) metafisico (sempre che poi sia una "colpa").
Ecco qui penso si possa finalmente mettere in chiaro ad esempio dove mai nell'ultimo Nietzsche si presenta l'esigenza pratica di produrre opere d'arte, di produrre il bello applicandovi il proprio canone armonico. Tutto il gioco dell'attivo (vs. passivo) è da giocarsi nell'immanentismo di un mondo in cui la mancata trascendenza (morte di dio, dell'io, ecc...) porta alla necessità e in cui quindi siamo sostanzialmente passivi per natura, deboli, in errore, ingiusti, superflui, orrido caso, e via dicendo sciorinando le mille metafore.

Cosa mai vogliamo imprimere al divenire? Il carattere dell'essere? Analizziamo bene questo, cioè l'eterno ritorno, e cerchiamo di capire cosa ci sia di apollineo in questo ad esempio. Io non ci vedo nulla, se non qualche suggestione lontana: imprimere l'essere significa come diceva bene Nachtlied diventare ciò che si è, ovvero far girare la ruota non su se stessa, ma in déplacement, in continuo spostamento. Altrimenti è un falso divenire, è una dialettica del positivo/negativo che ruota sull'idea hegeliana, su se stessa, fissa, con dominio finale del centro, dell'identità, dello spirito assoluto. Allora diamo ragione ad Heidegger. Quando invece deleuze parla di strappare la differenza nella ripetizione (che è differenza senza concetto) ecco l'intuizione dello spostamento continuo, del gioco che si ripete diverso, il lancio puro del dado (non il caso apparente nella necessità, ma la necessità del caso), ecco l'eterno ritorno che è Aiòn, demodalizzazione/degenerazione del tempo, che non è un organetto che suona sempre la stessa musica (il carillon funziona così) ma è la potenza della differenza mai ferma e fissa in un punto, in un concetto, in uno spirito assoluto che si accresce in un falso movimento, ma sempre superantesi, una volontà che vuole se stessa. Qui poi io rimanderei al mio topic prediletto su "Soggetto e Volontà di Potenza" a cui secondo me in definitiva rimandano tutti i discorsi ancora fattibili su Nietzsche, perchè è la permanenza nell'identità e nell'uguale del soggetto che porta al trascendente e alla permanenza di un concettualismo apollineo anche nell'estetica, mentre un io incrinato, dissolto, è totalmente avulso da ogni pretesa autoriale e da ogni canonica del gusto, da ogni razionale, da ogni reale, e via dicendo.

Mi sono dilungato ma ero preso dalla foga! Comunque si è capito spero!


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Nachtlied
messagio Mar 20 2009, 09:42 PM
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Però mi complimento, Blacksmith!
Davvero un bell'inizio! laugh.gif tongue.gif

Forse questo tuo modo di approcciarti alle cose ti sarà utile più di quanto tu creda...


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BlackSmith
messagio Mar 21 2009, 10:27 AM
Messaggio #3


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CITAZIONE(Nachtlied @ Mar 20 2009, 09:42 PM) *
Però mi complimento, Blacksmith!
Davvero un bell'inizio! laugh.gif tongue.gif

Forse questo tuo modo di approcciarti alle cose ti sarà utile più di quanto tu creda...


Nach, non mi è servito a niente ! Credo che l'approccio migliore, ha ragione sgub, sia contenuta nell'espressione di Mastroianni, raffigurata nel suo avatar, ogni volta che la osservo penso al finale dello Z.
Nella leggerezza, nel disincanto, nella diffidenza del pensiero, nella smorfia del sorriso è contenuta la "spiegazione" dell'esistenza. La parte finale dello Z. ,infatti, sembra contenere tutti questi elementi: " E ancora una volta Z. piombò dentro se stesso, e si mise a sedere di nuovo sul grande sasso a riflettere". Se dobbiamo cercare di immagginarci Z. seduto in quel sasso, non possiamo fare altro che pensarlo con la stessa espressione dell'immagine ripresa dall'avatar di Sgub. "Improvvisamente balzò in piedi...." L'azione che compie Z. in questo passaggio è evidentemente forzata, sembra tirato per la giacchetta, credo che Z. sarebbe rimasto volentieri seduto ancora per un pò, vuoi per la stanchezza, vuoi perchè si sentì come provocato dall'indovino, che essendo appunto indovino, aveva nella sua perspicacia colto nel segno. Aveva profetizzato il suo fallimento. <<Compassione! La compassione verso l'uomo superiore>>. quando dice che questo ha avuto il suo tempo e quando poi aggiunge " il mio dolore e la mia compassione - che importa tutto ciò! Non fa altro che preannunciare la sua disfatta, la sua leggerezza, il suo disincanto, tutta la diffidenza verso il suo stesso pensiero!
"Orsù! Il leone è venuto, i miei figli sono vicini, Z. si è maturato, la mia ora è venuta", contiene infine quella smorfia di sorriso amorevole, dovuto alla consapevolezza dell'impossibilità di superare questa sua ultima colpa e che chiude la sua opera. In quel finale Lui non crede più a quella "missione" che aveva mosso tutti i passi di Z. , trapela tutto il suo disincanto e se a Z. gli viene la faccia dura come il bronzo, se ne avverte invece la sua faccia plasmabile come la cera, che si scioglie al calore delle cose umane troppo umane, lo stesso sentimento di "invidia" che attribuisce a Dio verso gli uomini, è così trasferito al Superuomo che per quell'ultima sua colpa vuole eternamente ritornare umano troppo umano.
Un Nietzsche, leggero e disincantato, assalito dalla certezza più che dal dubbio e che accenna ad uno straordinario sorriso per preannunciare l'eterno ritorno.
Cmq, volevo ringraziare pubblicamente Sgub, per la sua grandissima disponibilità, ha utilizzato una parte dl suo tempo per aiutarmi a correggere la bozza del mio stupidissimo racconto, dimostrandosi una persona speciale!
Grazie di Cuore Sgub! rolleyes.gif


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Agli uomini dei quali mi importa qualcosa io auguro sofferenze, abbandono, malattie, maltrattamenti, disprezzo..., io desidero che non restino loro sconosciuti il profondo disprezzo di sé, il martirio della diffidenza di sé, la miseria del vinto
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Sgubonius
messagio Mar 21 2009, 12:36 PM
Messaggio #4


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CITAZIONE(BlackSmith @ Mar 21 2009, 10:27 AM) *
"Orsù! Il leone è venuto, i miei figli sono vicini, Z. si è maturato, la mia ora è venuta", contiene infine quella smorfia di sorriso amorevole, dovuto alla consapevolezza dell'impossibilità di superare questa sua ultima colpa e che chiude la sua opera. In quel finale Lui non crede più a quella "missione" che aveva mosso tutti i passi di Z.


Su questo muoverei dei dubbi. Non entro nel merito dell'eventuale quinto libro di Zarathustra mai realizzato da Nietzsche (anche perchè non ne so niente), però comunque permane il motto "che importa xxx, io miro alla mia opera", perfino nell'ultimo capitoletto, il segno, dice: "Io voglio andare alla mia opera, alla mia giornata" e ancora proprio "Il mio dolore e la mia compassione – che importa tutto ciò! Forse che miro alla felicità? Io miro alla mia opera!". Ora è evidente che non c'è niente da operare nel senso pragmatico del termine, ma bisogna far ben attenzione a non confondere il leone col bambino. Zarathustra non è il superuomo, anzi è per lo più un leone appunto, lo stesso leone che gli appare come segno alla sua maturità, cioè quando anche la compassione per gli uomini (superiori) è scomparsa e i leone ruggendo li fa fuggire via con un grido che ora Z. non sente più. Senza filosofare su quanto sarebbe stato il quinto libro, possiamo senz'altro dire che Zarathustra è il profeta dell'eterno ritorno e in quanto tale non conclude ma ritorna al punto da dove era partito (anche se maturato): il sole ecc...
L'attesa dei figli (che a dir la verità non ho mai ben inquadrato in profondità) continuerà come sempre, l'attesa per qualcuno capace (come il sole) di sostenere l'eterno ritorno dell'uguale e di traboccare di doni. Insomma zarathustra continua la sua "opera" di filosofia e di educazione al superuomo, che è in ogni caso è a quanto siamo destinati tutti come lettori di Nietzsche. La risata stessa su cui riponi molta fiducia è sì l'esemplificazione del "che importa/was liegt daran?" ma questi sono i segni del leone, non del fanciullo. Al bambino importa tutto, come un gioco certo, ma appassionatamente, deve saper dire di sì, ecco perchè quelle espressioni di mastroianni sono ancora da zarathustra ma non da superuomo, perchè fanno parte dello svalutamento della vita che si riduce a risata, nei suoi drammi come nei suoi piaceri, ma non sono ancora la ruota che gira da sè.
La risata trasfigurata del pastore, pensa a quella, è oltre-umana, è irrappresentabile:
"Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, – e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora!"


CITAZIONE(BlackSmith @ Mar 21 2009, 10:27 AM) *
Cmq, volevo ringraziare pubblicamente Sgub, per la sua grandissima disponibilità, ha utilizzato una parte dl suo tempo per aiutarmi a correggere la bozza del mio stupidissimo racconto, dimostrandosi una persona speciale!


Non sono una persona e il tempo non è mio!! rolleyes.gif


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BlackSmith
messagio Mar 21 2009, 08:03 PM
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Sono cose che costano mio caro amico, lo so!
Ma noi intellettuali, dico noi, perchè ti considero tale, abbiamo il dovere di rimanere lucidi fino alla fine.
Ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine.
Distruggere è meglio che creare, quando non si creano le poche cose necessarie, e poi c'è qualcosa di così chiaro e giusto al mondo che abbia il diritto di vivere? Meglio lasciare andare giù tutto e far spargere sale, come facevano gli antichi, per purificare i campi di battaglia; in fondo avremmo solo bisogno di un pò di igiene, di benzina, di disinfettante. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini,dai suoni, che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà: educarsi al silenzio.
Ricordi l'elogio di Mallarmé alla pagina bianca, a Rimbaud, un poeta mio caro, nella sua poesia la sua rinuncia è continuare a scrivere " se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione". Perdonami quest'eccesso di citazioni, ma mi viene rabbia a pensare che uno dovrebbe lasciare dietro di se, un'intera opera, come lo sciancato si lascia dietro di se la sua impronta deforme, che mostruosa presunzione, credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo degli orrori e degli errori umani. Allora cosa importa cucire insieme brandelli della nostra vita, i vaghi ricordi o i volti delle persone che non si è saputo amare mai!


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BlackSmith
messagio Mar 23 2009, 07:00 PM
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Perchè uno dovrebbe lasciare dietro di se, un'intera opera, come lo sciancato si lascia dietro di se la sua impronta deforme? Non è questa una mostruosa presunzione, credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo degli orrori e degli errori umani. Allora cosa importa cucire insieme brandelli della nostra vita, i vaghi ricordi o i volti delle persone che non si è saputo amare mai!


Ma Nietzsche ha amato più se stesso o gli altri?



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